È una storia difficile anche solo da scrivere quella di Marayah Osumanu, non posso immaginare come debba essere stato viverla. Di origini ghanesi, cresce nel varesotto dove, già alle elementari, i compagni di classe non volevano che lei toccasse le loro torte di compleanno per paura che le "sporcasse" perché ha "le mani nere". Poi, la situazione peggiora. E peggiora dentro casa. I genitori non accettano la sua natura, le dicono chiaramente che preferirebbero "un figlio drogato" piuttosto che "trans". Così, la trappola: la spediscono in Ghana con la scusa di badare alla nonna, in cattive condizioni di salute. Una volta giunta a destinazione, Marayah viene picchiata, anzi seviziata, dai parenti che arrivano a "metterle polvere piccante nelle ferite aperte". Infine, la obbligano a frequentare un "collegio correttivo" ad Accra dove, purtroppo, proseguono gli abusi. Stavolta, a scopo "rieducativo". È poco più che maggiorenne quando riesce, fortunosamente, a tornare in Italia, a Milano, contattando l’Ambasciata. Qui viene accolta dalla Casa Arcobaleno che la ospita, insieme ad altri giovani rifiutati dalla famiglia a causa del loro orientamento sessuale, trova supporto anche nella ricerca di un lavoro. Per Marayah non è comunque facile: i documenti non corrispondono al suo aspetto, i colloqui non vanno mai a buon fine. Lavoricchia, fa la cameriera, a volte la prostituta, per strada. Fino a che, siamo nel 2022, in "Casa Arcobaleno" si epifanizza lei, Chiara Ferragni, insieme all’oggi ex braccio destro Fabio Maria D’Amato. I due benefattori sono lì per le riprese della seconda stagione della serie The Ferragnez. Marayah dice di avere sempre nutrito una forte “passione per la moda” e “per gli outfit impeccabili”. Tanto basta, Ferragni e D’Amato, a favor di telecamera, la prendono da parte e le offrono "una grande opportunità lavorativa non per la tua storia, ma perché secondo noi te la meriti". Detto, fatto? Sì. Dopo lo scoppio del caso Martina Strazzer, portato alla luce dalla giornalista Charlotte Matteini, ci è tornata in mente questa assunzione salvifica, miracolosa che potete rivedere dal minuto 14 della sesta puntata di The Ferragnez, seconda stagione, su Prime Video. Allora, abbiamo pensato di contattare Marayah per farci raccontare la sua esperienza, sperando di ascoltare una storia positiva, bella, finalmente "giusta". Purtroppo, non è quella che stiamo per raccontarvi. Marayah ha lavorato due anni, con regolare contratto, presso gli uffici di Chiara Ferragni in via Turati, Milano, quelli enormi, di 550 metri quadri circa. Lo erano il 21 novembre 2022 quando la ragazza, all’epoca 22enne, ha cominciato a lavorarci arrivando a ottenere perfino il sogno dell’indeterminato. Nei fatti, però, "è stato un inferno", mi dice. “Sono rimasta tutto quel tempo solo perché l’alternativa era tornare per strada”. “Non ne ho mai parlato perché non credevo che qualcuno potesse essere interessato alla mia storia, lei è troppo potente, io non sono niente. Pensavo di vivere una favola, invece questa esperienza ha contribuito a farmi sprofondare nella depressione. E a un ricovero per tentato suicidio”. Di seguito la versione di Marayah, mentre qui la smentita di Chiara Ferragni.
Marayah, sei stata assunta da Chiara Ferragni e Fabio Maria D’Amato durante le riprese della serie ‘The Ferragnez’.
Sì. Ed ero entusiasta, mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Finalmente, mi stava succedendo qualcosa di bello. Di più, qualcosa di incredibile.
Dopo le registrazioni, ti è stato fatto un colloquio di lavoro vero e proprio?
No. Il ‘colloquio’ è quello che vedete nella serie. Io dico di avere passione per la moda e per gli outfit impeccabili. Loro subito dopo mi offrono questa ‘grande opportunità lavorativa’.
Quanto tempo Ferragni e D'Amato sono stati in ‘Casa Arcobaleno’?
Giusto quello delle riprese. Sarà stata una mezza giornata.
Possiamo dire che in pratica non ti conoscevano?
Sì, non c’è stato modo di chiacchierare. Mi sono ritrovata con questa offerta di lavoro improvvisa. Forse dovevo capire che ci fosse qualcosa di strano perché non avevo esperienza pregressa nel campo, non avevo esperienza pregressa in generale. Ma dopo così tanti colloqui andati male, non mi sono fatta domande. Ripeto: ero solo felice.
Cosa ti aspettavi?
Il mio sogno era ed è tuttora di fare la modella. Quindi sì, in quel momento mi immaginavo che lavorare per Chiara Ferragni sarebbe stato un trampolino verso questo obiettivo.
Come sei entrata in azienda? Con quale ruolo?
Receptionist. Non esattamente ciò che sognavo, ma mi rendevo benissimo conto di essere una principiante. Stavo iniziando e già iniziare lì era una fortuna sfacciata, ci mancherebbe.
Posso chiederti quanto prendevi al mese?
1300 euro.
A partita iva?
No no, da dipendente. Infatti dal punto di vista economico non potevo proprio lamentarmi, anzi! Fin da subito, però, mi sono scontrata con una realtà che non avrei mai immaginato…
In che senso?
Ho avuto problemi a inserirmi in quell’ambiente, non mi sentivo ascoltata. Perché, in effetti, non lo ero.
Puoi farmi un esempio?
La divisa. Tutti dovevamo indossare una divisa rosa. E questo è normale, viene richiesto in molti posti di lavoro. Solo che me ne è stata data una che non era della mia taglia, un vestito corto, attillatissimo. Ero in forte imbarazzo a doverlo indossare.
Hai fatto presente la cosa?
Sì. Mi hanno detto di parlarne con un tizio delle risorse umane (che in realtà, poi, aveva un altro ruolo in azienda, ma questo lo avrei scoperto dopo. In due anni di tempo che ho trascorso lì, ancora non ti so dire se effettivamente ci fosse un referente per le risorse umane). Io ho solo chiesto una divisa della mia taglia, non mi sembrava una pretesa assurda. Il tizio mi ha risposto, stupito, che non si aspettava che mi sarei messa a fare tante storie. Mi ha detto: “Proprio tu che dovresti essere abituata a tollerare”...
In che senso?
Non lo so, posso pensare che si riferisse al fatto che io sia una persona trans. O alla mia storia personale. Comunque, ci sono rimasta malissimo. Ma non ho lasciato perdere. Ho richiesto di parlare direttamente con Chiara Ferragni, prendendo appuntamento. Per quanto la situazione mi sembrasse surreale.
E com’è andata?
Mi ha accolto nel suo ufficio e, appena le ho esposto la questione ossia quella semplice richiesta di cambiare taglia perché la divisa non mi stava, ha cominciato a farmi un discorso molto rassicurante: non mi dovevo preoccupare, tutti in azienda in accettavano, il colore della mia pelle non era un problema per nessuno, garantiva lei: “Qui non c’è alcun tipo di discriminazione razziale”.
Razziale?
Eh! Non c’entrava niente con quello che le stavo chiedendo, lo so! Probabilmente mi ha vista nera e ha fatto questo discorsetto rassicurante - che mi è pure sembrato preparato, a essere sincera. Senza ascoltare quale fosse il mio reale problema. Capito?
Una situazione fantozziana.
Infatti sono rimasta lì in totale dieci minuti, ho capito che non ci sarebbe stato verso di essere ascoltata, pazienza. Ho provato a dirle che sarei stata disponibile a trasferirmi in negozio, nello showroom, pure a Roma, se avesse ritenuto. Tra i miei compiti c’era anche quello di spedire le divise per il personale dei vari store e avevo ben visto che per loro ci fossero diverse taglie. Ero disponibile a qualunque tipo di cambiamento ma niente, è stato come parlare come un muro.
E come hai gestito la questione della divisa?
Ah, dal giorno dopo mi sono vestita sempre di rosa, sì, ma come mi pareva. Questa cosa non è piaciuta a molti colleghi. Anche se, posso dire? Non mi sono mai presentata sciatta, perfino Anna Dello Russo mi fece i complimenti quando passò in azienda. Nessuno si è mai lamentato di me, neanche i guest più famosi. Ho fatto amicizia con il personale degli altri uffici, con quelli della Deutsche Bank e di Pinko andavo a prendermi il caffè, ci sentiamo ancora. È proprio all’interno di quell’ambiente di lavoro che non mi sentivo accettata. Poi mi davano certe mansioni…
Quali?
Io ero receptionist, no? Ecco. Eppure, mi chiamavano per pulire i tavoli della mensa dopo che i colleghi avevano pranzato. Per carità, stavo iniziando, mi andava bene tutto, erano cose che da cameriera avevo già fatto. Però, dopo aver accettato questo, mi sono ritrovata a fare anche i bagni. Cioè proprio a grattare via la m*rda dai cessi. Non in una singola occasione, molto spesso. Era questa ‘la grande opportunità’ che Ferragni e D’Amato volevano darmi nel mondo della ‘moda’?
Non c’era un’impresa di pulizie?
Tu lo sai? Io mai capito. So solo che mi sono ritrovata a grattar via la m*rda dai cessi in un ambiente che fatico a non definire ostile.
Ostile?
Sì. Mi arrivavano voci continuamente, mi si riferiva che si parlasse di me nei gruppi Whatsapp aziendali e non in modo positivo, mi prendevano in giro. Quando mi è stata data la possibilità di fare uno shooting con Diesel, come modella, ero felicissima. Ma da lì la situazione è peggiorata: dicevano che con la mia ‘immagine’ stavo danneggiando il brand o rischiavo comunque di danneggiarlo. Nessuno me l’ha mai detto direttamente, ma mi trovavo a lavorare con questo continuo ‘rumore di fondo’.
Invidie da ufficio?
Non lo so, ma che queste voci girassero per i corridoi te lo possono confermare due mie ex colleghe alla reception, ragazze gentilissime. Una di loro, a un certo punto, non è stata rinnovata e al suo posto è arrivata un’altra persona. Mi ha detto fin da subito che era lì per farmi da ‘supervisor’.
Com’è andata?
Male. Oltre a essere molto rigida, ai limiti del mobbing, non capisco perché continuasse a parlare di ‘trans’ con me o comunque davanti a me. Mi si rivolgeva coi pronomi al femminile, ma per il resto del tempo faceva molto spesso discorsi e battute sui ‘trans’, al maschile. Ero, di nuovo, in forte imbarazzo, ogni giorno. E non c’era modo di parlare della cosa, nessuno mi ascoltava. È stato frustrante, non sapevo a chi rivolgermi mentre dovevo fingere che andasse tutto bene e sorridere. La situazione è peggiorata quando, dopo lo scoppio del caso ‘Pandoro’, non c’era più lavoro, stavamo lì a fare niente, dalle 9 alle 18.
Non c’era più lavoro?
No. Non arrivavano pacchi né persone. Era tutto fermo. La stessa Chiara Ferragni, che avrò visto passare di lì al massimo tre volte in due anni, non si faceva più vedere. Una situazione da ‘città fantasma’. Nessuno sapeva più cosa fare, le prime teste cominciavano a saltare. Nel senso che le persone non tornavano in ufficio da un giorno con l’altro e così capivo che erano state licenziate.
Poi è toccato anche a te…
Sì. Dopo due anni e con un contratto a tempo indeterminato in mano, sono stata licenziata perché, appunto, non c’era più lavoro. Me lo aspettavo da tempo, non è stata una sorpresa.
Da chi sei stata licenziata? Da Chiara Ferragni?
Ma figurati! (ride, ndr). Nel mio stesso giorno, a fine novembre 2024, sono state licenziate altre cinque persone. Alcune lavoravano lì da dieci anni, in pratica avevano visto nascere il brand e contribuito a farlo crescere. Sai dov’era Chiara Ferragni mentre questi perdevano il lavoro insieme a me? Su un aereo per la Finlandia, insieme ai figli. Li ha portati in Lapponia a incontrare Babbo Natale postando tantissime foto sul suo Instagram. Foto riprese da ogni sito, erano tenerissime. Tutto questo, mentre l’azienda andava a putt*ne. Può capitare che le cose vadano male, per carità, ma come mi ha assunta a favor di telecamere durante le riprese di quella serie, mettendoci la faccia, mi aspettavo che facesse lo stesso al momento del licenziamento. Anzi, dei licenziamenti. No, lei invece era in Lapponia e sui giornali con tanti complimenti, mentre i suoi dipendenti finivano in mezzo alla strada. La mia impressione? Non gliene sarebbe potuto fregare di meno.
Come ti sei sentita il giorno del licenziamento?
Felice. Gli altri venivano via piangendo, io invece ero sollevata. Poi, però, mi sono ritrovata nella situazione di prima.
Cioè?
Senza il supporto di ‘Casa Arcobaleno’, probabilmente non sarei qui. Questo tengo molto a dirlo, loro mi sono stati e mi stanno tuttora molto vicino. Dopo quei due anni di lavoro, ho ripreso a fare colloqui ma nessuno mi assumeva, nemmeno come cameriera, sempre per via dei documenti, del mio essere una persona trans. Non interessava che avessi ‘Chiara Ferragni’ in curriculum, anzi, forse a quel punto e vista la situazione del suo brand, peggiorava pure le cose.
Hai più sentito Chiara Ferragni?
Le ho scritto diverse volte. Non mi ha mai risposto. Fabio Maria D’Amato, invece, per quanto possibile si è interessato a me anche dopo il licenziamento, mi ha invitato a qualche evento, per un po’ siamo rimasti in contatto e infatti su di lui non ho nulla da dire di ‘negativo’. Da Chiara Ferragni sono rimasta invece molto delusa.
Cosa le diresti ora?
Quello che le ho già scritto: mi dispiace che mi abbia usata per farsi pubblicità. Ha preso in azienda la ragazza nera trans per far vedere a tutti quanto lei fosse sensibile alle tematiche queer e ai problemi della nostra comunità. Ma era tutta fuffa, non ho mai avvertito un sincero interesse, per mia esperienza posso dire che purtroppo non c’è stato. Non le auguro nulla di male, spero solo che un giorno si possa rendere conto che esistono anche gli altri, che le sue azioni hanno ripercussioni sulla vita della gente che coinvolge. Che le persone, insomma, sono persone. Non specchietti per le allodole da usare per dare l’impressione di essere brava e bella, per ricevere applausi e consensi. Mi è capitato di incontrare altri 'vip' ricchi e famosi. Per esempio, Giuseppe Fiorello e sua moglie Eleonora Pratelli. Mi hanno contattata per un podcast sulla mia storia (che, tra l’altro, è venuto fuori bellissimo). A loro sarò per sempre riconoscente. Volevano davvero conoscermi e mi hanno anche dato una mano dal punto di vista economico pagando per me l’intervento al seno. Questa cosa l’hai mai sentita? No, vero? L’ho detto io a Vanity Fair, in una intervista. Loro non ci hanno fatto una serie tv sopra, né hanno comunicato ai giornali di avermi dato una mano. La vedi la differenza?
Sì. Perché non hai mai parlato prima di questa tua esperienza con Chiara Ferragni? Nel podcast, per esempio, o nell'intervista a Vanity Fair? Avevi firmato un nda (accordo di non divulgazione, ndr)?
No no, non mi hanno fatto firmare niente. Non ho nulla di scritto nemmeno riguardo al licenziamento, pensa! A Vanity ho detto io di non voler trattare l'argomento Ferragni, volevo raccontare di me e basta. Ho pensato tante volte di parlarne sui social, di dire tutto su TikTok. Ma sai cosa? Non volevo fare ‘la trans mendicante’. Avevo paura di passare per quella che cerca attenzioni, di non essere ascoltata, creduta. Lei è Chiara Ferragni, io non sono niente. Non avrei retto i commenti della gente, già non era un bel periodo: dovevo pensare alla mia salute, al mio benessere per prima cosa. Da ‘Casa Arcobaleno’, poi, mi scoraggiavano a farlo perché mi vogliono bene e temevano potessi finire diffamata o derisa online. Io adesso sto parlando perché mi hai cercata, altrimento non so se ne avrei mai trovato il coraggio. Forse, avrei taciuto per sempre.
Come stai oggi?
Meglio, ma non bene. Purtroppo, non trovando impiego, sono tornata a lavorare per strada. Faccio la sex worker. Un mestiere che per me ha una dignità, ma non è quello che desidero per la mia vita. Dopo il licenziamento, sono caduta in depressione. Avevo conosciuto Chiara Ferragni, lavorato per la sua azienda e mi ritrovavo ancora da capo? Dove avevo sbagliato? Com’era possibile? Non riuscivo ad accettarlo, continuavo a pensarci. Quando è finita anche la storia col mio fidanzato, sono sprofondata e ho fatto cose che non avrei dovuto fino a ritrovarmi in ospedale.
Cos’è successo?
TSO (trattamento sanitario obblogatorio).
Ti sei fatta del male?
Ho tentato di farmi del male. Tanto male. E quindi è arrivata l’ambulanza.
Mi stai parlando di suicidio?
Sì. Ci ho provato. Sai, pensavo che una qualunque altra persona nella mia situazione sarebbe tornata ‘a casa’. Ma quale ‘casa’? Io non ce l’ho, mi dicevo. Non so nemmeno che cosa sia una ‘casa’, non l’ho mai saputo. Un posto in questo mondo per me non c’è, è questo il pensiero che mi ha spinta. Non c'è a meno che non mi umili, a meno che non ‘mendichi’. Non lo volevo, non lo voglio più fare. Io ho una dignità, anche se praticamente nessuno sembra accorgersene.
Io non so cosa dire adesso.
Non c’è nulla da dire. Magari tutto quello che ti ho raccontato non suonerà credibile. Sai quanto ci vuole a pensare che io sia solo una povera depressa, una pazza che s’è pure presa pure un TSO? Non mi interessa, giudicate come vi pare. Intanto la mia storia esiste, intanto io esisto. E non soltanto io, siamo in tanti, siamo in tantissime. Anche se non ve ne frega niente.