“Che cosa sai davvero? Sul serio. Su cosa puoi essere assolutamente certo che sia un fatto?”. Inizia così l’ultimo articolo di Jeremy Clarkson pubblicato sul Sunday Times. Un pezzo che è molto più di una semplice riflessione personale: è un j’accuse frontale contro la deriva dell’informazione nel nostro tempo, un'epoca in cui – come scrive lui stesso – “le persone più sciocche che dicono le cose più stupide ottengono sempre un pubblico più ampio del balbuziente scienziato che sa davvero di cosa parla”. Clarkson prende le mosse da una serie di notizie che hanno riempito i titoli delle ultime settimane: dalla presunta frattura nella famiglia Beckham, il falso licenziamento di Chris Horner (Red Bull), alle voci sbagliate sulle tinte per capelli di Tom Cruise fino ad arrivare persino ai gossip su Trump. Ma, per smascherare la natura traballante di tutto questo assurdo flusso di informazioni, il giornalista usa un espediente brillante: analizzare ciò che è stato scritto su sé stesso. Prima partire da sé per poi capire il resto. “Dicono che il principe William apparirà nella prossima stagione di Clarkson’s Farm. Dicono che Top Gear tornerà e che sarò io a condurlo. Dicono che ho sostituito Kaleb Cooper con un’infermiera. Letteralmente niente di tutto ciò è vero**”, scrive. Ma quando prova a smentire online, la stampa parla comunque di “rumours” affrontati, di “speculazioni” smentite, di “silenzio rotto”. Non importa più cosa sia vero: conta ciò che fa clic. Ma il vero bersaglio dell’articolo non sono solo i tabloid o le notizie da gossip. Clarkson arriva al cuore del problema quando sposta il discorso sulla politica. Keir Starmer, ad esempio, viene accusato di aver cambiato posizione sull’immigrazione senza la minima spiegazione. “Non ha detto di aver cambiato idea. Non ha detto che i numeri lo hanno costretto a rivedere la sua posizione. Si è semplicemente alzato in piedi con i suoi occhialetti ridicoli e ha ignorato tutto ciò che aveva detto prima”.

In questo ribaltamento della realtà, dove anche le testate più autorevoli fanno fatica a imporsi sul rumore di fondo dei social, e dove forse la stessa notizia proviene prima dal mondo online che quello autentico e offline, Clarkson individua un pericolo esistenziale per la democrazia e la conoscenza. “Una volta c’era l’Encyclopaedia Britannica. Ora ognuno ha accesso uguale a tutti gli altri”, scrive. In un mondo assurdo in cui persino gli influencer raggiungono più credibilità dei giornalisti veri, con fatti verificati e supportati da editor e avvocati. Il risultato? “Non so più a cosa credere. E presto, quando qualunque ragazzino potrà mettere in bocca a chiunque qualsiasi parola, non potremo più credere a nulla”. La conclusione è amara, quasi apocalittica. Clarkson immagina un trailer hollywoodiano, con la classica voce roca che dice: “Immagina un mondo dove non credi a nulla e non ti fidi di nessuno…” Ma poi ci riporta bruscamente alla realtà: “Non è un film. È davvero quello che sta succedendo.” Sarà anche lo showman di sempre, ma stavolta Clarkson non scherza. E sotto il sarcasmo, c’è una verità tanto scomoda quanto urgente: viviamo nell’era dell’informazione deformata, e nessuno sembra più in grado – o disposto – a fermare la frana.
