Voi immaginatevi credere ancora alla storia della Global Sumud Flotilla “progetto di Hamas”. O meglio, perché quello è il termine giusto: complotto di Hamas. In fondo i giornali che sostengono queste tesi, uno su tutti Il Tempo, non sono nuovi a recenti esercizi di cospirazionismo, basti pensare agli elogi per Trump, convinto che vaccini e paracetamolo (cioè la tachipirina) facciano venire l’autismo. Buffonate a parte, vale la pena di ricordare che esistono almeno due modi di intendere la frase “credere a qualcosa”. Il primo modo, quello più generale, è banale: credere a qualcosa significa credere che quella cosa sia vera. Che la missione umanitaria che in queste ore sta arrivando a Gaza sia collegata a Hamas è un’ipotesi a cui qualcuno crede. Il secondo modo di intendere la frase, invece, è questo: credere a qualcosa significa dare priorità a quella credenza rispetto ad altre credenze in competizione con essa. In altre parole, e la facciamo facile: per chi sostiene entusiasticamente che la GSF sia un progetto di Hamas, questa credenza ha più valore di qualsiasi altra cosa che si può sostenere sulla GSF. Un esempio. È più importante far passare la missione umanitaria come un complotto dei terroristi di Hamas che non notare come la maggioranza, secondo vari sondaggi (La Stampa ne riporta uno che parla del 70% degli italiani intervistati), appoggi la GSF e come l’adesione a questa missione sia talmente trasversale, composita e variegata, che risulta impossibile ridurre tutto a, eventualmente, alcuni elementi legati per chissà quale via strana a Hamas. Insomma, è fondamentale per questi giornali dare la priorità a una credenza sostanzialmente negazionista rispetto all’enorme impatto democratico di questa missione umanitaria, piuttosto che a un’altra credenza diffusa, comune ed evidente: quello che stanno facendo è, a prescindere da tutto, giusto.

A prescindere da tutto, anche dalle obiezioni da boomer di alcuni giornalisti e politici che fingono di non aver capito come stanno davvero le cose. Fabio Dragoni, de La Verità, per esempio ricorda a ReStar, su Rai3, che secondo l’articolo 244 del Codice Penale, comma 2, chiunque compia “atti ostili tali da turbare soltanto le relazioni con un governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie e ritorsione, la pena è la reclusione da tre a dieci anni”. Insomma, non si agisce “nel mandato della Costituzione, voi state facendo un reato”. È davvero difficile, se si parte da questo presupposto, provare a spiegare cosa sia la disobbedienza civile e che rapporto abbia quest’ultima con la “legalità”. Ed è ancora più difficile, dunque evitiamo, spiegare in che modo la legge e la morale siano due cose radicalmente diverse, spesso in contrasto (un esempio parecchio eloquente è il seguente: credete che le leggi razziali fossero morali? Eppure erano leggi; voi le avreste rispettate per il semplice fatto che si tratta di una legge?). Una cosa però appare evidente. La disobbedienza civile ha una sua forza, che spesso si associa (dal pacifismo di Gandhi a Malcom X in Usa) ad atti di resistenza attiva, talvolta violenta. In Italia stiamo assistendo a questo: proteste in tutta Italia e una flotta di navi che si avvicina al luogo del genocidio, mentre una terza forza, dispersa nel tessuto sociale, autonoma, “moltitudinaria”, sfascia le città. A prescindere dalla giustezza o meno della violenza, questo è un dato storico. Così come, d’altronde, il fatto che la Global Summund Flotilla sia ormai un evento di portata mondiale, tale da non poter essere liquidato con qualche editoriale su presunti legami tra Hamas e una mobilitazione tanto vasta.

Questo non fa bene neanche a Israele, chiaramente, dal momento che essere dalla parte di Israele può voler dire soltanto essere contro questa guerra criminale. E associare Hamas a qualsiasi tentativo di inibire gli attacchi sulla popolazione di Gaza è un modo per polarizzare ulteriormente il dibattito, facendo credere che o si è con Netanyahu o si è con Hamas. Alcuni Stati, non l’Italia, hanno dimostrato che non è così. Basti pensare al Regno Unito e alla Francia. Torniamo al boomerismo di giornalisti e politici. Giorgia Meloni, come Mattarella, e come Bruno Vespa, che sbotta in televisione contro chi è in mare e rischia ritorsioni, chiedono alla GFS di lasciare che gli aiuti vengano portati a destinazione da attori terzi, così da evitare di mettere in pericolo la loro vita. Questo è evidentemente fingere di non capire la natura dell’azione, che non è strettamente legata all’invio di aiuti (comunque una parte importante di questa missione), ma è un atto politico, che mira a intaccare l’impunibilità di Israele, superando il blocco navale illegale imposto dal governo di Netanyahu, mettendo gli Stati europei nelle condizioni di dover scegliere tra lo zerbinaggio verso Israele o l’interesse di cittadini italiani, francesi, spagnoli eccetera eccetera. Se Giorgia Meloni è sovranista, com’è possibile che non sia dalla parte degli italiani che stanno svolgendo un’azione moralmente legittima (è immorale disobbedire solo nelle teocrazie e nelle dittature) nei confronti di uno Stato che non risponde più a nessuna richiesta internazionale? Uno Stato sovrano, più semplicemente, come può non ammirare i cittadini che prendono in mano la propria vita e agiscono secondo coscienza, dando un segnale che qualsiasi governo dovrebbe accogliere?

Ora, voi immaginate se dovessimo assecondare il paternalismo di Mattarella, il moralismo giurisprudenziale di qualche giornalista, o il cospirazionismo senza proporzioni de Il Tempo e Il Giornale. Quali azioni di disobbedienza civile potremmo immaginare? Qualsiasi protesta sarebbe superflua, ingenua, vissuta dall’establishment come un capriccio e vissuta da noi stessi come un’azione simbolica. Certo, possiamo scendere in piazza, una volta. “Poi però tornate a casa, dando un bacio a vostra madre e mettetevi a dormire”, ci diranno. Non violate la legge, neanche se questo vi servirà a posizionarvi dalla parte di chi era nel giusto. Magari fatevi sentire, ma per e-mail. Mandate una Pec, seguite il flusso del pensiero burocratico, alienatevi da voi stessi, lasciate a casa i vostri corpi, non partite, non sanguinate, non rischiate la vita. Siate liberi di non essere liberi, di dar retta ai nostri consigli, non fate di testa vostra. O vi farete male. O verrete puniti. La Global Summund Flotilla si sta avvicinando a Gaza, naviga tra la Scilla dell’impotenza europea e la Cariddi della violenza di Netanyahu. Nel mezzo, sopra quell’acqua, ci sono persone innocenti che fanno la storia, con tutte le contraddizioni e le commistioni che questo comporta, con tutto il male che potranno attirarsi addosso. Ma da queste contraddizioni si può ripartire. Da questo paradosso, che è l’impegno civile, si può iniziare a capire quanto ci sia di sbagliato nell’ipocrisia di chi sta abbandonando un popolo che fa rotta verso l’inferno di Gaza.
