Uno dei temi del momento, anzi dell’anno, che non sappiamo che piega prenderà, è quello del body shaming, riportato al centro del dibattito dal caso che ha visto come protagonista la cantante statunitense Lizzo, per non una volta non (più o meno presunta) vittima ma accusata di maltrattamenti nei confronti del suo cast e di fare essa stessa discriminazioni sulla base dell’aspetto fisico. Proprio lei, la paladina del body positive, dell’accettarsi in qualunque modo, del piacersi in ogni caso. Siamo sicuri che dietro questi “modelli” di positività non ci sia una forma di rabbia? Tralasciando (anche se non andrebbe fatto) il fatto che essere così fortemente in sovrappeso sia un problema enorme per la salute, abbiamo chiesto alla psicologa e criminologa Flaminia Bolzan che cosa si celi nella mente di certe persone che adottano atteggiamenti del genere.
"Se fossimo tutte più attente al funzionamento del cervello oltre che alla consistenza del sedere potremmo anche smettere di provare vergogna per delle grandi cavolate sparate da altri che sono solo pieni (o piene) di livore poco elaborato in termini di mentalizzazione"
Ciò che emerge dal caso Lizzo (almeno per quello che sappiamo finora e al netto della sua difesa) rende nuovamente protagonista il body shaming, a quanto pare messo in atto da una persona che ha fatto del body positive un suo cavallo di battaglia. Cosa scatta nella mente di chi assume questi comportamenti?
Denigrare, deridere o prendere in giro qualcuno per il suo aspetto fisico con l’intento di generare vergogna nella persona può assumere sul piano psicologico un significato che rimanda alla necessità di proiettare sull’altro la rabbia e l’insoddisfazione verso alcune parti di sé stessi che si ritengono inaccettabili, ma questo comportamento, specie quando agito sui social o in condizioni di anonimato, può anche essere una modalità di “farsi notare”. Purtroppo oggi viviamo nell’era di una ostentata e inesistente perfezione dove tutto ciò che non si uniforma a determinati canoni è eleggibile a bersaglio della propria frustrazione. Si agisce, spesso, ma si pensa davvero troppo poco.
Ci dobbiamo fidare delle paladine del body positive, che spesso e volentieri sono le prime a essere in carne?
Ci dobbiamo fidare, sino a prova contraria, di chi avendone la possibilità veicola un messaggio positivo proponendo argomentazioni valide e fondate. Nel caso specifico il problema non sta nella mancanza di fiducia per le cosiddette paladine del body positive, ma nell’uso che viene fatto di tali messaggi. Per chiarirci, se è body positive l’accettazione incondizionata del proprio corpo e più ancora di sé stessi, sarebbe importante riflettere sul fatto che l’immagine di sé può includere anche qualcosa di differente da un corpo in carne, tutto qui. Non bisogna fidarsi, al contrario, di chi come un buon surfista, cavalca onde per poter stare sulla loro cresta, strumentalizzando temi densi di significato solo per raggiungere audience e popolarità.
Atavicamente tra donne c’è una certa competizione, anche se si vuole far sembrare per finto buonismo e apparenza che non sia così. La narrazione ha sempre visto il body shaming come uomo contro donna, siamo sicuri che non sia anche (se non molto più spesso) donna contro donna?
È che spesso siamo portate a identificare la “competizione” tra donne come un qualcosa di orientato alla “conquista” ipotetica delle attenzioni di un maschio. È questo che sostiene una narrazione totalmente fuorviante e inattuale. Ci si lamenta che le donne siano ridotte a mero oggetto di appetito sessuale, ma poi, di fatto, ci si riduce a parlare sempre e solo di questo. Tizia mi ha detto che sono brutta, che ho il sedere grosso, la pancia, che non so “tenermi un uomo”, eccetera. Mi piacerebbe che le donne, per prime, cambiassero questo storytelling. Non sei “appetibile” perché non rientri in determinati canoni? È una bugia, una grandissima bugia. E questo perché la possibilità di “piacere” a qualcuno ha a che fare anche con l’attrazione e non sempre ci attrae ciò che viene reputato “bello” dalla massa, l’attrazione ha a che fare con la percezione, con aspetti psicologi e neuropsicologici, è una cosa complessa nella sua semplicità e se fossimo tutte più attente al funzionamento del cervello oltre che alla consistenza del sedere potremmo anche smettere di “provare vergogna” per delle grandi cavolate sparate da altri che sono solo pieni (o piene) di livore poco elaborato in termini di mentalizzazione (sorride).
Secondo lei esiste seriamente la solidarietà femminile o è un (falso) mito?
Esiste la solidarietà in quanto valore. Chi lo possiede e lo coltiva, lo è a prescindere, per il prossimo, sia esso di sesso maschile o femminile o altro. Tra donne può esserci solidarietà e non credo sia un falso mito, è al contrario la capacità di costruire rapporti autentici e tessere reti di supporto, è anche capacità di ragionamento, se vogliamo, in termini strumentali. I detti popolari dicono che “l’unione fa la forza”, chi è in grado di coglierne l’essenza comprende l’importanza e il senso di questa parola.
L’uomo è, per natura, portato molto meno rispetto alle donne a far caso al dettaglio, noi invece tendiamo a ricordarci anche il buchino di cellulite che la nostra amica aveva sei anni fa… Quanto antropologicamente c’è differenza nel dare giudizi tra i due sessi?
L’attenzione al dettaglio è un modo di percepire la realtà e di pensare. L’attitudine a “giudicare” è una caratteristica più che altro appresa e derivante da variabili tanto culturali, quanto psicologiche. In generale siamo poco propensi a “osservare”, mentre al contrario tendiamo ad attribuire un segno più o meno a qualunque cosa. Questo, sia negli uomini, sia nelle donne, è ciò che più allontana dalla possibilità di vivere serenamente, non solo il rapporto con sé stessi, ma proprio ciò che accade.
Donne contro donne in quanto a body shaming, Lei che cosa ne pensa?
Non ritengo che il body shaming ferisca sempre una donna maggiormente di quanto possa ferire un uomo. Questo significherebbe generalizzare un’argomentazione non tenendo conto di variabili che al contrario hanno un peso, perché ad esempio nella dismorfofobia, che è un disturbo psichiatrico in cui vi è un'eccessiva preoccupazione per un difetto fisico non presente o solo leggermente osservabile dagli altri, c’è una prevalenza solo leggermente più alta delle donne rispetto agli uomini. Ciò significa che se una persona che ne soffre viene resa oggetto di body shaming su quel preciso difetto sta male a prescindere dal fatto che sia uomo o donna e conseguentemente possiamo allargare il medesimo ragionamento anche a coloro i quali della dismorfofobia non soddisfano i criteri, ma magari si sentono in difficoltà per alcune caratteristiche del loro aspetto fisico.
Ha visto la risposta di Lizzo? “Non sono la cattiva che le persone e i media mi hanno descritto negli ultimi giorni”. E “non c'è niente che io prenda più seriamente del rispetto che meritiamo come donne nel mondo. So come ci si sente a subire quotidianamente body shaming e non criticherei o licenzierei assolutamente un dipendente a causa del suo peso”. Eccetera…
Sulla risposta di Lizzo circa le accuse che le sono state mosse non ho molto da argomentare in quanto, rispetto al discorso delle eventuali osservazioni circa il peso dei suoi ballerini, è lo stesso avvocato di questi a definirle “non solo illegali, ma demoralizzanti”. È giusto che questo aspetto, oltre a quello sulle presunte molestie sessuali, venga discusso in una sede opportuna. Posso però dire che è perfettamente comprensibile che un personaggio pubblico, laddove riceva un attacco mediatico di questa portata, scelga di proporre le proprie argomentazioni personali a difesa di ciò che non ritiene di aver commesso. Non spetta a noi giudicare, dobbiamo prendere atto e non per forza attribuire un’etichetta.