“Se un processo può arrivare ad una pronuncia di primo grado dopo otto anni vuol dire che il sistema ha fallito”: così Tiziana Siciliano, procuratore aggiunto di Milano, prima di parlare nella requisitoria del processo Ruby-ter dei “gruppi di odalische, schiave sessuali a pagamento” sistematicamente ospitate ad Arcore da Silvio Berlusconi, la scorsa settimana ha sottolineato un aspetto noto, ma che fa sempre male sentirsi dire.
Ruby, Berlusconi, la giustizia che ha più di un problema e, a rendere il tutto più complicato, cinque referendum che chiameranno il 12 giugno alle urne elettori su una materia più che complessa. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Gaetano Pecorella, 84 anni, già difensore dello stesso Berlusconi, già deputato e presidente della commissione giustizia, ferocemente critico quando - era il 2011 - la Camera votò la celeberrima mozione secondo la quale, di fatto, Berlusconi avrebbe agito nel caso inq questione nel suo ruolo di premier in quanto convinto che la marocchina Karima El Mahroug fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak. “Abbiamo toccato il fondo”, disse Pecorella, che si sarebbe poi allontanato dal Pdl.
Avvocato, ne è ancora convinto?
“Il rispetto della ragione e del buon senso deve essere la prima dote di un avvocato, di un magistrato di un pm, e a me è sempre sembrato che l’idea che Berlusconi fosse giudicato dal tribunale dei ministri perché ci si stava occupando della nipote di un capo di Stato, che poi non era, fosse un’idea che non andava portata in Parlamento. Resto di quella opinione. Ma oggi c’è un altro aspetto da sottolineare”.
Prego.
“Quello che sta accadendo oggi sia la prova di quanto quei processi avessero un carattere persecutorio, o comunque politico: che Berlusconi sia assolto o condannato in quest’ultimo processo oggi non interessa più a nessuno. La battaglia politica, anche da parte dei magistrati, non ha più senso perché è fuori dai giochi e ciò significa che era legato al suo ruolo di presidente del Consiglio. Allora forse vale la pena fare una riflessione più profonda su quanti processi siano ispirati più da motivazioni di visione politica della società che dall’esigenza obiettiva di fare un processo”.
Nel 2012 lei criticò anche la presenza nei ministeri di persone senza competenze.
“Guardi, per me andare in commissione giustizia - che si riuniva tra l’aula del mattino e quella del pomeriggio, era come andare a convegno giuridico di altissimo livello, con persone molto competenti: c’erano Anna Finocchiaro, c’erano giudici oggi in Cassazione e le leggi nascevano dal confronto tra persone esperte. Chi conosceva meno la materia c’era, ma magari non veniva sempre. I problemi nascevano in aula dove i non esperti erano molti di più”.
Oggi la situazione è migliorata peggiorata?
“Il Parlamento si è andato impoverendo quando si è passati alle liste. Alle mie prime elezioni c’erano i collegi: la gente ci vedeva, dovevamo essere approvati e stimati. Nei collegi non bastava mettere l’amichetta per vincere, salvo in casi straordinari. Con le liste invece decide il segretario di partito che mette in ordine chi vuole lui. Con questo sistema il cavallo di Caligola sarebbe andato in Parlamento”.
Non è vero che uno vale uno.
“Nel momento in cui propongo alla gente di avere uno stipendio senza lavorare, ci posso mettere chiunque, non è necessaria la competenza, ma che ci siano i numeri per poter continuare a fare leggi di questo genere. Questo è il grande fallimento del Parlamento. Poi talvolta si vede qualcuno che fa politica con sorprendente e inattesa capacità: io ero molto critico nel vedere agli esteri Di Maio, ma devo dire che ha imparato. Tuttavia nel complesso credo che se non si cambia il sistema elettorale e non tornano a scegliere i cittadini andrà sempre peggio”.
I cittadini, intanto, nel 2019 hanno scelto di ridurre i parlamentari.
“So di non avere l’approvazione popolare dicendo che sono personalmente molto contrario. Non si può considerare l’aula come fulcro dell’attività del Parlamento: sono le commissioni il fulcro. Allora, se si considera che le commissioni istituzionali sono 12, più le altre che vengono istituite, e che si riuniscono contemporaneamente. come è possibile che un numero così ridotto di parlamentari possa far funzionare bene le commissioni?”
Non è vero che i parlamentari siano dei nullafacenti?
La scelta era dettata da questa convinzione, ma in realtà si sarebbero dovute creare sanzioni per quelli che in Parlamento non lavorano, non ridurre il numero di quelli che sono necessari”.
A proposito di referendum, il 12 giugno si voteranno cinque quesiti abrogativi sulla giustizia.
“Si tratta di quesiti di difficile comprensione per chi non è esperto ma persino per chi è esperto, perché si tratta di norme che ne richiamano altre. Ma il passaggio va dall’aspetto tecnico all’aspetto politico: chi va a votare deve comprendere quali risultati produrrà, non deve comprendere di per sé il testo ma capirne le conseguenze”.
Ci aiuti. Partiamo dalla separazione delle carriere: se vince il sì il magistrato dovrà scegliere all'inizio della carriera la funzione requirente o quella giudicante.
“Il tema ha anche dei limiti costituzionali, ma il messaggio che deve arrivare a chi vota è che pubblico ministero e giudice non possono essere intercambiabili. Primo perché sono due mestieri profondamente diversi, secondo perché altrimenti il giudice avrà la testa del pm o lo vedrà come uno della sua stessa ‘famiglia’, mentre l’avvocato è colui che lavora per il ‘criminale’. Io ho sempre fatto una battaglia per la separazione dei corpi. La logica porta ad un solo risultato possibile se si chiede giudice imparziale, come chiede la costituzione”.
Si chiede poi di abrogare con un sì la legge Severino, insomma incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i condannati.
“Due sono i punti di vista, quello politico e quello giuridico. Dal punto di vista politico, di consenso popolare, non posso non riconoscere che molti storceranno il naso sulle ragioni del no. Ma c’è la presunzione di innocenza: anticipare effetti negativi e gravi prima che ci sia giudizio effettivo, come accade per chi è in carica negli enti territoriali, contrasta con il principio. Secondo me è uno dei quesiti che avrà meno comprensione, ma costituzionalmente è assolutamente fondato”.
Si chiede poi di porre limiti all'abuso della custodia cautelare. Si chiede di fatto di togliere la reiterazione del reato dai motivi per i quali i giudici possono disporla.
"Esistono casi clamorosi di persone che sono finite in carcere e poi sono state giudicate innocenti: basti pensare al numero di soggetti incarcerati prima del processo e poi assolti e ai milioni di euro pagati ogni anno per risarcire l'ingiusta detenzione. Questo vuol dire che meccanismo così com’è non funziona, o funziona male: ci sono persone che perdono la libertà, la dignità, i rapporti con la famiglia, che soffrono e fanno soffrire. Il messaggio che il quesito vuole far passare è che oggi c’è un abuso, un sistema non controllato di misure cautelari che colpiscono troppo spesso gli innocenti. Oggi si va in carcere sulla base degli atti raccolti dal pm, senza che ci sia nessuna contraddittorio preventivo, come avviene in Francia ad esempio. Serve un intervento normativo. Se passa è un messaggio alla politica”.
Nel quarto quesito si chiede che gli avvocati che fanno parte dei Consigli giudiziari possano votare in merito alla valutazione dell'operato dei magistrati.
“Ciascuno di noi è soggetto a valutazioni e dalle valutazioni nascono conseguenze: non è possibile che i magistrati non sbaglino mai. Direi anche che ci sono magistrati che hanno forse bisogno di una valutazione psicologica. Credo che su questo si incontrino ragioni giuridiche e ragioni politiche. Ognuno deve rispondere dei propri atti ed essere valutato per quello che vale”.
L'ultimo quesito chiede che un magistrato non abbia più l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per candidarsi al Csm.
“Di questo non mi sono interessato. Ritengo semplicemente che sia necessario trovare un sistema che renda compatibile la scelta dei migliori con il fatto che non siano le correnti a scegliere”.