“Stiamo assistendo alla continua evoluzione di una rivoluzione in Iran. È iniziato tutto con la morte di una ragazza, Masha Amini, un nome che ritroveremo nei libri di storia. Poi con i cortei per i funerali e con le proteste delle donne. Perché questa è una rivoluzione partita dalle donne, a cui si sono uniti studenti, e ragazzi. Non si chiedono riforme, né si protesta contro l’obbligo del velo, ma per la fine del regime”. Parola di Tiziana Ciavardini, giornalista e tra le massime esperte di Iran in Italia. Paese che conosce non per sentito di dire o attraverso i racconti degli altri, dal momento che ha vissuto nella Repubblica Islamica per ben 13 anni.
Le proteste il regime islamico sono scoppiate tre mesi fa dopo la morte di Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni arrestata dalla polizia religiosa per una presunta violazione delle rigide regole sull’hijab. Da allora le manifestazioni si sono susseguite in maniera incessante, portando il regime degli Ayatollah a soffocare le rivolte con il sangue e la violenza. Oltre alle dimostrazioni per Mahsa, sono in corso le proteste per commemorare le oltre 1500 persone morte nel novembre 2019, nella repressione nota come “Novembre di sangue”, innescata dal carovita e dall'aumento del prezzo del carburante. Un mix esplosivo. Le ultime notizie parlano di quattro persone condannate a morte con l'accusa di “inimicizia contro Dio”, mentre il collettivo di attivisti dell'opposizione “1500tasvir” sostiene di aver ricevuto segnalazioni di un numero elevato di vittime a Izeh e ha accusato le forze di sicurezza di aver ucciso un bambino di 10 anni mentre era seduto in auto con la famiglia.
“Non si tratta di semplici proteste, l’obiettivo si è allargato col tempo” commenta Ciavardini, parlando della grave crisi che sta attraversando il Paese. “Non ci sono riforme che tengano, il popolo vuole la fine del regime. Non finirà presto, almeno che la repressione del governo non diventi così disumana da costringere la popolazione ad arrendersi, ma nessuno vuole desistere”. Sono drammatici i dettagli che emergono dalla vicenda del ragazzino di appena 10 anni ucciso dalle forze governative: “È stato ucciso mentre era in auto con la famiglia. Il suo corpo è stato portato a casa e messo nel ghiaccio perché i familiari hanno paura che le forze di sicurezza possano prendere il corpo. Per restituire i corpi vogliono soldi. È un regime che ha paura anche dei morti. Orrore su orrore”.
Poco a che vedere, dunque, con quanto accaduto nel 2009 e nel 2019: quella in atto è una rivoluzione a tutti gli effetti: “Per 44 anni questo popolo è stato vittima di una dittatura, ho vissuto 13 anni in Iran e in questi giorni mi chiedo come ho fatto ad accettare un sistema del genere? Come hanno fatto le persone? Ci sono discriminazioni etniche, religiose, contro le donne, ma il divieto più grave è quello che riguarda la libertà di parola”.
Questa volta l’accusa che i disordini siano provocati da qualche agente provocatore sul libro paga della CIA o del Mossad - un refrain adottato spesso dal regime dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 - non regge, o comunque non può spiegare una protesta così ampia e generalizzata, che coinvolge tutta la società iraniana, come quella in corso. “È un regime che, da sempre, pensa che al di fuori del Paese ci sia qualcuno che fomenti una guerra per prendersi le ricchezze dell’Iran. Che ci sia una grande attenzioni di molti, interessati alle risorse del Paese e alle sue materie prime, su questo sono d’accordo. Ma dire che dietro tutti i disordini ci siano Stati Uniti e Israele, questo ovviamente non è vero. Semplicemente il popolo ha preso coscienza e coraggio, la morte di Masha Amini è stata la miccia. Il suo nome rappresenta uno spartiacque nella storia dell’Iran”.
Eppure, di un Paese dalla storia millenaria come quello persiano e così strategico sotto il profilo geopolitico si sente parlare sempre così poco. “Questo dipende dal mainstream, si parla più della guerra in Ucraina perché è in Europa e per via delle conseguenze dirette, anche economiche, che subiamo” osserva Ciavardini.
Nel frattempo, la violenza continua. Anche a danno dei bambini. Come sottolinea la giornalista esperta di Iran, “sono ormai 50 i bimbi uccisi dall’inizio di queste proteste, come mai le grandi organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, l’Unicef, non hanno preso decisioni o fatto qualcosa? E non dico di introdurre nuove sanzioni, che colpiscono le fasce più deboli della popolazione e non certo i più benestanti. In questo senso ho apprezzato molto la Germania, che ha preso una posizione molto forte richiamando tutti i suoi cittadini dall’Iran”. La domanda sorge spontanea: e l’Italia cos’ha fatto? “Assolutamente nulla”.