Pensavamo di averle viste tutte. Poi ecco il limone di Silvione dopo un gol del Monza, roba da settori popolari, dove il limone, se il gol è importante e decisivo, scatta anche tra estranei. Non necessariamente di sesso diverso. E tu vedendo quell’immagine non sai che pensare. Perché, maledetto Berlusconi, anche se conosci perfettamente la sua storia e le sue ombre, pure se sei tra i suoi più critici avversari, la prima reazione che ti suscita quasi sempre è simpatia, empatia. Comunque ridi, e non si può dire di molti uomini di potere.
E te lo chiedi quale sia l’incantesimo che ha fatto a noi tutti da decenni quest’uomo infaticabile avventuriero, narciso da competizione.
Allora, capisci. Capisci che quello che hai davanti è un bambino discolo di 85 anni, a cui la vita è una carriera spregiudicata hanno dato tutto il potere del mondo. Economico, mediatico, politico. Ma è pur sempre un bambino. Che se la sua squadra – noi le tifiamo, lui le compra – segna, bacia la sua fidanzatina. E lo fa orgoglioso, davanti a tutti, perché si sappia.
Capisci anche che la sua rovina – si fa per dire, e solo per quanto riguarda la sua reputazione – è stata l’entrata in politica. Se non avesse scelto di scendere in campo, chissà (nessuno potrà mai saperlo), ora Silvione sarebbe ancora un presidente di calcio, un editore liberale e un imprenditore amato e oggetto di leggende metropolitane autoprodotte (la migliore? Quella che lo voleva carpentiere nella sua Milano 2 e quando arrivavano yuppies a parlare di contratti andava a chiamare suo fratello: lui, ma in giacca e cravatta). Un’adorabile tycoon controverso, un carismatico leader. Ricordatevelo Sua Emittenza prima di Forza Italia, elogiato pure a sinistra e in alcuni casi persino difeso.
Ma piaceva, per quel sorriso e per i continui successi, perché era il super italiano che tanto faceva paura a Giorgio Gaber che saggiamente e causticamente disse “non ho paura di Berlusconi in sé, ma del Berlusconi in me”.
Perché piace così tanto Silvio, perché senza la politica sarebbe rimasto solo Marco Travaglio a odiarlo e di sicuro senza Il Fatto Quotidiano?
Per tanti motivi. Tra quelli più cinici è che i professionisti dell’antiberlusconismo si sono arricchiti, sono diventati riferimenti morali e potenti nelle loro categorie: ricordate il mitico dibattito Santoro-Travaglio-Berlusconi? Era un incontro tra amici, un teatrino di pupi in cui ognuno doveva qualcosa all’altro. Si somigliavano così tanto che quello che spiccava era l’unico che non se ne vergognava (in questo Loro di Paolo Sorrentino ha saputo cogliere perfettamente il vero spirito berlusconiano). Chi odia Berlusconi per lavoro 9 volte su 10 vorrebbe essere lui.
Ma la verità è che Berlusconi non guardato con le lenti dell’ideologia, dell’odio politico, della rabbia sociale e del giustizialismo (giustificato, l’uomo ha disprezzato le regole di ogni settore in cui si è cimentato, nessun escluso), è un fenomeno complesso. E allo stesso tempo elementare.
Lasciamo perdere Banca Rasini e stallieri mafiosi, leggi ad personam e un paese portato alla deriva morale e politica ed economica, i senatori sedotti per votazioni importanti, le cene eleganti, il machismo surreale e tossico. Li conosciamo e sono l’orrore che ha avvolto l’Italia negli ultimi 30 anni di politica e più di 40 di spazzatura televisiva. Guardiamolo come un uomo. Chi scrive lo ha dovuto fare in un’occasione particolare,
alla presentazione dell’Alta Velocità in Italia. Una tratta Roma-Milano a stretto contatto, a spiarne 4 ore di “normalità”. Dopo anni passati a contestarlo, ad augurarmi il peggio per lui e sì, a odiarlo.
In quel caso ho visto una persona. Un uomo. Sin troppo simile a tanti a cui ho persino voluto bene. Perché Berlusconi non è lo zio scemo che si rende ridicolo a Natale. Quello che fa le corna nelle foto e le battute imbarazzanti a tavola. No, è lo zio traffichino e magnetico, generoso e paraculo, ricco, chiassoso ma inesorabilmente solo che da piccolo ammiri e da vecchio compatisci. E che alla fine lo sai, ti mancherà, perché i suoi figli sono decisamente peggiori di lui. Ecco perché i suoi ricoveri ora li vediamo come apprensione, mentre lui se la ride perché usa gli ospedali come rifugi dalle convocazioni in tribunale.
Berlusconi è stato anche l’imprenditore che quasi falliva perché non si potesse dire che la sua azienda avesse mai licenziato qualcuno (per poi metterla in mano a un quasi curatore fallimentare per non farlo lui, cosa che finirà per fare anche col suo Milan), è quello. già ai vertici del potere politico, che all’arrivo de “La nave dolce” (mutuo la definizione dal titolo del bellissimo documentario omonimo di Daniele Vicari) dall’Albania con 20.000 disperati sui moli del porto di Bari, molto prima delle alleanze con Salvini, piange ai microfoni della stampa e delle tv dicendo che l’Italia doveva prendersi carico di quell’umanità. Berlusconi è il megalomane che non si è mai dimesso, mai, nonostante chiunque lo avrebbe fatto di fronte agli scandali che lo hanno colpito – giudiziari, sessuali, politici – ma poi lo fa quando capisce che il paese, colpito da un golpe politico europeo, nell’unico momento in cui potrebbe persino avere ragione nel non lasciare la poltrona, lo fa. Perché comprende, istintivamente, che quella volta c’erano in gioco interessi più grandi dei suoi privati, da sempre per lui gli unici degni di essere curati. Berlusconi è quello che a Recanati ha salvato la residenza di Leopardi divenuta museo, facendo di tutto perché non si sapesse. Lui è contemporaneamente l’italiano brava gente e Totòtruffa. Lui è entrambi I due colonnelli.
E sta tutto in quella foto là, l’ultimo dei romantici. L’uomo che soffre per ogni amico che lo tradisce, sempre con lo stesso schema: facendo la cresta sulla sua generosità più o meno pelosa. Tutti, tranne chi gli siede vicino in quella istantanea, Adriano Galliani (personaggio epico, firmerei col sangue per scrivere da ghost writer la sua autobiografia). L’uomo che fa sesso estremo e rocambolesco, sfruttando soldi e potere, ma poi si fidanza ancora, alla sua età. L’uomo che è convinto di poter diventare presidente di una repubblica che con lui è diventata definitivamente delle banane. E di meritarselo. L’uomo che rovina uno sport, il calcio, con valutazioni di calciatori fuori scala, un imperialismo di mercato da tardo impero, ingaggi assurdi – la Superlega comincia a nascere con il suo sogno del Mundialito e il suo Milan che aveva 33 titolari -, non sa affrontarne il declino, vende e poi, ultimo dei romantici appunto, ultraottantenne ricomincia dietro casa. Dalla serie C, perché il calcio vero è nelle serie minori (in serie B nell’ultima giornata non abbiamo avuto solo il bacio di Silvio, che poi si è visto rimontato dal Pisa, ma anche un eurogol del redivivo, eroico Pepito Rossi, altro che serie A). E ha ricominciato da par suo: colpacci alla Boateng e Balotelli (fallimentari entrambi), ma anche allenatori e calciatori scelti con il consueto fiuto. E ora quinto sogna almeno i play-off, che vivrà, c’è da giurarci, come una Coppa Campioni.
Berlusconi siamo noi. Berlusconi è il motivo per cui Nanni Moretti urlava “ve lo meritate Alberto Sordi”. Berlusconi è tutto quello che un italiano medio vorrebbe essere ma non ha il coraggio di ammettere. Solo che lui ha tutto quello che vuole per realizzare i sogni un tanto al chilo di tutti i medioman, dalla Brianza alla Trinacria. E autoconvincersi che quel simpatico squallore sia amore, sentimento, poesia. In quel bacio dopo un gol c’è proprio questo: la poesia e la tragedia di un uomo ridicolo. Silvio Berlusconi, una storia italiana.