Una questione controversa non deve essere necessariamente anche difficile. La morte di Ramy è controversa, ma non difficile. Vi spiego perché. Intanto i fatti: due ragazzi, Fares Bouzidi e Ramy Elgaml, su uno scooter a Milano non si fermano a un posto di blocco, tre auto dei carabinieri li inseguono per la città, provando in più di un’occasione a speronarli per farli cadere, c’è il video. Non riuscendo a fermarli continuano la caccia, intanto, è sempre nel video, a Ramy, il ragazzo che si regge sulla schiena del conducente dello scooter, cade il casco, i carabinieri se ne rendono conto e da una volante un agente lo comunica alle altre unità. La fuga finisce sopra a un marciapiede, tra il muso dell’auto delle forze dell’ordine e un muro. In mezzo c’è un palo, una lama. Ramy muore poco dopo. Nel video due agenti si avvicinano al testimone che, racconta, sarebbe stato costretto a cancellare il video dell’incidente. In un primo momento gli agenti coinvolti negano di avere anche solo toccato lo scooter. Non è vero, almeno stando alla relazione della polizia locale: pochi metri prima dell’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta un impatto tra i due veicoli ci sarebbe stato eccome.
Questi i fatti. Ora aggiungiamo qualche elemento. Il primo: le forze dell’ordine non hanno l’obbligo di inseguire chi non si ferma a un posto di blocco. È a loro discrezione scegliere se farlo o meno. Non solo. Da anni varie direttive interne, come quella della Polizia stradale della Lombardia del 2022 (e Milano è in Lombardia, giusto?), sconsigliano di inseguire le vetture che non si fermano ai posti di blocco, soprattutto per evitare di mettere in pericolo chi si trova in strada o nei dintorni durante la caccia all’uomo. Il secondo elemento: non fermarsi al posto di blocco raramente costituisce un reato. Nella maggior parte dei casi chi non si ferma ai posti di controllo o di blocco è soggetto a una sanzione amministrativa, cioè una multa più la decurtazione dei punti sulla patente, senza ricadute penali. Il terzo elemento: esistono delle alternative all’inseguimento? In una città del 2024/2025 sì: telecamere, autovelox, sorveglianza stradale, persino le riprese private dei locali eccetera. La base è questa: eviti l’inseguimento e preferisci segnalare la targa o recuperare le immagini della zona per risalire al conducente. Vedete che non è difficile? Un’infrazione che avrebbe comportato al massimo una multa finisce con la morte di un ragazzo che è stato inseguito da tre volanti anche dopo che uno dei due sullo scooter aveva perso il casco in strada. Lo scooter è stato braccato (non tallonato) e si poteva evitare. Poi gli agenti si avvicinano, nel video, a un testimone, che è quello che sostiene di aver ricevuto l’ordine di cancellare la ripresa fatta al cellulare. Poi gli agenti omettono nel verbale di aver toccato il veicolo che si è schiantato, pochi metri dopo, contro un palo, ma la polizia locale deposita in Procura un rapporto che li smentisce.
Ci sono anche delle domande a cui possono rispondere solo gli agenti coinvolti e ora accusati di falso in atto pubblico e depistaggio: perché hanno deciso di iniziare un inseguimento, sconsigliato e di certo non obbligatorio? Perché hanno proseguito dopo aver visto che uno dei due ragazzi aveva perso il casco? Perché si sono immediatamente avvicinati alla terza persona presente sul marciapiede all’incrocio dell’incidente? Perché hanno omesso dal verbale di aver toccato lo scooter poco prima dell’impatto? Perché hanno speronato durante l’inseguimento i due ragazzi? E, infine, delle domande alle quali dovremmo rispondere noi: cosa ci fa sentire più insicuri, uno scooter che non si ferma all’alt dei carabinieri o dei carabinieri che decidono di inseguire con tre auto, tre auto, uno scooter per le strade di Milano cercando di far cadere il conducente? E la morte di questo ragazzino ci fa sentire davvero più sicuri? Vi viene voglia di dire “una mela marcia in meno”? O magari “non doveva morire nessuno, ma meglio lui che i nostri agenti”? Quella di Ramy è una storia semplice, ma anche sbagliata.