La morte di Daria Dugina, la figlia del filosofo nazionalista russo Aleksandr Dugin, avrebbe già un colpevole, secondo l’intelligence di Mosca: si tratterebbe dell’ucraina Natalya Pavlovna Vovk, che sarebbe riuscita a entrare in Russia a fine luglio e sarebbe scappata subito dopo l’attentato in Estonia. Quando si tratta di servizi segreti, però, il dubbio è obbligatorio e ipotizzare altre piste è lecito. Lo scrittore Nicolai Lilin, che vive in Italia ma segue quotidianamente le vicende in patria, non esclude altre ipotesi. In questa intervista le elenca in dettaglio. Ma prima, sottolinea, serve chiarire la “questione Dugin”.
A cosa si riferisce quando parla di “questione Dugin”?
La chiamo così perché la figura di questo filosofo è cresciuta a dismisura, in proporzioni da leggenda metropolitana. Il primo mito da sfatare è considerarlo l’ideologo di Putin. In realtà ne è lontano anni luce. È uno dei massimi rappresentanti dell’estrema destra ortodossa russa. Il mondo della destra russa è molto vasto e variegato, esattamente come in Italia, dove si va dalla destra moderata a quella radicale, fino ai nostalgici del fascismo e del Terzo Reich. In Russia c’è una destra sotterranea, che non è vista di buon occhio da Putin, anzi viene perseguitata esattamente come viene perseguitato Navalny, che è sponsorizzato dalle oligarchie occidentali. Uno dei più grandi leader di questa galassia è stato Eduard Limonov, con cui Dugin ha co-fondato il Partito Nazional-Bolscevico. Ecco, per fare un paragone rozzo, possiamo dire che se Limonov era Hitler, Dugin era Goebbels.
Quindi Dugin è esattamente il contrario di come viene fatto passare qui in Italia?
Dugin non solo è un oppositore di Putin, ma nel 2014 criticava duramente Putin e il suo entourage perché avrebbe voluto già allora la guerra all’Ucraina. La parte di società russa legata a questo estremismo di tipo politico e religioso contrastava Putin al punto che all’epoca alle elezioni scese al 64%. Appena invece ha mosso le truppe fuori dai confini, in una “guerra santa” che Dugin e i suoi camerati sognavano da tempo, ecco che il consenso stando ai sondaggi è risalito all’86%.
Cosa pensano di Putin, esattamente?
Hanno sfiducia in lui. Anzitutto, perché è un kgbista, e questa gente non ama chi proviene dalle forze armate e di sicurezza. Preferiscono gli appartenenti a quell’élite ricca di intellettuali e artisti, figli di ingegneri e funzionari sovietici delusi negli anni ’80 perché aspiravano a svolte estremiste. Ma questo c’è sempre stato, fin dai tempi dell’Unione Sovietica c’era un filone nazionalista in continuità con il passato della Russia. Ecco, Dugin è uno di quelli che pensano a una predestinazione della Russia a un ruolo di grande potenza nel mondo, la Terza Roma dopo la quale non ce ne sarà una quarta.
E Putin cosa pensa di Dugin?
Putin non prenderà mai in considerazione le idee di Dugin per due motivi. Uno: Putin non accetta consigli da nessuno, decide tutto da solo, e guai a chi si permette di farlo. Prende decisioni in base a calcoli che dimostrano quanto sia una persona estremamente intelligente e fredda, che è riuscito a emergere nella lotta di potere come lo squalo più abile. Secondo: Dugin non rappresenta l’ideologia geopolitica di Putin. Se avesse seguito Dugin, Putin avrebbe dovuto spianare l’Ucraina nel 2014, usando anche l’atomica. Dugin ha posizioni molto violente, per lo meno nella sua retorica. Putin invece sta cercando di condurre la guerra non soltanto con le armi, ma, vedrete, anche a colpi di referendum, come è stato per la Crimea. Non può arrivare lì e demolire tutto.
L’ultima notizia uscita sul caso Dugin è che secondo l’Fsb, il servizio segreto russo, la mano che ha preparato l’attentato sarebbe di un’ucraina. È verosimile, a suo parere?
Se l’Fsb ha informazioni accertate, allora è probabile che sia stata la donna ucraina che forse ha lavorato con altre persone, perché piazzare una bomba da sola, o sei un’operativa seria, o rischi di saltare. Per gli ucraini, sarebbe un messaggio rivolto alla destra radicale russa, per esempio al battaglione Wagner, composto da elementi nazionalisti ortodossi con chiare derive verso l’estremismo di destra europeo. Colpire un Dugin vorrebbe dire che sono in grado di colpire i loro ideologi, che fanno da motivatori a quei russi nazionalisti che in Donbass non fanno che rompere le scatole facendo propaganda di basso livello, anzitutto alle autorità russe. Se posso fare un commento più personale, avendo io frequentato quel tipo di ambiente per essere stato nella Gru (il servizio segreto militare, ndr) e avendo conosciuto degli operativi veri, posso assicurare che uccidere una persona con un’autobomba, per loro, è un segno di fallimento. Non lavorano in questo modo, se vogliono uccidere qualcuno ricorrono a modalità più raffinate: o lo fanno sparire, o lo avvelenano. Se dovessero essere stati i servizi segreti, possono aver ricevuto un messaggio del tipo “siamo stanchi di questo Dugin, si mette troppo in mezzo, ci mette in difficoltà a livello d’immagine”. Se però lo si mette in carcere, come Navalny, si sospetterebbe che dietro ci sono loro. Allora meglio far credere che siano stati gli ucraini, mettendo un’autobomba come si faceva negli anni ’90, con un classico depistaggio. E così ora gli ambienti di estrema destra, per quanto siano agguerriti, mi scusi il termine, ma si sono cagati addosso, diventando tutti improvvisamente moderati e prendendo le distanze da Dugin. Se il messaggio è arrivato dal Cremlino, è stato chiaro: questo è solo l’inizio. Il primo è stato Dugin, poi ce ne sarà un terzo, un quarto, un quinto.
A caldo, secondo il quotidiano inglese The Guardian era arrivata una rivendicazione da parte di Ilya Ponomarev, ex deputato russo dissidente che vive in Ucraina. Plausibile, a questo punto?
L’Ucraina, purtroppo, è un Paese completamente fallito. Ha perso la guerra, e non tornerà mai più com’era. Il fronte sta cedendo, gli occidentali si sono stancati, e gli ucraini sono come i tedeschi nel maggio del 1945, continuano a credere nella vittoria finale. Ho il cuore che sanguina per gli ucraini, ma purtroppo la realtà è diversa dalla retorica. Ponomarev è un personaggio ambiguo, che ha bisogno di lanciare il messaggio che dall’Ucraina sono capaci di colpire arrivando fino a Mosca. Ma la teoria più probabile, secondo me, è un’altra.
Quale?
C’è un rapporto molto malato fra Dugin e il miliardario russo Konstantin Malofeev. Si tratta di una persona molto furba, molto estremista, un fascista da paura, che odia gli ebrei e se ne esce con affermazioni agghiaccianti, molto critico con Putin soprattutto per come quest’ultimo ha gestito la politica in Caucaso. Secondo lui Putin ha commesso un grave errore quando ha confermato lo status autonomo della Cecenia islamica all’interno della Federazione. Secondo lui doveva essere trasformata in un governatorato militare dove non sono in vigore le leggi civili ma opera un tribunale militare, e dove la religione ortodossa sia riconosciuta come l’unica. Malofeev ha creato un canale televisivo apposta per Dugin, che si chiama Tsagrad, che significa “città dello zar”, come una volta veniva chiamata la capitale della Russia imperiale, avendo anche il senso di “guida dell’impero”.
Ma quanto seguito può avere, questo mondo di destra radicale foraggiato da oligarchi come Malofeev?
Il seguito non è certo maggioritario, ma c’è. Tanto per dire, è stato su insistenza di quest’area, incluso i religiosi ortodossi, che Putin ha dovuto suo malgrado far approvare la legge contro la propaganda pubblica dell’omosessualità.
Malofeev che legame avrebbe con l’attentato ai Dugin?
Malofeev ha i suoi nemici, perché utilizza le sue armi, diciamo, politiche, per intimidire i concorrenti sul mercato. Per far capire cosa intendo, qualche anno fa ha usato formazioni di giovani paramilitari, degli esaltati fascisti, per occupare un terreno in contenzioso con un altro uomo d’affari nel business delle costruzioni. Non escludo che uno dei suoi avversari abbia alzato la cornetta e chiamato un amico criminale, magari di vecchia data, e con un bonifico di qualche milione di dollari, abbia chiesto il favore di eliminare questo personaggio legato a Malofeev.
La figlia di Dugin era impegnata in un’indagine sul sito Bellingcat, un collettivo di analisti molto apprezzato dalla Cia. Secondo lei è possibile che gli autori dell’attentato avessero messo in conto fin dall’inizio di eliminare anche lei?
Sì, esiste questa possibilità. Non intendo parlar male dei morti, e condanno chi non nasconde di essere contento della morte di questa ragazza, ma la figlia di Dugin aveva preso molto dal padre, aveva idee molto estreme. Ho seguito un paio di sue apparizioni pubbliche, e non posso non sentirmi lontano da chi incitava allo stupro delle donne ucraine, che perciò mi fa quanto meno dubitare dell’equilibrio del resto delle idee professate. Lei voleva apparire come una studiosa aperta al dialogo, come il padre d’altro canto, ma la realtà era diversa. Può essere che qualche branca dei servizi segreti russi l’abbia messa nel mirino, considerandola una doppiogiochista. I servizi in realtà controllano la destra, la cui opposizione è di fatto manovrata.
Quindi gli oppositori di destra godrebbero di un margine d’azione fin tanto che, per così dire, non esagerano?
Solo se la loro attività rimane funzionale al potere di Putin, che non può eliminare del tutto l’opposizione, ma fa fuori chi diventa ingestibile e va fuori dai limiti. Dugin, un po’ da mitomane, ha sbagliato nel crearsi una certa immagine in Occidente, lasciando credere di essere il filosofo ispiratore di Putin. So per certo che più volte c’è stato chi glielo ha fatto presente, perché in realtà lui in Russia non è nessuno. Putin e i servizi hanno problemi ben più gravi di Dugin, oggi.