Inorridire di fronte alla morte di una ragazza di quattordici anni presa a sassate e poi nascosta come un sacco della spazzatura, evidentemente non bastava. Nella vicenda di Martina Carbonaro, uccisa dall’ex ragazzo Alessio Tucci, ha strisciato anche il mondo dei social media e di chi, in quella cloaca, ha trovato la propria realizzazione. Il risultato è l’ennesimo mostro della ragione a cui sembriamo abituarci all’istante, facendo sfoggio di ostinata indifferenza. Ed ecco quindi che Fiorenza Cossentino, madre della ragazza, compare all’interno di un video di Patrizio Chianese, tiktoker di Afragola diventato famoso per il suo banchetto ambulante (e abusivo?) di hot dog, perché chiuso più volte dalla polizia municipale: “Ti fidi di me?”, ripete nei suoi video prima di iniziare ogni preparazione. Questa volta la cliente è la madre di Martina che, indossando un’espressione assente che obbliga chi guarda a darsi un pizzicotto per certificare la verità di ciò che sta andando in scena, assiste alla preparazione di un hot dog “dedicato a Martina” che, nelle parole di Chianese, è proprio quello che la ragazza gli “chiedeva sempre”.

La scena è al contempo grottesca, macabra e mortificante per chi guarda Cossentino. Perché sta lì, immobile, con lo sguardo fisso a terra per la maggior parte del tempo e indosso la maglia con una foto della figlia. Una televendita dello strazio di cui si fatica a capire il movente – denaro, visibilità o altro? – se non l’ormai istintiva corsa all’esibizione del tutto, condotta distillando fino all’ultima goccia di umanità; poco importa se si tratta delle frittatine di pasta o del ricordo in una ragazza brutalmente ammazzata. In questo teatro dell’aberrazione, però, Cossentino appare inespressiva, “non lucida” secondo Sergio Pisani, legale della famiglia che ha definito il video “vergognoso”. La donna, dal canto suo, è stata pesantemente criticata negli ultimi giorni per i giorni successivi alla morte della figlia: l’atteggiamento da alcuni definito “freddo” mostrato dopo il ritrovamento del corpo, il “merchandise” di magliette dedicate a Martina e, soprattutto, quella morbosa presenza televisiva imposta a poche ore dalla morte della figlia tramite interviste e dichiarazioni.

L’avvocato Pisani ha raccontato che il video sarebbe nato per caso, dopo che Chianese ha riconosciuto Cossentino fermatasi per mangiare un panino. Il tiktoker le avrebbe detto di conoscere Martina, parole che avrebbero dato alla donna “un senso di consolazione”, ha spiegato l’avvocato Pisani. Il legale ha anche aggiunto di aver richiesto immediatamente la rimozione del video non appena la famiglia si è accorta della pubblicazione. Rimozione avvenuta nel tardo pomeriggio di domenica, quando ormai le immagini erano circolate ovunque. Ciò che è successo nel mentre, ormai lo conosciamo a memoria: le polemiche montano sempre di più, il pubblico si affretta a trovare una posizione dietro la quale trincerarsi, il dibattito si divide e la bava alla bocca dei commentatori aumenta foraggiata dall’algortimo. C’è chi incolpa Chianese di sfruttare la pornografia del dolore per risollevare il proprio, fallimentare, business – in passato il tiktoker aveva annunciato l’apertura, nei fatti mai avvenuta, di un negozio – chi inchioda la madre tacciandola di lucrare sulla morte della figlia, chi la difende sostenendo che “Fiorenza Cossentino oggi va tutelata” eccetera eccetera. Ma l’impressione è che tutto questo sia frutto di un meccanismo meno intenzionale di quanto appaia, dove la contezza del rapporto di causa-effetto che dovrebbe soggiacere a ogni scelta individuale è evaporata, lasciando il posto a una morbosità bulimica e amorale perfettamente sincronizzata ai tempi disumani dei social media. Ciò che ne consegue è una condizione dove il piano della realtà e quello virtuale non sono solo intrecciati, ma ormai indistinguibili. Ormai si pensa e agisce per come si crede di essere percepiti. E tutto questo accade parallelamente alla tremenda uccisione di una ragazza di quattordici anni per mano di un ragazzo di diciannove. Un caso dovrebbe far sollevare un’emergenza nazionale per quanto riguarda il futuro delle nostre società. Dove sono le commissioni di inchiesta, dove sono i piani straordinari della politica? Forse è una risposta che non vogliamo sapere davvero.

Domenica sera, durante il programma “In altre parole”, condotto da Massimo Gramellini su La7, il giornalista ha criticato il fatto che la vicenda di Martina Carbonaro fosse commentata su piani che non riguardassero strettamente quello – legittimo – del femminicidio e della lotta al patriarcato: “Il fatto che nel 2025 c’è un ragazzo che ammazza una ragazza per un rifiuto a colpi di pietra, come non succedeva neanche a tempi di Neanderthal, non sembra colpirci. Ciò che ci indigna davvero sono l’età della vittima e il comportamento dei suoi genitori”, ha detto. Nei giorni passati, infatti si era polemizzato molto sulla relazione precoce di Carbonaro con un ragazzo più grande e della mancata supervisione dei genitori che, anzi, avrebbero appoggiato il rapporto con Tucci. Una posizione che probabilmente avrebbe riguardato anche la vicenda del video, pubblicato solo poche ore prima della trasmissione. Ma come ci si può rifiutare di riflettere sulle dinamiche di quel teatro dell’aberrazione che sanno essere i social media, dove si esibisce lo strazio di una madre che ha perso una figlia come fossero frittatine di pasta? Perché sollevare il tema della “morbosità” nella società moderna potrebbe forse aiutare a percepire ciò che accade non come una sequenza di fatti isolati da affrontare in modo dogmatico e proponendo ricette identitarie – a destra come a sinistra – ma come tessere di un puzzle più ampio, in cui ad essere minacciati sono i concetti di empatia, relazione e in, ultimo, quello di comunità.
