Una recente inchiesta coordinata dalla Procura di Palermo e l’Fbi ha portato a ben 17 arresti fra Palermo e gli Usa e gettato le basi per nuovi ed inquietanti interrogativi sui rapporti fra le famiglie mafiose di New York e della Sicilia. I contatti fra Cosa nostra siciliana e la sanguinaria famiglia newyorkese dei Gambino sembravano ormai interrotti da decenni, ma così non è. La morte del capo dei capi Totò Riina prima e di Matteo Messina Denaro poi ha lasciato un vuoto di potere ai vertici della cupola, che fa gola, non solo ai giovani picciotti, ma anche a chi proviene da molto molto lontano. Non è un caso che sia a Palermo che nella Grande mela i crimini giovanili siano aumentati in maniera preoccupante. Per vederci chiaro, noi di MOW abbiamo intervistato l'ex magistrato Antonio Ingroia, una delle voci più autorevoli in materia, che per anni assieme ai compianti giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha lavorato a stretto contatto con l’Fbi per contrastare la mafia. E sulla chiusura del programma condotto da Massimo Giletti, Non è l'Arena, quando gli abbiamo chiesto se fosse dovuta anche alla famosa foto dell'incontro tra Berlusconi e Graviano, ha risposto: "Credo di sì...".
Ingroia, quanto sono ancora stretti i legami fra mafia siciliana e newyorkese?
Molto stretti perché la fine del predominio dei corleonesi con l’arresto e la morte dei loro capi, da Riina a Provenzano fino a Matteo Messina Denaro, ha fatto riemergere il ruolo delle famiglie della “mafia tradizionale” che era stata sconfitta dai corleonesi negli anni ’80 e che oggi è riemersa, ripristinando i legami con la mafia newyorkese, che in realtà non si erano mai interrotti.
L’ultima operazione condotta in sinergia dalle forze dell’ordine italiane e l’Fbi cosa ci ha fatto capire?
Questa indagine costituisce una conferma di quanto dicevo, dimostrando l’attualità e la pericolosità di questi legami e questi traffici.
Quanto il potere della mafia americana incide sulle decisioni e sulle azioni di quella palermitana?
Difficile rispondere, ma possiamo certamente dire che oggi la mafia americana conta assai più di quanto contasse una decina d’anni fa. Piano piano questo ramo di Cosa Nostra che arriva fino Oltreoceano, che sembrava essere un ramo secco, ha ripreso ad essere vitale e pericoloso.
Come valuta l’operato della nuova magistratura?
Si tratta di magistrati professionalmente molto bravi. Con molti di questi ho condiviso indagini e processi, alcuni di loro erano sostituti della procura distrettuale antimafia che io coordinavo come procuratore aggiunto. Ovviamente si trovano ad operare in una stagione difficile, dove c’è poca attenzione all’azione antimafia, e molto sospetto e diffidenza nei confronti del lavoro della magistratura. Quindi diventa difficile fare certe indagini e processi “storici”, come quelli che potemmo avviare 20-25 anni fa sui terreni più delicati e difficili. E cioè sul versante dei rapporti mafia-politica e mafia-istituzioni. Che non ci siano più indagini e processi su questo versante, però, non significa che questi rapporti non ci siano più, anzi… È la magistratura che è stata ridimensionata nei poteri e negli strumenti a disposizione su questo versante.
Nel suo passato da Pm, spesso è andato negli Stati Uniti per occuparsi dei rapporti fra le due mafie. C’è stretta collaborazione fra i due Paesi?
Andavo spesso negli Usa e avevo ottimi rapporti, anche personali, sia con i procuratori federali degli Usa che con gli agenti dell’Fbi e della Dea specializzati in indagini di mafia e traffico internazionale di stupefacenti. Abbiamo avuto sempre una grande collaborazione da parte degli Usa su questo versante.
Anche lei nota un preoccupante aumento della criminalità a Palermo?
Purtroppo è la società nel suo complesso che è sempre più violenta, e non solo a Palermo.
Crede che il vuoto di potere dentro Cosa nostra lasciato da Riina, Messina Denaro e dai fratelli Graviano stia muovendo molti giovani in cerca di una promettente carriera criminale?
Certamente c’è anche questa componente. Il vuoto di potere creatosi ai vertici di Cosa Nostra ha determinato un minore controllo mafioso del territorio e un venir meno del monopolio della violenza da sempre mantenuto in Sicilia dalla mafia. Un vuoto di potere riempito da giovani piccoli criminali che cercano di farsi spazio. E questo perché, purtroppo, oltre ad esserci un vuoto di potere mafioso, c’è anche l’assenza dello Stato.
Si può dire che, se queste indagini anche internazionali sono possibile, si deve tantissimo al lavoro e al sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?
Sono stati loro, Falcone soprattutto, a tracciare la strada sulla rotta investigativa Italia-Usa. Falcone, non a caso, è considerato negli Usa come un mito, una leggenda, perché ha insegnato moltissimo non solo a noi italiani ma anche ad intere generazioni di magistrati ed investigatori americani. All’epoca Falcone e Borsellino operavano in modo più artigianale, non c’era ancora stato l’avvento di internet e dell’informatica. Ricordo la scrivania di Giovanni Falcone dove lui affiancava con cura gli assegni come tessere di un domino dove ricostruiva gli intrecci del grande riciclaggio internazionale. Così come ricordo le pazienti rubriche scritte a mano da Paolo Borsellino dove annotava le “schede” personali in ordine alfabetico dei mafiosi siciliani ed americani e gli intrecci fra gli uni e gli altri. Due campioni, ma anche due grandi uomini, di grande umiltà, coraggio e dedizione al bene comune. E poi bravissimi e pazienti maestri di tanti allievi, io fra questi, avendo avuto l’onore ed il privilegio di avere iniziato i miei primi passi da magistrato al loro fianco.
Come valuta l'operato del governo guidato da Giorgia Meloni nel contrasto alle mafie?
Il governo ha iniziato facendo promesse importanti ed impegnative, dicendo di voler riprendere il modello di Falcone e Borsellino. All’inizio ha preso dei provvedimenti coraggiosi sul fronte del regime carcerario dei mafiosi, ma poi piano piano si è sempre più disinteressato al tema preso da altre “emergenze”, come se la mafia dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro fosse finita e non fosse più un’emergenza.
Salvatore Baiardo ha "predetto" nel novembre del 2022 l'arresto di Matteo Messina Denaro, intervistato da Massimo Giletti. Lei crede a questa interpretazione?
È rimasto finora un mistero. Escludo che abbia tirato a indovinare e ci abbia azzeccato. Non è un mago e neppure un profeta. Evidentemente aveva delle informazioni e su incarico di qualcuno interno a Cosa Nostra ha lanciato dei messaggi, finendo così per rivelare, ma solo in parte, che dietro le quinte ci fosse una “trattativa” in parte interna a Cosa Nostra proprio con Matteo Messina Denaro ed in parte “esterna”, con lo Stato, con la nuova politica che si stava insediando. Poi ha ritrattato tutto. Oggi è indagato dalla Procura di Firenze. Devo avere fiducia che i magistrati sveleranno certi misteri, anche quelli più oscuri ed imbarazzanti, anche se nutro molti dubbi perché sono troppo pochi in Italia a volere davvero la verità a tutti i costi.
La chiusura di Non è l'Arena su La7 secondo lei è dovuta anche alla famosa foto dell'incontro tra Berlusconi e Graviano?
Credo di sì. Massimo Giletti è un giornalista coraggioso ed io credo alla sua versione dei fatti. Comunque, sta indagando anche su questo la Procura di Firenze. Vedremo. Viviamo una stagione buia, dove la libertà di informazione è molto limitata.