In un frangente bellico che sta sfiorando la guerra nucleare, l’unica, flebile ma ancora non del tutto sopita speranza è che la diplomazia riprenda a funzionare. Ma ci vorrebbe un miracolo. “Non grande, diciamo un piccolo miracolo”, butta lì Fabio Mini - che abbiamo incontrato a Libropolis, festival dell'editoria e del giornalismo - quasi scherzando (“anche se non c’è nulla da scherzare”, aggiunge). In pensione con i gradi di Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito, è stato Capo di Stato Maggiore della Nato per l’Europa meridionale e nel 2002-2003 comandante delle forze atlantiche nella guerra in Kosovo. Scrittore e commentatore di geopolitica e strategia militare per varie testate, tra cui il Fatto Quotidiano, in questa intervista apre la mappa e fa il punto della situazione.
Generale Mini, con i bombardamenti sulle città ucraine la Russia a cosa punta?
Intanto, già il cambio di comandante, con la nomina di Sergey Surovikin, che è un esperto di forze strategiche, indica un cambiamento nell’atteggiamento russo, non più concentrato solo sul livello tattico terrestre, ma anche sull’impiego dell’arma aerea, che finora ha svolto un ruolo minore.
Surovikin è considerato un falco.
Il falco dei falchi… Ma lascerei stare queste definizioni. C’è, nelle forze armate russe, un componente molto “militaresca”, nel senso che pensa lo strumento militare russo non possa piegarsi alle uscite né di Zelenskij né dei suoi amici della Nato, che saremmo poi noi. Si tratta di una fazione interna che, di fronte agli scarsi risultati finora ottenuti, spinge per un’azione più decisa. I bombardamenti sono finora missilistici, ma potrebbero diventare anche aerei. E non sto parlando solo di Kiev, ma anche di altre città.
Per esempio?
Penso a Dnipro, fondamentale per ragioni strategiche, visto che è un centro industriale di primissimo livello ed è sul fiume Dnepr. Fornisce tutti i missili terra-aria, le torrette dei carri armati e i cannoni, da sempre, prima all’Unione Sovietica e alla Russia oggi, anzi fino a tre mesi fa, e inoltre è importante perché era nelle mani di un oligarca ucraino, Igor Kolomojiskji, che aveva fondato e finanziato agli inizi il Battaglione Azov. In ogni caso, stiamo parlando di obbiettivi che comprendono tutti delle abitazioni civili e quant’altro si possa trovare in un centro urbano.
Putin ha dichiarato che tutti gli obbiettivi sono stati raggiunti, nella prima giornata di questa operazione. Credibile?
Per battere degli obbiettivi puntiformi, che sono già stati registrati e presi di mira, direi di sì. Non dobbiamo continuare con questa falsa credenza che i russi non abbiano colpito finora le città perché non hanno i mezzi. Non è vero niente. Hanno i piani con i target già stabiliti, con la coordinate precise. Basta scegliere il momento in cui procedere. Poi, che dentro ci sia o non ci sia qualcuno, non ha importanza:l’importante è mettere fuori gioco le strutture. Soprattutto, nel caso di Kiev, far fuori quella sicurezza che Kiev si è costruita. A Kiev, secondo me, stanno cercando di bombardare i centri di comunicazione e di comando, che sono infilati nei palazzi dentro la città.
Ma quindi i russi stanno solo cambiando modalità di attacco?
Io l’ho sempre detto, fin dal primo giorno: non bisogna avere paura dei russi che arrivano con i carri armati, non bisogna guardare per terra, bisogna guardare in aria. Il pericolo vero viene dall’alto, non dai carri armati, che devono essere a 50 metri dall’obbiettivo.
Ma basterà, ai russi? O dobbiamo aspettarci altre vittime civili?
Se questi non vogliono essere colpi isolati solo con l’intento di far recedere Zelenskij e gli occidentali da ulteriori azioni, allora potrebbero bastare. Ma mi pare che Putin abbia dichiarato che colpirà se gli ucraini non commetteranno più azioni terroristiche. Questo se vuol dire che non è stata lanciato una campagna totale, c’è ancora un margine per passare a un gradino successivo. Come dire: intanto vi mostro quel che sono capace di fare, se continuate, faremo di più.
Sembra di assistere a una logica di ritorsione reciproca: gli ucraini fanno saltare il ponte di Kerch, che ha il suo peso logistico ma anche politico perché collega con la Crimea, e i russi rispondono scatenando la rappresaglia dal cielo. È corretto?
Assolutamente. Anzi, questa sarebbe propriamente la dottrina militare. Non solo russa, anche nostra, nella Nato. È la famosa “risposta flessibile”. Cioè: la reazione deve essere pari all’offesa. Questo almeno fino a quando uno dei contendenti non sbrocca, preso dall’entusiasmo o dalla frustrazione, che in una guerra sono sentimenti che convivono. Anzi, le dirò: mi sembrava strano che non fosse stata finora applicata, una dinamica paritetica. Infatti finora non c’era stata: ci sono state azioni uno contro l’altro, uno vince uno perde, e chi perde se ne va. Ecco, c’erano stati solo quegli attacchi ai depositi di munizioni, mesi fa, ma erano delle provocazioni. C’è però da sottolineare un fatto: al sabotaggio di un ponte, per quanto importante sia, non può corrispondere il bombardamento di cinque città e quattordici regioni. La Russia ha risposto elevando la minaccia e portandola nei centri abitati, specialmente a Kiev, che in questa fase è la più importante.
Perciò non è paritetica, come ritorsione. E chi ha cercato di distruggere il ponte di Kerch sapeva della sua importanza, anche simbolica.
Chi ha cercato di farlo saltare non solo ne conosceva l’importanza, ma anche il rischio che l’azione comportava.
Il New York Times scrive che dietro ci sarebbero, com’è del resto ovvio, gli ucraini, che avrebbero piazzato un camion con un bomba. Fattibile?
Il New York Times a mio parere riporta informazioni che gli passa o il Pentagono, o addirittura le sue fonti ucraine. Certo è che chi si è preso la responsabilità di attaccare quel ponte in quel modo, così plateale, ovvero l’Ucraina, non ha agito come chi ha sabotato i tubi del North Stream. Ma anche in quel caso, non c’è stata rivendicazione ufficiale. Il NYT ha scritto che è difficile pensare siano stati i russi, probabilmente anche qui riprendendo informatori ucraini. La cosa che sorprende è che gli Americani facciano le verginelle, fingendo di arrabbiarsi perché non sarebbero stati avvertiti. Questa è una foglia di fico che non regge. Se fosse così, sarebbe perfino peggio: perché significa che non controllano chi sta facendo la guerra per conto loro, un loro alleato che alleato non è, perché in realtà l’Ucraina è un vassallo degli Stati Uniti. Siamo davanti a un gioco della parti.
Ma quindi gli Usa sarebbero davvero irritati dall’oltranzismo dell’Ucraina, che sta tentando di alzare il livello dello scontro?
Zelenskij, o chi per lui, visto che è dall’inizio del conflitto che è evidente quanto non sia autonomo ma dipenda da Svoboda (il partito di estrema destra, ndr) e dall’ex ministero della Sicurezza e da coloro che oggi controllano il ministero dell’Interno, Zelenskij, dicevo, non può fare nulla senza dirlo prima agli Americani. Anche perché gli Americani gli forniscono i satelliti per monitorare le azioni sul territorio e rivelare la posizioni dei convogli e degli altri obbiettivi da colpire. Poi è vero, ci sono anche formazioni militari o paramilitari che agiscono di testa propria, e nemmeno informano Zelenskij. Sono gli elementi più estremisti.
Ritiene verosimile la voce di trattative segrete in corso fra Usa e Russia in paesi terzi?
Sì. Ma a tutto sta a vedere a che livello. Secondo me oggi è al quarto. Mi spiego: al livello Casa Bianca, non si muove niente; al livello Dipartimento di Stato, nemmeno; al livello Pentagono, neanche; ma al livello inferiore, quello per capirci che gestisce la fornitura di armi all’Ucraina, è possibile. Però attenzione: per una trattativa seria, bisogna coprirli tutti e quattro. Se già per due volte gli Stati Uniti fanno trapelare che non sono soddisfatti di quel che sta facendo Zelenskji, significa che si stanno rendendo conto del pericolo costituito da uno che neppure controlla i suoi. La prossima fase sarà dichiarare che è crollato psicologicamente, che è matto, che è impazzito. E quando un leader viene presentato dagli Stati Uniti come un pazzo e un inaffidabile, è perduto, è finito.
Nel frattempo però gli ucraini hanno riguadagnato terreno, nelle ultime settimane. Cosa prevede, sul fronte di terra?
Gli ucraini si stanno preparando all’inverno, e hanno bisogno di mantenere il territorio che durante il periodo invernale sarà più difficile tenere, mentre i russi hanno bisogno di tempo per consolidarsi. In questo momento sul terreno è una lotta fra cani per un osso, che è il tempo. Andiamo senz’altro verso una guerra più di posizione che di movimento.
E le nostre armi su cui tanto è divisa l’opinione pubblica, stanno contribuendo alla capacità militare dell’Ucraina?
No, non stanno contribuendo. Le nostre armi non servono a niente. Gli FH 70, che sono degli obici che sì, sparano, siamo d’accordo, ma non fanno nessuna differenza. Secondo me molte armi che abbiamo dato, intendo noi europei, sono finite già sul mercato nero.
Il governo Meloni di imminente formazione promette di proseguire sulla stessa strada. Non ce n’è proprio una alternativa?
Noi come Italia ci siamo giocati la credibilità che avevamo e che era fenomenale: da una parte siamo da una vita fedeli alleati degli Stati Uniti, ma in più avevamo guadagnato la fiducia, per motivi economici, del governo russo e anche l’ammirazione, vorrei dire l’amore del popolo russo, che stravede per gli italiani. La nostra possibilità diplomatica oggi è azzerata. A meno di un miracolo. Anche piccolo.
Miracolo?
Secondo me esiste la possibilità che con il nuovo governo, al ministero degli Esteri, ci sia qualcuno che chiarisca come stanno le cose e che indichi di riproporsi come negoziatori. Anzi, per dirla tutta noi abbiamo rinunciato al ruolo di interlocutore. Con i russi, allo stato attuale, non ci possiamo neanche più parlare. L’ormai ex ministro degli Esteri si è tagliato tutti i ponti alle spalle. Ma io spero che un piccolo miracolo possa avvenire.
Parla del nostro prossimo ministro degli Esteri? Sa chi sarà?
Parlo di un piccolo… miracolo. Non mi faccia dire di più.