Quante volte abbiamo usato per il nostro (o la nostra) partner il termine “narcisista” (a volte magari a sproposito, altre no)? Quante volte ci siamo posti la domanda “ma che fine ha fatto, all’improvviso”? E quante (e quanti) si trovano a stare in rapporti tossici senza rendersene conto o senza essere in grado di uscirne? Per capirne di più di queste dinamiche ci siamo rivolti a Flaminia Bolzan, psicologa e criminologa con ampia esperienza nel profiling delle varie personalità. E la dottoressa ci ha detto che ciò che caratterizza il vero narcisista è “il senso di grandiosità pervasivo e la totale mancanza di empatia verso l’altro”.
Dottoressa, molti ragazzi o ragazze, ognuno per i propri motivi, sembrano essere in difficoltà nel costruire una relazione. Lei, nella sua professione, che cosa riscontra?
La medesima difficoltà. È complesso per molte persone instaurare una relazione sentimentale perché viviamo nell’epoca dell’individualismo, del disimpegno verso l’altro e dell’“all you can eat” che spesso rappresentano i social network. Le persone si illudono di poter scegliere illimitatamente da un menu e non vogliono più soffermarsi, come se pensassero che farlo togliesse loro qualcosa in termini di libertà e possibilità. Costruire è complesso e allora diventa più agevole trincerarsi nell’evitamento di qualcosa che ci costringe al confronto.
Quello che viene riportato da una quota di uomini è lo “spavento” nel non sapersi comportare davanti alle donne forti, molto emancipate, come se si fossero per loro, in un certo senso, invertiti i ruoli…
Antropologicamente il maschio, quello delle caverne, usciva per procacciare il cibo e quindi provvedere al sostentamento della prole, mentre la figura femminile, che era fisicamente più debole, veniva “protetta” dalla caverna. Oggi che il cibo lo comperiamo al supermercato e l’elemento dirimente per la sopravvivenza non risiede nella capacità di lottare con un pari o di maneggiare meglio la lancia, le donne hanno molteplici possibilità, come è giusto che sia. Emancipazione non significa però rinuncia alla femminilità, questo non dovrebbe pertanto “spaventare” i maschi, ma al contrario portarli a rivedere loro stessi la possibilità di far spazio a quei lati che, per troppo tempo (complici i tabù e la pubblicità dell’uomo che non deve chiedere mai) hanno sentito il bisogno di occultare. La sensibilità, ad esempio, è un accoglimento meno giudicante delle emozioni.
Dal punto di vista femminile si nota invece molto di più un sottolineare come l’uomo sia spesso indeciso, tende a sparire, a tenere i piedi in due scarpe e a non volersi impegnare. Senza ovviamente generalizzare, a cosa si può imputare questo comportamento?
A quello che le dicevo prima, la percezione di un’offerta illimitata. Ha presente quello che accade spesso per la scelta della serie tv su Netflix? Ce ne sono talmente tante che si finisce talvolta per passare più tempo a fare lo scroll dell’homepage, per poi sentirsi stanchi e non decidere. Relazionarmi con gli altri, sentimentalmente soprattutto, richiede competenza e anche volontà di impegnarsi. Sparire senza dare spiegazioni, poi, implica il fatto che non ci si deve esporre al confronto e al giudizio, è più semplice e quindi viene considerato più accettabile perché non mette a nudo nulla della persona. Ci vuole coraggio sa, a guardare negli occhi qualcuno e dirgli “non ti voglio più”, perché presuppone la capacità di interfacciassi adeguatamente con le emozioni altrui.
Quali sono i segnali che ci devono far allarmare, capire che quel soggetto (a prescindere dal sesso) posso essere nocivo?
Prima tra tutte la manipolazione, il cosiddetto “Love Bombing”. Quando qualcosa ci sembra “esagerato”, benché gratificante, ha spesso molto poco di reale e la finzione, laddove ci si interfaccia con qualcuno nell’intento di avere una relazione che sia comunque affettiva, si rivela sempre nociva. Alla lunga fa dubitare, di sé stessi in primis. Un altro segnale allarmante è da individuare nella comunicazione, quando le parole sono disallineate rispetto ai comportamenti, possiamo prevedere tutt’altro che il buono in una prospettiva futura.
Che caratteristiche assume solitamente un rapporto tossico? E la morbosità?
Un rapporto tossico è quello in cui non abbiamo la possibilità di mostrarci per quello che siamo nel timore che l’altro non ci accetti. È un rapporto in cui ci si sente “costretti” a fare qualcosa che non ci appartiene, dove ci sentiamo oggetti più che soggetti. La morbosità ne è un aspetto e, dei tanti, sicuramente è quello che preoccupa maggiormente perché ha a che fare col possesso più che col sentimento.
Siamo sempre più nell’era dell’io estremizzato, portato quasi all’esasperazione. È qui che trova il suo spazio il narcisista patologico? Come lo riconosciamo?
Purtroppo, si abusa moltissimo dell’etichetta “narcisista”, alcuni, mi passi il termine, non hanno alcunché di patologico, ma sono semplicemente dei gran paraculi. Diverso è il caso di quei soggetti che invece presentano tutta una serie di caratteristiche, tra cui il senso di grandiosità pervasivo e la totale mancanza di empatia verso l’altro. Questi sono i veri narcisisti e li riconosciamo non tanto dall’aspetto, quanto dalle modalità con cui si relazionano, dall’immagine perfettamente adattata e vincente in cui il/la partner viene però vissuto solo come un oggetto utile a farli brillare ancora di più. Il narcisista patologico in realtà è un individuo che non sa e non vuole guardarsi dentro, non è capace di amare perché non si è mai sentito amato. Soffre, ma non se ne rende conto e la verità, ahimè, è che purtroppo il suo schema di comportamento genera poi tanta sofferenza nel momento in cui si relaziona con quella che diviene la sua “vittima”.
Il concetto di love bombing è interessante, potrebbe spiegarcelo meglio?
Il love bombing è letteralmente un bombardamento di attenzioni e corrisponde normalmente alla prima fase di corteggiamento serrato, dove il narcisista si impegna con tutto sé stesso per la conquista. Ti cerca, ti lusinga, si mostra interessato, presente e innamorato. Crea un clima avvolgente e di grande intimità, che genera in chi lo riceve la sensazione di aver trovato qualcuno che rispecchi completamente il suo “ideale”.
Che consigli possiamo dare a chi è in un rapporto da cui non riesce a uscire? Lei ne vede molte di queste persone?
Separarsi è sempre complesso, specie dopo una relazione di lunga durata, perché all’interno di questa relazione si creano degli incastri. Soprattutto nel momento in cui ci si accorge che, ad esempio il comportamento del partner vira da quello che inizialmente è sembrato, si fatica a “deidealizzare” la persona. In poche parole, si rimane ancorati a un’idea, che non necessariamente corrisponde alla realtà. C’è poi il caso di chi dipende affettivamente o di chi si convince che anche in presenza di chiari segnali negativi, il partner cambierà. Mi trovo spesso a far riflettere le persone sulle motivazioni che le tengono letteralmente incastrate in rapporti che generano sofferenza emotiva ed è importante che si sentano supportate nell’individuazione di alcuni schemi.
Quale è la fascia d’età maggiormente colpita da problemi di questo genere? Perché si pensa sia l’adolescenza, ma, dai racconti che mi giungono, c’è una forte crisi anche nella fascia attorno ai trent’anni
I più giovani “approcciano” alle relazioni, non hanno sempre gli strumenti e per questo vanno indirizzati ed “educati” a quello che è il senso e il modo di stare in una relazione dove ci sia una sintonizzazione emotiva con l’altro. In un’età più adulta, al contrario, si hanno aspettative differenti sui rapporti, ma non sempre ci si chiede davvero cosa si desidera e non si ha consapevolezza talvolta del perché, per cui subentra una paura maggiore della solitudine e dei vuoti che si tenta di riempire a ogni costo.