La stagione di Pulp podcast volge al termine, ma Fedez e Marra sembrano voler chiudere col botto. Gaspare Mutolo, nato a Palermo nel 1940, è un ex mafioso siciliano diventato collaboratore di giustizia. Legato a Cosa Nostra sin da giovane, fu affiliato al clan di Rosario Riccobono e poi a quello di Totò Riina. Arrestato più volte, nel 1992 decise di pentirsi, fornendo testimonianze indispensabili su politica, mafia e rapporti tra Stato e criminalità organizzata. Le sue rivelazioni furono fondamentali per il lavoro di Giovanni Falcone, e oggi vive sotto protezione. Molto di quello che sappiamo sulla mafia siciliana arriva da lui, e anche nella puntata di Pulp, come prevedibile, il contenuto è pesante. L’inizio della collaborazione con Riina? In carcere: “Io mi affeziono maledettamente a questa persona, tanto che un giorno mentre siamo al passeggio c'è una persona alta due volte Riina. Li sento che stanno litigando, però Riina non era uno che si sapeva bisticciare con le mani, e cosa succede che Rina diventa rosso come una paparedda (In siciliano, paperella, o ragazza che arrossisce per il corteggiamento). Dopo 10 minuti che si erano calmati, io chiamo questo uomo, facendo finta di doverci parlare. Allora ero giovane, avevo 27 anni, e ci do una testata nel naso e alcuni schiaffi. Subito le guardie danno l'allarme, mi chiamano e mi portano in cella. Quando io ritorno, dopo 12 giorni, nella cella con Rina Rina è tutto diverso”. Quanti omicidi ha compiuto nella sua vita, Gaspare Mutolo? “L’ultimo l’ho fatto nell’82, ma la maggior parte li ho fatti negli anni 70, perchè si doveva uccidere la vecchia mafia per fare spazio a quella nuova. Poi, magari io non mi so spiegare quando parlo di mafia cattiva e mafia buona, però una volta dovevamo uccidere un uomo, e gli avevamo detto: senti, se vuoi salvare la tua famiglia, vieni davanti al bar a Pallavicino. Uccidiamo te, ma non tocchiamo loro. Noi siamo arrivati in macchina, con le armi, lui era lì. Ma quando l’abbiamo visto, era un vecchietto, gli abbiamo detto vattene”. Ma Fedez insiste: vuole quantificare gli omicidi. “29, personalmente. Poi altri, ma in compagnia”. Ma cosa hai provato, gli chiedono. “Noi, tutto quello che facevamo, lo facevamo per soldi. Quindi, andare a uccidere qualcuno era una cosa che uno si sentiva in dovere di fare”.

Poi si passa alla questione dell’ipotesi di rapire Silvio Berlusconi. Come racconta Mutolo, “Vittorio Mangano lo conoscevo dagli anni 70. Non era un personaggio cattivo, comunque mi trovavo a Milano, e avevo fatto due sequestri, di cui un direttore della Mercedes. Il prossimo doveva essere Silvio Berlusconi. Io ero già nel garage, era tutto pronto. Il rapimento era commissionato dalla mafia: Tano Badalamenti, Stefano Bontade. Eravamo una quindicina di persone. Si era parlato pure di Monti, però era più difficile da sequestrare, mentre Berlusconi ogni quindici giorni andava a Milano 2. Era tutto organizzato. Poi, dopo otto o nove giorni arriva Nino Badalamenti e dice: non si rapisce più Berlusconi. Il motivo? Dell’Utri l’aveva capito, ed era sceso a patti. Berlusconi, all’epoca, non era il Berlusconi che troviamo dopo anni. Era un imprenditore, ed era sceso a Palermo, ci sono testimonianze a riguardo di Vito Ciancimino, perché cercava 25 miliardi e non glieli hanno dati. I contatti con Dell’Utri nascono quando aveva la Standa, e doveva aprirne una a Catania. Per farlo, si sarebbe messo in contatto con Stefano Bontade e Totò Riina. Dopo, i mafiosi hanno investito miliardi su Berlusconi”. Ma la nascita di Forza Italia? “Bagarella voleva fare un partito, e grazie a Dell’Utri e ad altri politici siciliani individuano Berlusconi come figura di spicco. Ci sono un sacco di testimonianze dell’epoca in cui i mafiosi dicono di votare Forza Italia”. Perché Mutolo ha deciso di collaborare, prima con Falcone poi con Borsellino? “Io ho fatto i miei 25, 30 anni di carcere sempre in allegria. Questa cosa me l’ha rinfacciata anche Riina, mi disse che entravo in galera come in villeggiatura. Comunque io, a un certo punto, ho capito che la mafia faceva schifo. Lo dico con dispiacere perché ho parenti e amici che sono ancora in quell’ambiente, ma a un certo punto la mafia aveva perso tutta l’umanità. Ora, ci sono molti commenti perché Giovanni Brusca è uscito, ma già prima della legge voluta da Falcone c’erano ergastolani che uscivano, me ne ricordo due tirati fuori dal carcere di Favignana. La legge dice così, e lui è fuori”. La massoneria? “Sono i fratelli buoni. I mafiosi erano i fratelli cattivi, quelli che sparavano. Ma a comandare erano i massoni. A Palermo c’era una delle logge più importanti, i Cavalieri di San Sepolcro, e comandava un conte di Torino, il conte di Cassina”. La mafia oggi? Secondo Mutolo, “Purtroppo la parola mafia si sta cercando, di nuovo, di far sparire. Com’era una volta, quando si diceva che non esiste. Roma e il governo stanno portando a termine il patto fatto da Berlusconi con Salvatore Riina, è una cosa lampante. Perché i politici hanno paura soltanto dei collaboratori, e quando ci sono le elezioni il politico ha bisogno dei favori, che poi dovrà restituire. Ecco perché stanno togliendo le intercettazioni, eccetera”. Ma dopo Forza Italia, gli chiede Marra, ci sono altri partiti che, puntini puntini? “Tutti, tutti!”, chiude Mutolo. Musica.

