Due vicende giudiziarie distanti ma accomunate da un unico nodo politico: la gestione da parte dell’Italia dei cittadini stranieri accusati di reati gravi. A distanza di pochi mesi, l’arresto a Rimini dell’ex agente ucraino Serhii Kuznetsov, ricercato dalla Germania per il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, e la liberazione del generale libico Osama Njeem Almasri, poi rimpatriato a Tripoli, riportano sotto i riflettori il ruolo del governo Meloni in casi delicati di estradizione ed espulsione. Serhii Kuznetsov, 49 anni, ex agente dei servizi ucraini, è stato arrestato lo scorso 18 agosto in un agriturismo nel Riminese, su mandato di arresto europeo emesso dalla Corte federale di Karlsruhe. La Germania lo accusa di essere coinvolto nelle esplosioni che nel settembre 2022 danneggiarono i gasdotti Nord Stream 1 e 2 nel Mar Baltico, episodio ancora avvolto da incertezze investigative e con forti implicazioni geopolitiche. Davanti alla Corte d’Appello di Bologna, Kuznetsov ha negato ogni responsabilità, sostenendo di trovarsi in Ucraina all’epoca dei fatti e di essere in Italia per motivi familiari. Ha rifiutato la consegna alla Germania, chiedendo di leggere gli atti nella sua lingua e di essere assistito da un interprete in ucraino o russo (e ha fatto il gesto del tridente ucraino). La Procura generale ha chiesto la custodia cautelare in carcere in attesa della decisione dei giudici.

Il ritorno di Almasri a Tripoli
Sul fronte libico, è tornato di attualità il nome di Osama Njeem Almasri, comandante delle milizie di Zawiya e ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, torture e stupri. Arrestato a gennaio in Italia, Almasri non è stato consegnato alla Corte penale internazionale, ma rimpatriato con un volo di Stato su decisione del governo, ufficialmente per “motivi di sicurezza nazionale”. La scelta aveva già suscitato dure critiche da parte delle opposizioni e delle Ong, che parlavano di un “regalo” alle autorità libiche. Polemiche rilanciate in questi giorni dopo la diffusione di un video, circolato sui social e rilanciato da media arabi e organizzazioni per i diritti umani, che mostrerebbe Almasri mentre picchia e uccide un uomo disarmato per le strade di Tripoli. “Chi sarà ritenuto responsabile mentre continua a uccidere e terrorizzare civili, rifugiati e migranti?”, ha denunciato l’ong Rifugiati in Libia. Il video ha innescato nuove accuse nei confronti del governo. “Meloni, guarda chi hai liberato: assassini e stupratori rimandati in patria con voli di Stato”, ha scritto Angelo Bonelli (Avs). Ancora più duro l’ex premier Giuseppe Conte: “Avete cambiato sette versioni diverse su questa vicenda. Ora che quell’uomo continua a uccidere, volete spiegare agli italiani se siete sotto ricatto?”. Sul fronte opposto, da Palazzo Chigi finora non sono arrivate nuove dichiarazioni, ma fonti di governo sottolineano che la gestione del caso Almasri rientrava in una valutazione di sicurezza nazionale e di rapporti con la Libia, partner cruciale nei dossier migratori. Tra l’arresto di Kuznetsov e il ritorno in patria di Almasri emerge una questione di fondo: la credibilità internazionale dell’Italia nella gestione di casi che coinvolgono cittadini stranieri accusati di reati di rilevanza internazionale. Da un lato, Roma deve garantire cooperazione giudiziaria con i partner europei, come nel caso del mandato di arresto emesso dalla Germania. Dall’altro, scelte politiche come quella sul generale libico hanno già sollevato dubbi sul rispetto delle procedure e sul peso delle valutazioni geopolitiche rispetto alle esigenze di giustizia. Due storie diverse, ma un unico boomerang politico?
