Anoressia, una malattia di cui per troppo tempo si è sempre parlato pochissimo e per lo più in modo sbagliato. “Non mangi perché vuoi essere magra come una modella”. In larga parte questa era l’etichetta che veniva data a chi si ammalava. L’anoressia è quanto di più lontano potrebbe esserci da questa definizione. Noi di MOW abbiamo intervistato Alba Toninelli, una ragazza che è riuscita a sconfiggere la malattia, rendendoci partecipi di un mondo che si ha la presunzione di conoscere, ma che insieme a lei possiamo guardare con occhi diversi provando a comprenderlo per davvero. Una grandissima forza di volontà e di ritornare a vivere: “La guarigione ti riporta alla vita. Io per anni non ho vissuto, proprio per questo non si deve mollare”. Alba ha scelto di raccontare il suo percorso sui social, condividendo sia le cadute che le vette: “Parlare delle cose strane che mi succedevano mi faceva rendere conto di non essere sola, perché molte persone mi dicevano che capitava anche a loro. Mi ha fatto vedere la malattia come una malattia, e non come una parte di me. Anche perché non poteva essere una parte di me se ce l’avevano tutti”. La guarigione le ha dato la spinta per mettere in piedi un progetto davvero speciale, un podcast, “La parte bella”, in cui si racconta la vita dopo la malattia: “Si racconta la parte bella dei disturbi alimentari, che è la guarigione. In questi anni si è iniziato a parlare dei disturbi elementari, ma effettivamente nessuno ti parla della guarigione, della parte bella, del dopo. Questo dopo io volevo scoprirlo”.
L'anoressia, desiderio di sparire. È una sensazione che hai provato anche tu?
Assolutamente sì. Quando hai un disturbo alimentare, soprattutto l’anoressia, hai costantemente la sensazione di occupare troppo spazio. Non fisico, in realtà è una cosa psicologica. Non ti senti mai abbastanza, non ti senti mai all’altezza, non ti senti mai perfetta. La ricerca della perfezione non solo fisica, ma proprio in tutti gli ambiti. Ti senti una delusione. Viviamo in una società che punta molto alla perfezione, devi costantemente fare e fare bene. Questo influenza molto un disturbo alimentare.
Fare e controllare.
Il disturbo alimentare è quello che arriva a darti la sensazione di avere qualcosa sotto controllo. Controllando te stessa, il cibo, quando hai fame, quando puoi mangiare, hai questa sensazione di controllo che ti fa sentire potente. Nonostante stai andando a perdere tutte le forze.
Ad oggi sai dire quale sia stato il fattore scatenante che ha innescato la malattia?
Raramente c’è un solo fattore scatenante, spesso ci sono tante concause che portano al disturbo alimentare. Non saprei dire quale sia stato di preciso, però io ho sempre avuto la sensazione di non essere abbastanza. A scuola andavo bene ma non benissimo. Non avevo tutti dieci, non riuscivo a dare le soddisfazioni agli altri. Poi a me nemmeno interessava avere dieci in tutte le materie. Se non sei magra non sei bella, la perfezione la cerchi anche nell’estetica e nel corpo. Il cibo diventa un mezzo di sfogo.
Chi si è reso conto per primo del tuo cambiamento?
I miei genitori. Quando loro se ne sono accorti io ero in luna di miele, la prima fase del disturbo alimentare dove chi si ammala si sente bellissima e fortissima. Cercavano di farmi ragionare dicendomi che stavo mangiando molto poco, che stavo perdendo troppo peso. Ero arrivata al punto in cui nel caldo di luglio andavo in giro con la coperta in casa. Eppure, pensavo di non essermi mai sentita meglio. Mettevo i muri, non riconoscevo il problema e cercavo di allontanare chi si metteva tra me e il mio disturbo.
Quando ti hanno diagnosticato un disturbo alimentare?
Nel momento in cui sono finita al centro per disturbi alimentari. Prima di arrivarci ho dovuto fare un percorso un po’ lungo. Arrivò un giorno in cui fui io a dire che non stavo bene e che avevo bisogno d’aiuto. Non sapevamo bene come muoverci, non conoscendo il mondo dei disturbi alimentari. Prima siamo andati dal medico di famiglia che ci ha consigliato uno psichiatra. Ci andai solo per un mesetto, era molto anziano e di vecchia scuola, quindi anche lui non aveva una buona conoscenza dell’argomento. Infatti mi diagnosticò un disturbo ossessivo compulsivo nei confronti del cibo, non c’era andato tanto lontano però non era quello. Poi una mia vecchia amica, che aveva sofferto di questi disturbi, mi consigliò la sua nutrizionista che lavorava al centro per disturbi alimentari. Finalmente arrivò la diagnosi di anoressia.
Quando è arrivata la consapevolezza della malattia? C’è stato un momento in cui ti sei resa conto di quello che effettivamente stava accadendo al tuo corpo?
È successo durante il periodo dell’università a Narni, io vivevo da sola lì e non ero controllata. Una sera, dopo cena, avevo ancora fame. In quel periodo non mangiavo veramente niente, le briciole. Mangiai una pera e passai la notte sveglia a piangere per i sensi di colpa. Lì mi resi conto che c’era qualcosa che non andava, ma io non sapevo nulla dei disturbi alimentari. Pensai addirittura di essere posseduta, di aver bisogno di un esorcismo. La consapevolezza piena arrivo dopo qualche settimana in cui mi “minacciavano” di ricoverarmi.
E il momento in cui hai iniziato ad amarti?
È arrivato dopo tanto tempo, però ci sono stati dei piccoli momenti, durante il ricovero, in cui iniziai a prendere coscienza che erano mesi che non ridevo, non ero davvero felice. Capì che quel ricovero mi stava veramente facendo bene. Aveva senso.
La malattia è un po' come se fosse una confort zone.
Ti impegni, cerchi di contrastare la malattia ma al tempo stesso non la vuoi abbandonare. Ho iniziato ad amarmi in tempi davvero recenti. Grazie alla terapia con la psicologa ho cambiato le mie prospettive. Io sono tutto ciò che ho e devo prendermi cura di me stessa. Prima sapevo di dovermi amare ma non ci riuscivo, poi ho capito che prendermi cura di me era più importante dell’entrare in una piccola taglia, di avere il controllo sul cibo. Il voler amarmi ha anche reso più facile lasciare la malattia. Avevo finalmente chiaro che lo dovevo fare per me stessa.
Come hai vissuto il momento del ricovero?
È durato due mesi, ero in psichiatria. È stata una sorta di esperienza comico drammatica. Avevo il sondino, i primi giorni fa male. Già lì ti viene la voglia di mollare tutto. Pian piano sono arrivati tutti quei piccoli segnali che mi spingevano ad andare avanti. È un po' particolare come situazione, ne ho viste veramente tante in psichiatria. Ho costruito anche dei bei rapporti, mi è servito davvero molto.
Le cene e i pranzi fuori sia con gli amici che in famiglia, come ti facevano sentire?
Durante la malattia mi facevano sentire male. Prima che arrivasse quel momento cercavo sempre di restringere la quantità di cibo che mangiavo, per poi potermi permettere qualcosa di più. Ma alla fine arrivavi a questi pranzi con un grandissimo terrore, senza riuscire a vivere davvero la situazione, pensando a dei trucchetti per non mangiare o nascondere il cibo. Cose che ad oggi penso folli, ma al tempo ero così esasperata dalla malattia.
Qual è il sintomo della malattia che si era radicato di più in te?
L’iperattività, l’unica cosa che mi dava un po' di tregua. Io ero una che camminava tantissimo. Allungavo, facevo dei giri lunghissimi per cercare di rimediare agli errori. Che poi non erano errori, ma cercare di nutrirsi.
Di bulimia hai mai sofferto?
No, ho avuto solo qualche episodio. Succedeva perché mi abbuffavo. Eventi di bulimia ed abbuffate sono sempre andati a braccetto con me. In realtà oggettivamente non mi abbuffavo. Non potevo rifiutare l’aperitivo, mangiavo delle noccioline o delle patatine, poi tornavo a casa e magari cenavo anche, per me era un’abbuffata. Per fortuna non era un qualcosa che mi dava la situazione di controllo. Non vedevo nell’indurmi il vomito la soluzione.
Hai paura di avere una ricaduta?
Ho avuto parecchie ricadute. Di solito sono sempre state abbastanza tranquille e gestite. Io mi rendevo conto che stavo avendo una ricaduta e cercavo subito di agire. Le ricadute arrivavano dopo periodi di risalita, quindi ero consapevole che stavo facendo dei passi indietro, e rifare quella salita che mi era costata tanta tanta fatica. Solo una volta c’è stata una grande ricaduta in cui ho avuto davvero paura, nell’estate del 2021.
Cosa accadde?
Stavo attraversando un periodo particolare. Misi la parola fine a una relazione tossica, la laurea, il tirocinio e mia madre ebbe un infarto. Non mi accorsi di avere una ricaduta. Per me stavo gestendo tutto. Questa ricaduta fu bella tosta, tanto che decisi di riprendere il percorso di terapia che avevo interrotto. Tornai ad avere un peso molto vicino a quello di prima del ricovero. Avevo l’obbiettivo di trasferirmi a Roma per studiare, ed ero consapevole che se avessi mollato avrei perso la magistrale.
Toccare il fondo per poi darsi la spinta?
Sì, perché poi sono arrivata alla guarigione. Quella è stata l’ultima ricaduta.
Il giudizio degli altri ti è mai pesato? La frase che ti sei sentita dire che più ti ha ferita?
Il giudizio delle persone per me aveva un’importanza incredibile, non riuscivo a definirmi solo con ciò che io pensavo di me stessa. Aveva più peso quello che gli altri pensavano di me. Frasi brutte in realtà non troppe, però ho sempre avuto un rapporto molto complicato con la mia pancia, ed è capitato che qualcuno magari mi facesse una battutina.
Qual è ora il tuo rapporto con il cibo?
Benissimo. Vedo il cibo come cibo, non mi preoccupo più delle calorie. Non vedo più le conseguenze. Il cibo è nutrimento ed è qualcosa che mi piace. Quando prima mi dicevano “stasera andiamo al sushi” io mi disperavo, adesso sono felicissima.
Hai un’alimentazione intuitiva o segui un piano alimentare?
Molto intuitiva, non seguo niente. Non peso più il cibo, vado a sentimento. In base a quello che mi va, non ho schemi rigidi.
Pensi mai alla ragazza che ti sei lasciata alle spalle? Se potessi parlarle ora, cosa le diresti?
L’abbraccerei fortissimo, perché aveva bisogno d’amore. Le direi di continuare, di non mollare, stai facendo fatica ma ti stai portando in salvo e ce la farai. L’anoressia non l’augurerei a nessuno, però sono quasi grata di quello che mi è successo.
Come mai?
Perché mi ha obbligata a lavorare su me stessa, su tutti quei meccanismi che non funzionavano. Oggi mi sento la versione migliore di me stessa. Nemmeno prima della malattia ero così serena come lo sono ora. Ho un ottimo rapporto con il mio corpo e con me stessa. È la malattia che mi ha permesso di arrivare qui.
Quanto e come ti ha aiutato iniziare a raccontare la tua esperienza sui social?
È stato fondamentale, mi ha aiutato a sfogarmi e scoprire che non ero sola. Parlare delle cose strane che mi succedevano mi faceva rendere conto di non essere sola, perché molte persone mi dicevano che capitava anche a loro. Mi ha fatto vedere la malattia come una malattia, e non come una parte di me. Anche perché non poteva essere una parte di me se ce l’avevano tutti.
Cosa ti ha spinto a scegliere di raccontare la tua esperienza?
Fin da subito io non volevo vergognarmi della mia malattia. La mia famiglia un po' voleva nasconderlo, e a me pesava. Se veramente è una malattia cosa c’è da vergognarsi. Quindi quasi a sfregio e senza vergogna decisi di parlarne sui social. Però al tempo avevo solo i miei amici come follower, niente di che. Poi è arrivato il ricovero.
Cosa è cambiato?
Io ho sempre scritto tanto, tenuto diari. Quando fui ricoverata i miei genitori mi regalarono un telefono nuovo, e siccome non riuscivo a scrivere per via dei pensieri confusi che avevo, scelsi di tenere un video diario. Ma doveva essere una cosa privata, qualcosa che facevo soltanto per me. Ho sempre avuto il terrore di dimenticare. Finito il ricovero, in un giorno di crisi, andai a riguardare i video in cerca di consolazione. Pensai che magari in qualche modo avrebbero potuto aiutare anche altre persone, quindi iniziai ad editarli in modo veramente brutto e li pubblicai su YouTube.
Come andò?
I video ebbero un boom incredibile, e da lì iniziarono a seguirmi su Instagram.
Le persone vicino a te, le tue amiche, come hanno reagito alla malattia?
Tutti sapevano della mia malattia, ne parlavo apertamente sui social ma con le mie amiche no.
Perché?
Avevo paura di fare pena, non volevo essere la vittima. Con loro cercavo un po' di nascondere. Sapevano che facevo tanta fatica a mangiare fuori, rifiutavo sempre i loro inviti.
C’era un cibo che per te rappresentava un vero e proprio tabù?
I carboidrati per me erano davvero il male. Invece poi in questi anni mi sono innamorata della pizza con le patate. Ricordo la prima volta che la nutrizionista mi diede la dieta, ed io non volevo assolutamente che ci fossero i carboidrati. Ora mangio la pasta tutti giorni, il carboidrato è la mia cosa preferita.
Anche prima della malattia?
Già prima della malattia pensavo che i carboidrati facessero ingrassare, poi li ho proprio eliminati. Quando passavo vicino ad un forno trattenevo l’aria, già solo l’odore mi faceva stare male. Era un qualcosa che doveva starmi lontano.
Cosa mangiavi?
Avevo un conflitto con le calorie liquide, quindi tutto ciò che era liquido mi sembrava sprecato. Vivevo di acqua e Coca Cola Zero e soprattutto tanta frutta e verdura. Nel momento peggiore sono veramente arrivata a mangiare solo quello. Magari un po’ di proteine, mangiavo pochissimi alimenti, e ad avere una grande fissazione con il cibo in scatola.
Perché proprio il cibo in scatola?
Mi dava tranquillità: erano cotti al vapore, sapevo la quantità, sapevo le calorie, aprivo la scatoletta scolavo l’acqua ed era pronto. Ora non tocco quasi più il cibo in scatola, mi fa quasi schifo però in quei momenti la mia dispensa era fatta solo di lattine.
Passiamo al tuo podcast, “La parte bella”, come è nata l’idea?
Nasce dalla mia guarigione e dalla paura della stessa. Ci ho messo cinque anni a stare bene, la guarigione è un qualcosa che ho al tempo stesso inseguito e mantenuto un po' a distanza. Chi sono io senza la mia malattia? Cosa faccio io senza la mia malattia? Mi terrorizzava, non vedevo un'Alba senza la malattia. Con l’avvicinarsi della guarigione mi rendevo conto che la malattia non controllava più la mia vita, stavo bene, però mi spaventava. "Non so se voglio non avere più un disturbo alimentare. Non la voglio lasciare andare, questa malattia è la mia stampella". Finché ho capito di non aver bisogno della stampella. Con questo è arrivata la mia idea di dire "facciamo un podcast".
Cosa racconti nel tuo podcast?
Quello che c'è dopo la malattia. Raccontiamo "La parte bella dei disturbi alimentari", che è la guarigione. In questi anni si è iniziato a parlare dei disturbi elementari, ma effettivamente nessuno ti parla della guarigione, della parte bella, del dopo. Questo dopo io volevo scoprirlo.
Te l’aspettavi questa bella reazione che c’è stata?
No, assolutamente. Mi aspettavo che sarebbe potuto piacere, perché effettivamente era una cosa che mancava, un vuoto che andava ancora colmato. Abbiamo avuto molti ascolti, molti più di quelli che ci aspettavamo. Tanti messaggi di ringraziamento di gente che vede speranza nel podcast. Ed è poi la cosa più soddisfacente.
Hai ricevuto tante richieste da parte di ragazze che volevano raccontare la propria storia?
Questo è stato più complicato, pensavo "mi scriverà tantissima gente, ci sarà tantissima gente che vorrà raccontare". In realtà le persone fanno fatica a raccontare. Inizialmente volevo portare ogni tipo di disturbo, cosa che non siamo riusciti a fare perché certi disturbi non trovi nessuno che te li voglia raccontare. Nel mio podcast alla fine ci sono molti più episodi di anoressia che di altri disturbi.
Hai mai avuto paura di non riuscire a guarire?
Per tanti anni non pensavo che si potesse guarire dai disturbi alimentari, ero convinta che avrei avuto quel disturbo per sempre. Anche quando stavo meglio la malattia c’era comunque. Poi ho scoperto che non è affatto così, il podcast nasce anche per questo. Per dimostrare che sì, la tua testa ti può dire che sei destinata alla malattia per sempre, ma non è così. C’è altro e cazzo se ne vale la pena.
Com’è la vita dopo i disturbi alimentari?
Bellissima, la guarigione ti riporta a vivere. Io per anni non ho vissuto, proprio per questo non si deve mollare.