Alberto Negri, dopo un periodo iniziale come ricercatore all’Ispi, è diventato una delle voci più competenti del giornalismo italiano, tiene corsi alla Luiss, segue la formazioni dei giovani giornalisti per Il Sole 24 Ore ed è stato redattore della rivista Relazioni internazionali. Di recente è stato tra i primi a inquadrare la situazione russo-ucraina anche in programmi come Piazzapulita e ha scritto per Il Manifesto molti articoli su questo tema. Gli abbiamo chiesto di rispondere ad alcune domande, dalla crisi del gas all’attentato a Dugin, passando per la situazione Italia. È proprio quest’ultima a preoccupare Negri, che si pone la domanda “che nessun altro in Italia si è mai posto”.
L’andamento dei prezzi ha ricevuto un’ulteriore stoccata, quando ad Amsterdam l’apertura era di 291 euro a megawattora (poi 265 euro). Per lei si tratta di speculazione o di rialzi strutturali?
Di passeggero non mi sembra ci sia molto in questo periodo. I prezzi si erano alzati già prima della guerra in Ucraina, poi sono stati confermati per via delle problematicità delle forniture della Russia. Anche l’interruzione recente del Nord Stream potrebbe provocare ulteriori rialzi del gas. Per l’Italia, come per la Germania, la situazione è abbastanza critica. In questa campagna delirante si sono sentiti discorsi su tutto tranne che su questo, nonostante si stia già parlando di razionamento.
C’è chi parla di recessione.
La recessione è già in atto, è evidente. Prima di tutto la nostra crescita è molto inferiore a quella che il governo prevedeva mesi fa. L’inflazione al 10% aggiungerà una nuova “tassa” ai debiti e ai consumi degli italiani. Poi ci dimentichiamo di un dato fondamentale, il debito pubblico. Il debito pubblico viene sostenuto dall’acquisto dei titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea. Dal momento che ci si potrebbe scontrare con una parte centrale europea, ci si scontra anche con chi fino a ieri ha comprato i nostri titoli. Tutto il resto diventa molto vano.
La proposta di PD e Azione sulla falsa riga del modello spagnolo come le sembra?
Forse è l’unica strada praticabile nel momento stesso in cui l’Europa non riesce a trovare un accordo sul prezzo del gas. A quel punto dovrà entrare in gioco la mano pubblica con un calmiere dei prezzi per renderli più accessibili ai consumatori e soprattutto alle imprese che rischiano di non sostenere la concorrenza internazionale.
Crede che la scoperta del giacimento di gas a Cipro da parte di Eni e Total possa dare sicurezza all’Eurozona?
È un’illusione, per ora. La scoperta è una buona notizia in sé, ma prima di diventare un sito operativo passeranno almeno due anni. Per non parlare degli accordi con l’Algeria del governo Draghi, che cambieranno davvero poco e solo a partire dal 2023. Bisogna essere giustamente preoccupati, sia per il rialzo dei prezzi che per i razionamenti.
Crede che l’attentato a Dugin in cui ha perso la vita sua figlia Daria Dugina abbia una matrice occidentale? Se sì crede che abbia avuto valore strategico? L’obiettivo era davvero Dugin o la figlia?
Al di là delle ipotesi su chi fosse il bersaglio e chi l’attentatore, il fatto centrale è che questo attentato porta la guerra dentro la Russia. Ecco perché questo attentato è importante, dal momento che allarga il fronte del conflitto in un modo o nell’altro, sia se sia stato il risultato di uno scontro interno alla Russia o esterno. Non si vede all’orizzonte una soluzione diplomatica, quindi l’aggravarsi del conflitto dovrebbe metterci paura.
Come si sta comportando a livello diplomatico l’Europa?
L’Europa è completamente assente ma da molto prima. L’uscita di Angela Merkel ha chiuso i canali tra europei e Mosca. Tranne qualche tentativo di Emmanuel Macron, sostanzialmente l’Europa si è allineata alle sanzioni proposte dagli Stati Uniti. È la Turchia che, bisogna ammetterlo, ha dato il maggior contributo diplomatico. L’Europa ha una classe dirigente che poco ci manca a fare brutta figura come quella italiana, mi dispiace dirlo. La Von der Leyen è una signora non credibile, non sa affrontare nessuna delle emergenze che si stanno presentando. Non parliamo del rappresentate della politica estera Borrell che, sinceramente, non mi sembra uno che stia agendo per la diplomazia europea, preferendo semplicemente accettare i diktat della Nato. L’Unione europa è arrivata a questa crisi con il solito problema: assenza di una politica estera e di una politica di difesa comune. Lo stiamo scontato giorno per giorno.
Tolta di mezzo la Cina, viste le tensioni con gli Stati Uniti, quale crede che sia il Paese che più di tutti potrà mediare nella crisi russo-ucraina?
La Turchia. Ma bisogna riflettere sul ruolo di questo Paese. È un Paese della Nato ma che ha rapporti stretti con Putin, anche se talvolta conflittuali (si veda la Siria). Ma sicuramente Erdoğan ha fatto valere la posizione del suo Paese e non da oggi. Ricordiamoci che è stato Erdoğan nel 2019 a intervenire in Libia per tenere lontano Haftar da Tripoli, mentre l’Occidente non ha fatto nulla. Il ruolo di mediazione di Erdoğan si inserisce nel vuoto lasciato dall’Europa. Gli europei ripetono a pappagallo delle formule ma poi non fanno nulla. La stessa alleanza atlantica, per esempio, dopo aver bombardato la Libia nel 2011, non è stata in grado di intervenire per tenere lontano Haftar a Tripoli quando c’era un governo riconosciuto internazionalmente dalle Nazioni Unite. Poi il 2021, con il disastro in Afghanistan. È con questa credibilità che l’Europa e la Nato si sono presentati al mondo. Diffcile chiedere alla Cina un ruolo di mediazione nel momento stesso in cui gli Stati Uniti aumentano la tensione, vedi le notizie su Taiwan e la visita a Taipei di Nancy Pelosi. Voglio sottolineare una cosa. Sono due anni che in Italia non abbiamo un ambasciatore americano. Si dice che per quel ruolo, nel caso in cui i democratici perdessero – molto probabile - le elezioni di medio termine, sia pronta proprio Nancy Pelosi. Ora, in un Paese dove tutti si proclamano atlantisti, filo-americani, filo-israeliani, non c’è l’ambasciatore americano. Provate a trarne le conseguenze.
Per lei quali sono?
Se il nostro principale alleato lascia l’Italia per due anni senza un ambasciatore, vuol dire che il peso del nostro Paese è sceso sotto lo zero. Ma stiamo scherzando, le sembra possibile? Dobbiamo aspettare Nancy Pelosi dopo le elezioni di mezzo termine? Io non ho mai visto una cosa del genere in oltre settant’anni di storia della Repubblica. L’Italia è considerata un Paese di serie B, forse anche di serie C.
Quali sono esattamente i rapporti tra Salvini, Meloni e il Cremlino? Magari agli occhi della Russia non siamo un Paese di serie B.
Anche agli occhi della Russia siamo un Paese di serie B. Ma il problema sono i nostri partner e il trattamento che ci hanno riservato a partire dal 2011, quando abbiamo attaccato la Libia di Gheddafi, con cui aveva stretto accordi soltanto sei mesi prima a Roma il 30 agosto del 2010. Quando un Paese viene trattato come un tappetino, come è successo all’Italia, non ci sono molti margini. Non è questione di come ci vede la Russia, ma come ci vedono Nato e alleati. All’Italia, nonostante le indicazioni iniziali, non è stato nessun ruolo di regia con la Libia. Non solo, abbiamo perso il nostro principale partner commerciale nel Mediterraneo.
Nessun italiano conta per Mosca?
Solo Berlusconi. Berlusconi e le imprese italiane. Gli altri sono considerati soltanto dei camerieri da Mosca. Sono espedienti per far chiacchiere sui giornali.
Davvero non contiamo nulla?
Il gas dall’Algeria è arrivato perché nel novembre del 2021 il presidente della Repubblica Mattarella ha fatto una visita si Stato di tre giorni e ha scoperto in una piazza di Algeri una statua di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni e anche colui che aveva finanziato la lotta anticoloniale algerina contro la Francia. Motivi contingenti e storici ci dicono che il ruolo del nostro Paese nel Mediterraneo è sceso sotto zero. O dobbiamo ricordare il caso Regeni e i rapporti con l’Egitto? Abbiamo subito senza reagire attacchi di Francia, Usa e Nato che hanno indebolito il nostro ruolo nel Mediterraneo.
Possiamo tornare ad avere un ruolo importante nelle relazioni internazionali?
Poche chiacchiere. L’Italia è già stata cacciata in serie B nel 2011 con l’attacco al regime di Gheddafi. L’Italia ha un gasdotto con la Libia di 570 km con una portata di 30miliardi di metri cubi, forse ne arriveranno tre o quattro. Secondo, i pozzi petroliferi dell’Eni in Libia sono di proprietà italiana che oggi non buttano il petrolio che dovrebbero. L’attacco del 2011 ha significato la perdita di contratti con la Libia per 55miliardi di euro, l’arrivo dei profughi, il disordine totale sulle coste libiche, la nostra sottomissione ai partner europei e anche a quelli regionali, Turchia compresa. Si parla del gas, ma quale gas? Perché non parliamo di quello che avevamo già? La nostra dipendenza dalla Russia è stata dovuta anche alla perdita del nostro peso in Libia. Nessuno ha chiesto il nostro parere su questo. La vera guerra per l’Italia non è quella ucraina, ma quella che abbiamo già perduto 10 anni fa. E perdiamo tutte le volte l’occasione per provare a contare qualcosa nelle coste che stanno sotto casa nostra, nel nostro spazio vitale.
Nessuno alle prossime elezioni potrà fare la voce grossa in Europa, per farci sentire?
Non serve a niente la voce grossa. Le faccio un esempio. Nel novembre del 2019 il vicepremier libico Maitig arriva a Roma per chiederci un piccolo aiuto militare per cacciare il generale Haftar. Siamo andati in Afghanistan, in Libano, in Iraq, ovunque. Ma non siamo stati in grado di dare al legittimo governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite un piccolo aiuto militare. A quel punto è entrato Erdoğan. Non si tratta di fare la voce grossa qui, ma di prendere decisioni. Quando ai nuovi governi possibili, sono tutti sullo stesso piano. L’Italia non è in grado di prendere decisioni per se stessa, perché è un Paese indipendente ma non sovrano. I famosi discorsi sul sovranismo del centrodestra fanno ridere, perché ogni volta dichiarano la loro sottomissione alla Nato e agli Stati Uniti e non sono in grado di difendere gli interessi nazionali. Il problema non è di uno, ma strutturale. Le ricordo le vicende di Moro, Andreotti e Craxi che, in qualche modo, hanno saputo difendere gli interessi del Paese. Da almeno una generazione la nostra classe dirigente non è più in grado di farlo.