La partecipazione di Lorena Cesarini alla seconda serata del Festival di Sanremo ha suscitato reazioni particolarmente contrastanti. Se una buona parte dei media tradizionali, infatti, ha posto l’accento sui contenuti del monologo che la stessa Lorena ha “recitato” e attraverso il quale ha denunciato gli episodi di razzismo seguiti all’annuncio della sua presenza alla manifestazione, altri, come Selvaggia Lucarelli, non hanno mancato di far notare come la spalla di Amadeus sia sembrata non poi così adatta a calcare quel palcoscenico.
Certo è che, a prescindere da qualsiasi considerazione sugli inqualificabili insulti ricevuti da Lorena, la sua performance artistica, ieri sera, ha destato ben più di una perplessità. Apparsa fin dall’inizio particolarmente agitata, la Cesarini non è sembrata in grado di mettere al servizio del Festival quelle doti di recitazione che l’hanno resa riconoscibile nella sua esperienza come personaggio secondario della prima stagione di Suburra - La serie.
Per capire meglio se Lorena avrebbe potuto interpretare in maniera più efficace il ruolo che le è stato affidato, abbiamo deciso di rivolgerci alla persona che, più di ogni altra, in Italia, è in grado di immedesimarsi in ciò che Lorena rappresenta da un punto di vista professionale: Rosanna Sparapano. Trentotto anni, nata a Kinshasa e cresciuta a Milano, Rosanna si è diplomata al Piccolo Teatro Milano nel 2005, prima di intraprendere una carriera come attrice teatrale e fotomodella. Una formazione classica, la sua, un modo di intendere la recitazione a tratti integralista, tipico di chi è convinto che per raggiungere un traguardo non ci sia altra soluzione che lavorare. «Probabilmente era raffreddata ed era molto emozionata, ma ho l’impressione che abbia approcciato questa esperienza in maniera troppo naïf» ci dice, Rosanna, raggiunta al telefono.
«Quella che abbiamo visto non era un’attrice che recitava un monologo. Si è commossa per quello che ha letto e ha espresso un suo pensiero. Era lei! Si è presentata sul palco priva di qualsiasi velatura, senza mettere alcuna distanza tra sé e il pubblico, tra sé e ciò che stava facendo». Avrebbe dovuto recitare? «Non puoi affrontare un ruolo come quello senza aver preparato ciò che andrai a fare, soprattutto se sei un’attrice. Avrebbe dovuto avere gli strumenti professionali per affrontare quel palco come una professionista. Se lei avesse recitato un monologo imparato a memoria, sono sicura che avrebbe fatto una figura migliore. Io non sto criticando lei come persona. Sto criticando il fatto che lei sia stata messa nella condizione di essere esposta in quella maniera. Se fossi stata al suo posto, Rosanna Sparapano non sarebbe stata lì, Rosanna Sparapano in quel momento avrebbe vestito il ruolo della conduttrice di Sanremo. Sei un’istituzione, è diverso».
E lei non è stata in grado di fare questa cosa? «Secondo me no, ma magari è stata una scelta fatta dall’alto. Non conosciamo fino fondo in quali condizioni è stata messa per lavorare, non sappiamo quanto questo approccio sia stato voluto o forzatamente ricercato». A margine della sua performance, cosa ne pensi del modo in cui è stato affrontato il tema razzismo? «Da che ho memoria, il razzismo c’è sempre stato. Si tratta di qualcosa che, semplicemente, fa parte della nostra società. Non sto dicendo che non bisogna combatterlo, ma sto dicendo che bisogna farlo in maniera intelligente. Il modo in cui è stato fatto a Sanremo non è una maniera intelligente». Perché? «Perché Lorena si è mostrata come una vittima e ciò che si è cercato di suscitare nel pubblico è soprattutto un sentimento di compassione: la povera ragazza nera che finalmente fa l’attrice, Sanremo che finalmente permette a una ragazza nera di interpretare un ruolo fino ad ora svolto soltanto da donne bianche. Si tratta di un atteggiamento che rimarca l’esistenza di eventuali differenze e che suscita una reazione opposta in chi ascolta. Fossi stata in lei, davanti a quei commenti mi sarei fatta due risate e avrei cercato di dimostrare con la mia professionalità di avere tutto il diritto di stare su quel palco».
L’indifferenza è efficace davanti al razzismo? «Cose come quella vista a Sanremo sono come benzina sul fuoco, non aiutano a normalizzare un qualcosa che non dovrebbe neppure essere oggetto di discussione, come il colore della pelle. È necessario ignorare chi non ha gli strumenti per capire che non esistono differenze, ma solo competenze, capacità». Rivendicare la propria provenienza non è utile? «A che serve? Mi pare che sia una caratteristica assolutamente evidente».
Perché nel 1996 Denny Méndez è diventata Miss Italia senza che fosse necessario porre l’accento sulla sua provenienza e, oggi, per condurre il Festival di Sanremo, nel periodo storico più politicamente corretto che l’umanità abbia mai affrontato, è necessario un monologo sul razzismo? «Il perché non lo so. Di certo trovo del tutto incomprensibile l’atteggiamento che Lorena ha avuto, ad esempio, nei confronti di Amadeus all’inizio della serata. Tutti quei ringraziamenti, tutti quegli ossequi! Come se la sua partecipazione fosse una gentile concessione del conduttore bianco, colpito da un moto di umanità verso la povera attrice nera, altrimenti non calcolata dal sistema. Ma grazie di che?! Anche meno! Grazie a te stessa, grazie al tuo curriculum, grazie al percorso che hai fatto e che ti ha portato lì. Poi, per carità, è un’opportunità che ti ha dato Amadeus, piuttosto che chiunque altro, ma non devi nulla a nessuno». Pensa se lo avesse detto Francesca Sofia Novello o una qualunque delle altre partner avute in questi anni… «Sarebbe successo il finimondo, ovviamente». Un’ultima cosa: cosa ne pensi della performance di Checco Zalone? «Mi ha fatto molto ridere e credo sia riuscito a denunciare, come al solito, una serie di problemi molto seri, con un registro unico, divertente e allo stesso tempo intelligente».