Mentre crescono o si confermano i dubbi sulla fattibilità e sull’effettiva utilità ambientale del passaggio obbligato dai motori endotermici a quelli elettrici, con il prospettato divieto di vendita di veicoli a benzina, gasolio e pure ibridi dal 2035, crescono anche le previsioni relativi ai “danni collaterali”, i lavoratori del settore automotive che con la riconversione forzata rischiano il posto o comunque avranno delle conseguenze.
Nei mesi scorsi le previsioni dell’Anfia avevano parlato di circa 70 mila dipendenti a rischio. Ora una nuova indagine commissionata dalla Uilm parla di una percentuale tra il 40 e il 45% dei lavoratori del settore che sarebbero coinvolti, il che vuol dire tra i 110 mila e i 120 mila addetti, che dovrebbero cercare nuove “opportunità” all’interno (o all’esterno) del comparto, con annesse formazione e incertezze.
“L’indagine realizzata per conto della Uilm – riferisce Repubblica – parte dalla constatazione che oggi un’auto tradizionale con motore a benzina o diesel è composta da 7mila componenti, mentre una vettura elettrica arriva ad avere un massimo di 3.500-4.000 pezzi. Da questa differenza nasce la previsione che fino al 45% degli occupati italiani, ovvero tra i 110 e i 120 mila lavoratori, saranno colpiti dal passaggio dell’industria dell’auto verso l’elettrico e la ricarica alla spina dei mezzi”.
Secondo la ricerca, circa 59 mila addetti dovranno fare corsi di aggiornamento per poter essere ricollocati eventualmente all’interno del settore, mentre circa 52 mila lavoratori dovrebbero porsi l’obiettivo di “diventare” figure dal profilo professionale del tutto diverso, in quel caso per guardare anche all’esterno dell’automotive. Formazione in chiave di aggiornamento prevista anche per altri 9 mila dipendenti.