Il suo nome, per motivi intuibili, non si conosce, ma il suo soprannome o “nome di battaglia” è Sandokan: è l’investigatore dal volto coperto dal passamontagna che ha catturato Matteo Messina Denaro. E per lui e altri componenti della Crimor del Ros (l’unità che si dedica alla criminalità organizzata nell’ambito del reparto operativo speciale dei carabinieri), l’auto è una compagna di avventura (e di lavoro) fedele quanto forzata. Un impegno premiato dal ritrovarsi con il boss in una stradina senza uscita.
“Non dormivo da tre notti – le parole di “Sandokan” raccolte da Repubblica –. La zona attorno alla struttura era sotto monitoraggio continuo, era ripresa dalle telecamere. Pedinamenti e intercettazioni avevano scandito la vita della squadra. All’alba di quel giorno eravamo già tutti schierati e ben mimetizzati, oltre trenta uomini. Tutta la Crimor era lì, e non solo. Sapevamo che Andrea Bonafede sarebbe arrivato in mattinata alla clinica La Maddalena. Noi eravamo certi che fosse la falsa identità di Matteo Messina Denaro”.
Poi è scattata l’operazione: “Alle 9.15 sulle nostre radio, collegate tra loro, è arrivato il segnale. Quell’uomo col montone e il cappellino in testa era l’uomo che si presentava col nome di Andrea Bonafede, accanto a lui un accompagnatore (che ora dice di non sapere che si trattasse di Matteo Messina Denaro e credeva fosse un certo Francesco, ndr). Erano in una stradina senza uscita. Gli abbiamo urlato: «Fermo, fermo, carabinieri». Lui si è bloccato, lo abbiamo circondato coi nostri corpi mentre gli dicevamo: «Lo sappiamo che sei Matteo Messina Denaro» e lui ha risposto «Sì». Era fatta, la caccia era finita”.
Quanto alla vita e al tempo passato in auto, Sandokan dice di essere stato “un uomo ombra”: “Restare nel buio è un’esigenza per chi deve braccare un latitante. Ho trascorso intere giornate e intere notti in auto, accanto alle bottiglie vuote che si utilizzano se scappa un bisogno. Sul cruscotto panini e acqua, sotto ai sedili i vestiti per cambiarmi. Per tutti noi della Crimor la vita viene scandita dai tempi di chi pedini e – conclude – la macchina diventa la tua seconda casa”.