Si addormenta piangendo e si risveglia “devastata”. Valentina – nome di fantasia – ha 13 anni ed era una delle amiche più intime di Aurora Tila, la coetanea (tra qualche giorno avrebbe compiuto 14 anni) precipitata dal balcone, la mattina dello scorso venerdì 25 ottobre, a Piacenza. “Avremmo dovuto trascorrere insieme la serata di Halloween. Lei vestita da angelo, io da diavoletto. Saremmo andate in giro per il quartiere o per il centro insieme alle nostre amiche. Giusto un giretto e poi a casa”. Valentina è scossa, il tempo che passa è incapace di portare sollievo e l’appuntamento silenzioso con il momento dell’estremo saluto all’amica Aurora incombe come una gelida minaccia. “Venerdì, alla fine delle lezioni, fuori da scuola, ha iniziato a farsi largo questa notizia, incontrollata. “Ma davvero Aurora si è buttata nel vuoto?”, mi scrivevano alcuni amici. Pensavamo a un brutto scherzo. Quando abbiamo capito che era tutto vero il mio cuore si è fermato, non ho capito più nulla. Ero completamente frastornata. Però neppure in quel momento di totale caos ho pensato a un gesto volontario della nostra Aurora”. Nessuno ci ha mai pensato, a Piacenza. Perché per Aurora parlava la risata (“mi manca come l’aria”, dice Valentina), l’ottimismo, la disponibilità ad aiutare gli altri. E se credete che queste parole siano imbevute di quella fiacca retorica che innalza a principi e principesse tutti i giovani fiori recisi anzitempo, beh, non è questo il caso. “Era al primo anno di liceo e voleva fare la psicologa. Io ce la vedevo benissimo in quei panni, così empatica, così disponibile a comprendere, capire. Comprendere anche chi, forse, non avrebbe affatto meritato quella dolce predisposizione d’animo”. Per la cronaca, il ragazzino 15enne che quella sciagurata mattina era insieme ad Aurora è stato fermato ieri, lunedì 28 ottobre, con l’accusa di omicidio volontario. Circa quindici anni fa, sempre a Piacenza, un episodio analogo si era risolto nel “nulla di fatto”. Altri tempi, tutt’altro contesto sociale, meno attenzione mediatica su determinate questioni. Un’attenzione che la famiglia di Aurora vuole giustamente tenere alta, affinché se qualcuno deve pagare, paghi.
Ragazzine come Valentina sono simili ad Aurora. Non fisicamente magari, ma per atteggiamento, visione. “Non potevi non provare un’istintiva simpatia per Aurora. Lei, così piccina, tenera. La abbracciavamo spesso, per tenercela stretta”. Mi fa ascoltare gli ultimi vocali dell’amica. Il tono di voce di Aurora è squillante, per nulla depresso o demoralizzato. Racconta di sé, delle sue sensazioni, con una profondità leggera. Contrappuntando le parole con qualche risatina, come a darsi conforto. Le cose andranno meglio, sembra suggerirsi. “Adesso, però, abbiamo tutte paura. Bisogna fare veramente molta molta attenzione. Non si può sottovalutare nulla. Un’altra nostra amica, in questi giorni, vomita anche se mangia poco o nulla. Io verso lacrime e non so quando smetterò. Poi penso. Penso a questi ragazzi che giocano a fare “il malessere”. Chiedo a Valentina chi sia “un malessere”. “Essenzialmente sono bulletti – spiega Valentina. Fanno i duri, i dannati. Magari visualizzano un messaggio di WhatsApp alle 14 e ti rispondono alle 20. Si sentono proprietari della loro “tipa” pur dedicandosi ben poco alla ragazza in questione. Vogliono essere sicuri che lei c’è, che sia lì per loro. Lei non dev’essere mai in discussione. Vanno in giro a incrociare sguardi e dire cose tipo: “Bro, se punti ancora la mia tipa, ti ammazzo, capito?”. Poi, grazie al cielo, il più delle volte non lo fanno. Però hanno questo atteggiamento. Sfidante, aggressivo”.
Quindi una ragazzina che deve ancora conoscere il mondo, ma ha già conosciuto una tragedia che le parole faticano a spiegare, come può risvegliarsi, domani, in modo diverso? “Credo che Aurora in neppure 14 anni di vita mi abbia fatto capire che bisogna sempre cercare di guardare avanti. Da oggi vorrei farlo anch’io, in modo più consapevole; voglio che questa immane tragedia ci aiuti ad affrontare meglio noi stesse, le relazioni, la vita. A volte mi guardo dentro e mi chiedo: perché io, o tante mie amiche o conoscenti, subiamo un po’ il fascino del malessere? Questa attrazione, più o meno forte a seconda dei casi, secondo me va un po’ esplorata. Prima che morisse Aurora, fra noi, sui malessere, ci scherzavamo. Sapevamo che spesso sono solo dei codardi. Ci scherzavamo sopra anche per darci un po’ di forza, un po’ di sostegno. Da quando Aurora non c’è più, invece, ogni discorso sui ragazzi lo prendo in modo tremendamente serio. Su certi atteggiamenti non riesco più a sorridere”. Valentina, quasi scusandosi, sottolinea l’ovvio: “Mica tutti i ragazzi sono dei malessere, eh!? Ci sono tanti bravi ragazzi in giro, ho vari amici maschi che con noi hanno un rapporto sano e sereno”. Desidera sottolinearlo anche oggi che stiamo indagando, con parole semplici, su una porzione tristemente oscura della nostra quotidianità, con diversi ragazzini che diventano pericolosi – o addirittura criminali – senza che l’occhio adulto, peraltro troppo spesso distratto, sia in grado di individuarli, così uguali a tutti gli altri per taglio di capelli, giubbotto, modo di camminare, vocaboli utilizzati. Valentina, ripetiamolo, ha solo tredici anni. Una cara amica, anche lei tredicenne, non c’è più. Ora c’è un precoce – troppo precoce – obbligo a fare i conti non con la maschera di Halloween, alla Michael Myers, ma con la maschera ben più truce della vita vera. Tutto troppo ingiusto e prematuro. Per Aurora, in primis. E per chiunque le abbia voluto bene. Per chiunque, quella risata ottimista, se la porterà sempre nel cuore.