“Patriarcato criminale” non è un titolo a effetto: è una diagnosi. E Roberta Bruzzone, autrice del libro, criminologa, psicologa forense, e da anni una delle voci più lucide nel raccontare la violenza sulle donne, non ha intenzione di edulcorare nulla. In quest'intervista a MOW ci spiega perché le storie di Saman Abbas, Maria Chindamo e Giulia Cecchettin sono parte della stessa mappa del terrore. E perché il problema non è solo chi uccide, ma ciò che lo autorizza a farlo: modelli educativi, stereotipi di genere, asimmetrie di potere sedimentate nella cultura familiare. Poi con lei abbiamo affrontato il caso Louis Dassilva, indagato per l'omicidio di Pierina Paganelli, l’ombra lunga del sospetto e la recente decisione di intraprendere lo sciopero della fame. Ha parlato anche dell’ambiguo profilo di Davide Barzan (caso sollevato grazie al lavoro delle Iene), delle contraddizioni di Manuela Bianchi, del delitto di Garlasco e della posizione di Sebastiano Visintin, indagato per la morte di Liliana Resinovich. Ecco i risvolti inediti sulla cronaca nera più attuale.

Bruzzone, partirei proprio dal titolo del suo nuovo libro “Patriarcato criminale”. È molto forte.
Intendo fare riferimento a quella componente culturale, valoriale, educativa ancora oggi largamente presente, diffusa e adottata purtroppo nei modelli educativi ancora vigenti, che contribuisce enormemente a creare i presupposti per la violenza di genere e, soprattutto, per i femminicidi.
Perché ha scelto proprio le storie di Saman Abbas, Maria Chindamo e Giulia Cecchettin?
Ho voluto scegliere tre storie apparentemente molto lontane tra loro, ma che in realtà rappresentano la trasversalità della problematica. Sono storie che si fa fatica a pensare possano essere collocate nello stesso perimetro di primo acchito, a pensare che possano essere tre storie accomunate così visceralmente. In realtà lo sono, anche se sono geograficamente e culturalmente apparentemente molto lontane. Ma in realtà sono estremamente accomunate dallo stesso tipo di funzionamento mentale, psicologico, culturale e valoriale. Senza nulla togliere alla responsabilità di chi ha partecipato attivamente a questi omicidi, ma la matrice culturale che ha portato a questi tre tragici fatti è la stessa.
Quanto è importante ridare centralità al ruolo della famiglia?
È determinante, perché è lì che si impara a stare al mondo, che si imparano le relazioni, che si impara a gestire il potere nelle relazioni. Perché fondamentalmente questo è il problema: un gioco di potere nelle relazioni. E soprattutto è lì che si costruiscono gli stereotipi di genere e anche la costruzione sociale della femminilità come passività, condiscendenza, accoglienza, tolleranza e quant'altro. È una costruzione sociale che non ha niente di genetico e che sarebbe il caso di cominciare a destrutturare seriamente. Bisogna parlare della costruzione sociale della passività femminile, voluta proprio per procrastinare questo tipo di modello e soprattutto questa asimmetria di potere. È un disegno molto complesso, quello alla base, ma è un disegno culturale, sociale, valoriale, che così come è iniziato può anche finire.
Da un punto di vista proprio chimico, mentale, cosa porta un uomo a uccidere? Cosa accade nel nostro cervello?
Nel nostro cervello ci sono tutta una serie di aree che, se non debitamente addestrate, possono sfociare in condotte estremamente aggressive. Poi c’è una parte legata al modo in cui alleviamo maschi e femmine. Le femmine vengono molto più addestrate a tollerare la frustrazione, il limite, gabbie culturali e sociali molto più ristrette. In questo senso, siamo state educate molto più seriamente a tollerare la frustrazione e la rabbia, e a ingoiarla. In quanto la costruzione sociale di una femmina, per essere apprezzata, deve essere passiva, fondamentalmente. Comunque, non deve azzardarsi a sfidare l'autorità maschile. Per la maggior parte delle donne è normale pensarsi comunque subalterna, se non addirittura inferiore rispetto agli uomini di famiglia. È questo che voglio combattere in maniera viscerale e frontale, in maniera dirompente.
I femminicidi però c'erano anche prima, ma non se ne parlava. Cos'è cambiato nella narrazione?
Perché comunque qualcosa è cambiato. Per fortuna, la percezione della simmetria di potere e dell'assoluta criticità della condizione femminile è diventata oggetto di discussione seria. Ci sono stati, soprattutto negli anni ’60–’70, una serie di movimenti importanti in cui le donne si sono rese protagoniste di epocali cambi di direzione, proprio nella gestione dell’individuo donna, dell’essere umano donna. Fino a un'epoca abbastanza vicina alla nostra, e per certi versi ancora si vedono gli strascichi, era considerata a tutti gli effetti un essere umano di serie B, se non di serie Z. Addirittura non poteva votare, non poteva ereditare, aveva tutta una serie di limitazioni incredibili, a pensarle oggi. Quindi è chiaro che un movimento in avanti è stato fatto sotto questo profilo, ma non è sufficiente.
Lei parla di patriarcato in modo serio e consapevole. Non pensa che ci sia chi strumentalizza un po’ questo tema?
La battaglia contro il patriarcato è trasversale. Non voglio vestirla né di un colore né tanto meno di un altro. Non sarò mai io a fare una collocazione di questo tipo, che non mi interessa. Quello che posso dire è che credo sia una battaglia di tutti. È sbagliato ritenere che questa sia una battaglia di una parte politica, perché è una battaglia per le donne, di qualunque ordine e grado, in qualunque latitudine del mondo, con qualunque colore vestano la loro mente politica.

Venendo a un caso di cui si occupa direttamente, Louis Dassilva ha iniziato lo sciopero della fame. Quali sono le sue intenzioni?
Sta molto male e abbiamo tentato di convincerlo, tramite l’avvocato, a desistere. Ma al momento non sembra essere intenzionato a farlo.
Ma come mai, improvvisamente, ha scelto di intraprendere lo sciopero?
Ha aspettato tutta una serie di pronunciamenti, pazientemente. Si è sottoposto a tutti gli esami, le verifiche possibili e immaginabili: Cam3, genetica, ricerca di tracce, tutto. Ha aspettato in maniera disciplinata e precisa la fine di una serie di accertamenti che di fatto lo scagionano, perché abbiamo demolito tutto l’impianto accusatorio tecnico. Nella Cam3 non è sicuramente lui, sue tracce sulla scena non ce ne sono. Poi è chiaro che adesso ha visto che è stata ritenuta credibile Manuela Bianchi, nonostante per un anno e mezzo abbia dato dichiarazioni antitetiche rispetto a quelle attuali, lui vede che purtroppo a questa donna viene data credibilità. E questo l’ha gettato in un abisso di disperazione. Si chiede “a questo punto come facciamo a uscirne?”. Perché se la ritengono credibile, per lui è un problema molto serio. Perché lei lo colloca, anche se non la sera dell’omicidio, comunque nel garage, con una versione dei fatti che, ripeto, salta fuori solo dopo 18 mesi. È una versione che tende a irrobustire l’ipotesi accusatoria contro di lui, gioco forza. Parliamo di un soggetto nelle cui dichiarazioni sono presenti una moltitudine di incongruenze, alle domande non ha saputo rispondere o lo ha fatto in maniera assolutamente non precisa. E nonostante questo viene ritenuta credibile, allora è chiaro che lui a quel punto ha cominciato davvero a disperarsi.
Invece, per quanto riguarda Barzan, grazie alle Iene si sono scoperte una serie informazioni, ma com’è possibile che lui abbia ancora credibilità?
Le Iene hanno raccolto indicazioni, informazioni e testimonianze. C’è un sito istituzionale in cui basta digitare il nome di Davide Barzan e salta fuori la sentenza passata in giudicato della banca, per il finto assegno da circa 2 milioni di euro. Credo che i servizi delle Iene abbiano fatto emergere una serie di lati oscuri, veramente inquietanti, su questo soggetto, che purtroppo, parrebbe, in base alle testimonianze, stia continuando la sua opera truffaldina.

In che modo sta continuando?
Ci sono una serie di ulteriori segnalazioni e denunce. Peraltro, di una di queste posizioni ci stiamo occupando io e l’avvocato Fabri, quindi vi do per certo che ci sono delle denunce anche abbastanza importanti presso la Procura di Rimini. E quindi ci domandiamo come sia possibile che questo soggetto possa comunque avere una certa credibilità in ambienti giudiziari. Considerate che c’è un passaggio dell’interrogatorio, che è stato reso noto, in cui la signora Bianchi fa riferimento a giorni e giorni in cui il suo stesso consulente, cioè Barzan, l’ha portata a ricostruire i fatti quasi in maniera forzata. Lei se ne lamenta proprio durante l’interrogatorio con il dottor Paci. Alla luce di queste informazioni che ci dà la Bianchi, cioè che il suo consulente per giorni l’ha in qualche modo incalzata per ricostruire tutti i fatti, alla luce di quello che oggi emerge a carico di questo soggetto, le dichiarazioni della Bianchi forse dovrebbero essere valutate anche sulla scorta di questo tipo di indicazione. Quindi quello che stanno facendo le Iene lo ritengo rilevante ai fini della vicenda. Non dimentichiamoci che Barzan è quello che si era inventato di aver vinto 47 milioni di euro, che, secondo quello che emerge, ha truffato la banca con il finto assegno. Oppure, sulla base di quello che emerge successivamente, perché sono vicende in itinere dal punto di vista investigativo, quindi vedremo poi l’esito di questo tipo di segnalazioni in sede giudiziaria, parrebbe che la sua attività di truffatore stia andando avanti. È comunque un pregiudicato per truffa, questo è un fatto.
E sul caso di Andrea Sempio come mai la mamma, secondo lei, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere?
Non è difficile immaginarlo, visto che in passato aveva avuto anche un po’ di incertezze sulle sue dichiarazioni precedenti. Probabilmente ha ritenuto che fosse più prudente, in questa fase molto importante della nuova inchiesta, avvalersi di un diritto che ha, ampiamente, essendo prossimo congiunto del principale indagato. Dal punto di vista mediatico, in un contesto in cui questa signora, insieme alla famiglia, si è sempre detta desiderosa di chiarire ogni aspetto, quella era la sede per farlo. Quindi mediaticamente non credo sia stata una scelta tra le migliori.

Nel caso invece dell'omicidio di Liliana Resinovich, c'è la possibilità che Sebastiano Visintin abbia manomesso i video della GoPro per costruirsi un alibi?
Questo è un aspetto sicuramente importante, che dovrà essere valutato. Però, da quello che mi risulta, soprattutto dalla lettura degli atti precedenti alla richiesta di archiviazione che viene presentata dalla Procura, in realtà questa verifica venne fatta, non tanto sull’app, ma proprio sulla memory card che lui ha fornito alla Procura. Io, Visintin, esperto di informatica, faccio un po’ fatica a immaginarmelo sinceramente. Per cui sarà sicuramente un elemento importante su cui fare una valutazione. In caso però non emergesse alcuna manipolazione, capisci bene che diventa un po’ un problema poi collocarlo su un’eventuale scena del crimine, se davvero era in giro con la GoPro.
Ma potrebbe essere stato aiutato?
Mi pare un po’ complesso, anche perché, paradossalmente, non mi pare che lui abbia in giro gente così fidata e così vicina a lui. Chi avrebbe avuto una competenza di questo tipo? Parliamo di una competenza informatica importante. Chi l’avrebbe fatto?
Ma come mai è stato indagato dopo così tanto tempo?
Se leggi gli atti dell’inchiesta che ha portato alla prima richiesta di archiviazione, ti rendi conto che in realtà, anche se lui non è mai stato formalmente indagato, di fatto le verifiche su di lui sono state serrate.
Quindi in realtà è stato attenzionato fin dall’inizio?
Certo. Lui è sempre stata la figura più attenzionata, perché non è che fosse proprio sussurrato il sospetto dei familiari nei suoi confronti. Ne parlavano a più riprese. Ora, è chiaro che all’epoca c’era una consulenza tecnica che sosteneva l’ipotesi suicidaria, e quindi la Procura, al netto che non ha trovato evidentemente degli elementi così incontrovertibili, è andata in quella direzione, perché il consulente andava in quella direzione. Ed è del tutto normale che accada questo. Poi, seconda consulenza, esiti alternativi: è chiaro che adesso loro devono fare degli approfondimenti rispetto a quello che già avevano analizzato all’epoca. Ma sono approfondimenti che, oggi, faccio fatica a pensare che possano portare a risultati straordinariamente sconvolgenti. La posizione di Visintin è sicuramente in larga parte già vagliata, e loro avevano ritenuto che lui, quella mattina, fosse dove diceva di essere: cioè dentro il suo magazzino.