All’alba del 24 febbraio la Federazione Russa invade l'Ucraina. Da quella mattina l'Europa è di fatto in guerra. Si scontrano due Stati già in conflitto da otto anni, anche se tutti sembravano averlo dimenticato. Torna il fantasma della guerra fredda e il timore di un'escalation nucleare globale. Quello che doveva essere un conflitto lampo diventa invece un unico giorno senza fine. E proprio Un giorno senza fine (Ponte alle grazie) è il titolo del libro in cui la giornalista Annalisa Camilli racconta i suoi due viaggi in Ucraina e ci mette davanti volti, fatti e testimonianze di chi ha scelto di vivere nel sottosuolo delle città ridotte in macerie, è stato costretto a fuggire o – letteralmente - ha perso tutto.
Prima di parlare del libro, un commento su quello che sta succedendo in Italia. Mi riferisco naturalmente agli audio di Berlusconi…
Non ritengo che questi audio potranno in qualche modo minare la tenuta della coalizione che sarà chiamata a governare. Troveranno un modo per ricompattarsi perché l’occasione di andare al governo con una maggioranza così ampia è troppo ghiotta. E poi conosciamo la storia di Berlusconi e Putin e sono dichiarazioni che in qualche modo potevamo aspettarci. Il punto secondo me è un altro ed è più sottile.
Qual è il punto?
Antonio Tajani. Si vuole colpire chi , per la sua attività in Europa negli anni, viene indicato oggi come possibile Ministro degli Esteri, ma che da qualcuno è probabilmente mal visto.
Meloni e Salvini invece come guardano alla guerra in Ucraina?
Da quando ha vinto le elezioni il centrodestra questa è una delle principali questioni di cui si è parlato, perché all’interno della coalizione esistono diverse posizioni. Da una parte c’è la Meloni che pur avendo fatto opposizione a Draghi ha espresso sostegno all’Ucraina e al suo popolo, rassicurando che non avrebbe allontanato l’Italia dalle posizioni draghiane. Salvini invece ha sempre avuto posizioni molto vicine alla Russia e in un certo senso l’elezione di Lorenzo Fontana a Presidente della Camera lo dimostra: un uomo da sempre dichiaratosi filo-Putin e che da europarlamentare andò in Crimea durante il referendum del 2014 a fare da osservatore. Aggiungo ancora una cosa sull’audio di Berlusconi…
Prego…
Non pensiamo a lui semplicemente come all’amico di Putin. Berlusconi ha da sempre la grande capacità di
piazzarsi lì dove risiede il sentimento popolare. E oggi la maggior parte dei sondaggi ci dice che gli italiani sono contrari all’invio di armi e iniziano ad avere pareri contrastanti sull’operato di Zelensky.
Apri Un giorno senza fine con una frase di Paolo Rumiz: “La percezione del pericolo, non aumenta, ma diminuisce con l’avvicinarsi dello stesso”. Ma era davvero prevedibile l’invasione?
Le avvisaglie c’erano. C’erano importanti movimenti di truppe al confine, del resto non si può fare un‘invasione su tre fronti senza mobilitare un altissimo numero di uomini e mezzi. L’intelligence americana aveva lanciato un’allerta che gli stessi ucraini e i governi europei hanno sottovalutato.
Come mai?
Si riteneva non plausibile un attacco su larga scala e piuttosto si pensava che, nel caso, avrebbe riguardato le repubbliche separatiste di Donetsk e di Lugansk. Territori che di fatto erano già in guerra dal 2014.
Marzo 2022 il primo dei tuoi viaggi in Ucraina. Ricordi la prima cosa che hai pensato quando sei arrivata?
Sono entrata in Ucraina dal confine con la Polonia, dalla città di Medyka. Qui ho chiesto un passaggio a un convoglio umanitario. Ricordo che appena superata la frontiera ci siamo trovati davanti migliaia di persone in fila. Prevalentemente donne e bambini, tutti coperti perché faceva freddo e aspettavano di essere controllati dalla polizia di frontiera. Una quantità di persone mai viste. Un ricordo ancora vivo e che mi ha riportato alla mente le immagini degli ebrei in fuga dalle occupazioni naziste.
Racconti di una famiglia di Bucha sterminata mentre era in macchina e probabilmente cercava di scappare. Tutti senza identità e sepolti con la targa della macchina al posto della lapide perché magari un giorno qualcuno darà loro dei nomi… Cosa significa Bucha per questa guerra.
Ancora prima che arrivassero le immagini che hanno fatto il giro del mondo, chi scappava da Bucha parlava di fosse comuni, di torture e di cadaveri lasciati lungo strada. Ed erano racconti di persone comuni, anziani, bambini, famiglie e non di certo di militari. Dicevano di essere stati per giorni senza acqua e cibo con la paura di uscire di casa perché i russi sparavano sui civili. Poi sono arrivate le immagini a rendere questi racconti ancora più reali.
Tu ci sei stata a Bucha…
Uno dei primi posti che ho visitato è stato l’obitorio. Lì arrivavano tutti i cadaveri ritrovati nei boschi e nelle fosse comuni, alcuni erano stati sepolti dai vicini di casa. Lì ho incontrato una rete di volontari
che cercava di dare un nome a queste persone, di trovare i loro parenti. Denis, un abitante di Bucha, mi ha raccontato di aver perso suo fratello e di averlo riconosciuto solo perché era stato ucciso in sella alla sua moto e il corpo era rimasto vicino al mezzo. Oppure mi viene in mente il parroco della chiesa di Bucha che ha dovuto scavare una fossa comune perché non c’era più letteralmente spazio per i cadaveri.
Qual è secondo te il ruolo del giornalista in questa guerra?
Vedo una doppia funzione, da una parte raccogliamo storie per far capire le atrocità della guerra a chi non la sta vivendo e magari riceve solo immagini drammatiche che rischiano di diventare incomprensibili se non ben contestualizzate. E poi credo sia fondamentale raccogliere testimonianze sui possibili crimini di guerra che si stanno compiendo. Questa è una cosa a cui tengo molto perché anche nell’atrocità di una guerra ci sono delle regole da rispettare: non si spara sui civili, non si attaccano gli ospedali, non si tortura, non si stupra, si rispettano i corridoi umanitari…
Nel tuo libro in chiusura c’è una cronologia. La prima data è il 26 aprile 1986, il giorno dell’incidente di Chernobyl. Come mai parti da lì?
Il libro nasce sapendo di raccontare un conflitto in corso e quindi cerca di fornire materiali per contestualizzare e approfondire quello che sta avvenendo. Oggi viene sventolata la minaccia nucleare, ma l’Europa, anche se non era un guerra, questa minaccia l’ha vissuta concretamente con Chernobyl. Un passato recente che abbiamo rimosso frettolosamente e oggi con una certa superficialità parliamo sentiamo parlare di minaccia atomica…
Hai già in testa un terzo viaggio per continuare il tuo racconto di questa guerra?
Sicuramente sì e partirò da Kiev. Ricomincerò da questa città simbolo che non è caduta, ha resistito e che oggi subisce attacchi con i droni. La guerra sta cambiando e la Russia è in difficoltà. Putin ha annunciato che smetterà di attaccare su larga scala, ma più che l’inizio di una tregua sembra un bisogno necessario alla Russia per far riprendere fiato al suo esercito e riordinare le idee.