“Se sei figlio unico sei più intelligente, se hai questa abitudine, sei più empatico, se ti rivedi in tre di questi sette atteggiamenti, hai almeno un disturbo mentale. Sui social spuntano spesso presunti 'studi' dell’Università di Sarcazzo che vogliono dirti chi sei, se non diagnosticarti qualcosa che non va in te a livello psicologico”. Con il Dottor Matteo Merigo, psicoterapeuta e sessuologo, abbiamo parlato di salute mentale e, soprattutto, del modo in cui l’argomento viene trattato sui social. Se è sacrosanto che si combatta lo stigma, molto spesso Instagram è invaso da storture e concetti travisati che, alla fin fine, non fanno bene a nessuno. Le “diagnosi” tramite Canva fatte da life coach (e non solo), l’apparente invasione dei cosiddetti “narcisisti patologici”, l’abuso di termini che appartengono alla scienza psicologica banalizzati per acchiappare-like. Siamo un Paese di “disturbati”? Forse non quanto sembrerebbe essere "di moda" pensare. Qui di seguito, un’intervista al sapore di debunking in cui alcuni “falsi miti” sempre più diffusi vengono scardinati da chi ha competenza per fare chiarezza.
Partiamo da qui: “A tutti farebbe bene la terapia”. È vero?
Non sempre. Esistono anche situazioni in cui non ci sono gli estremi per un percorso terapeutico. Mi è capitato di dire a persone che sono venute nel mio studio: “Guarda, davvero non hai niente”. Il dubbio ci può sempre stare, è come fare un check-up medico e ottenere esiti buoni. La terapia non è obbligatoria, di certo può far bene.
Quando la terapia “fa bene”?
Di sicuro quando nasce dalla volontarietà di un individuo. La scelta di intraprendere un percorso psicoterapeutico deve venire da un’esigenza personale, altrimenti è molto difficile che possa andare a buon fine. Poi, dipende anche dalla tipologia di terapia che si va a seguire. Ce ne sono di più o meno adatte a ognuno di noi: l’EMDR, l’ipnosi…
In quali casi è consigliabile l’ipnosi, per esempio?
L’idea che le persone hanno dell’ipnosi è molto viziata dai film, quindi prima di tutto tengo a dire che non si tratta di una tecnica manipolatoria. La psicoterapia ipnotica nasce con lo scopo di risolvere dei conflitti interiori o anche quelle che vengono definite “impotenze interiori”.
Cosa sono?
I limiti che ci poniamo e che, consapevolmente o meno, sono il risultato di un trauma passato. Esempio pratico: ho fatto un incidente in macchina o ne ho visto uno particolarmente spaventoso e adesso non guido o non guido più. Comunque è un discorso davvero complesso da affrontare, ci sarebbe da parlare tre quarti d’ora solo di questo per non banalizzare o generalizzare troppo…
A proposito di “banalizzare” e “generalizzare troppo”, non trova che sui social stia accadendo proprio questo riguardo a tematiche che riguardano la salute mentale?
Generalmente, gli psicologi sui social cercano di dare dei consigli ampi, ma sempre sul pratico. È grave, invece, quando sia chi ha una abilitazione in campo psicoterapeutico come semplici life coach - di cui non ho una grande opinione - pubblicano post con elenchi di fantomatiche caratteristiche per “riconoscere” disturbi mentali in chi abbiamo intorno. Purtroppo ci sono tantissimi contenuti di questo tipo e li trovo pericolosi perché, ovviamente, le diagnosi non si fanno con Canva. Inoltre, chi lancia tramite social messaggi di questo tipo non sa chi andrà a leggerli e in quale contesto si trova. C’è un motivo, insomma, per cui, salvo casi particolari, la terapia è individuale.
Quindi esiste la possibilità che non siamo davvero tutti “disturbati”?
(ride, ndr) Esiste questa possibilità. Al primo anno di Psicologia, un Professore ci aveva detto: “Quando studierete il Manuale dei Disturbi Mentali, a una prima lettura vi sembrerà di averli tutti”. Bisogna avere delle basi per riuscire a capire cosa c’è scritto e cosa significa davvero. Anche per questo motivo, tornando ai social, non basta copia e incollare dal Manuale per comunicare contenuti che abbiano un senso e possano realmente aiutare qualcuno.
La boiata più grande che hai visto sui social riguardo alla salute mentale…
Un collega in piena pandemia pubblicò un post con scritto: “L’amore è il vaccino”.
A proposito di “amore” a altre sciagure annesse, parliamo un po’ di questi “narcisisti patologici”: stando a Instagram, sembra che siano ovunque… Perché il termine “stronzo” non va più di moda?
La psicologia, purtroppo, alle volte segue proprio delle mode. Il disturbo narcisistico di personalità esiste eccome, ma non è nemmeno così semplice da diagnosticare. Prima che questo termine diventasse “mainstream”, c’è stato il periodo del “vampiro energetico”. Lo trovavi pure nel caffè, come, da lì a poco, l’“empatia” e la “resilienza”, altri concetti usati spessissimo a sproposito. Comunque sposo la tua mozione: “stronzo”, anche al femminile, era ed è sicuramente un termine più diretto e che non andava a sfociare nel patologico a ogni costo. Posto che quel disturbo esiste, il problema è la sua narrazione. Queste cose dovrebbero essere viste e indagate da un professionista, non da chiunque.
Lei, da professionista appunto, quanti narcisisti patologici ha diagnosticato?
In tredici anni di attività, di narcisisti patologici puri me ne sono capitati davanti due.
In che senso “puri”?
È un disturbo molto subdolo che tende a mischiarsi con altri. In generale è rarissimo trovare un disturbo di personalità puro, appunto.
Vengono spesso suggerite tecniche per riconoscere o allontanare “narcisisti patologici”. Sui social, va molto di moda quella dei “21 giorni”. Ossia sparire per quel periodo di tempo per poi tornare dal partner. Se lo ritroviamo arrabbiato, vuol dire che è un narcisista psicologico. Questa “tecnica” ha una qualsiasi validità o attinenza “psicologica”?
Quella dei “21 giorni” è una tecnica che viene utilizzata in diversi ambiti, soprattutto nelle disintossicazioni. Per esempio, se vuoi smettere di fumare e per 21 giorni non fumi, hai già cambiato il circuito mentale che ti fa pensare all’abitudine. Si tratta di un inizio di cambiamento. Ma chiaramente non è una tecnica replicabile con le persone. Se sparisci dalla vita di qualcuno, magari il tuo stesso partner, per 21 giorni e poi ti fai risentire di punto in bianco, è chiaro che non lo troverai all’apice della serenità nei tuoi confronti. E mica perché è un narcisista!
Tristezza e rabbia: è il caso di “andare a farsi a vedere” se proviamo “emozioni negative” di questo tipo?
Dipende. Il lavoro dello psicologo, in questo senso, è quello di funzionare come un enzima, ossia di velocizzare alcuni processi che qualcuno riesce da solo a portare a termine, mentre per altri comportano più tempo e fatica. Rimanerci male per essere stati lasciati, per esempio, non ha nulla di patologico o problematico in sé, è una reazione coerente. Restare impantanati in quell’emozione negativa a lungo, però, non fa bene. E qui può intervenire il supporto psicologico. Per uscire da quel “pantano”, appunto.
Prima diceva di non avere una grande opinione dei “life coach”. Come mai?
Basti pensare che chiunque può svegliarsi un mattino e mettere fuori dalla porta il cartello “life coach” per poi cominciare a “lavorare” con e sulle persone. Mi sembra abbastanza per non fidarsi di queste figure, no?
Ci sono particolari segnali che fanno capire quando non è il caso di “fidarsi” di qualcuno che si propone di "aiutarci" via Instagram?
Se uno, sprovvisto di Laurea in Psicologica, vi dice: “Lavoro sull’autostima della gente perché ho tanta empatia”, lasciatelo perdere subito. Non mettetevi nelle mani di chi dà per scontato lo studio universitario, l'abilitazione, l’esperienza, la tecnica…
C’è un aspetto riguardo il discorso sulla salute mentale che non viene affrontato ma che trova, invece, urgente?
Un aspetto molto poco indagato ma che è un buco della nostra società riguarda quegli individui che hanno problemi psicologici gravi e non si sottopongono a terapie perché, essendo maggiorenni, devono essere loro a deciderlo. Ma se hanno problemi non capiscono di averli. Per cui, poi, hai il panettiere che uccide la figlia, l'ex paziente che uccide la psicologa, l'immigrato che strupra la donna di notte. Invece, sarebbe necessaria una mappa psicologica della popolazione e, se i casi che lo necessitano, intervenire anche senza il loro consenso. So che è un argomento delicato, perché in primis fa porre subito l’interrogativo etico sul chi possa arrogarsi il “diritto” di decidere chi debba sottoporsi a terapie? Ma, con buona pace della caccia ai "narcisisti patologici,quella che ho appena esposto sarà, purtroppo, la questione dei prossimi anni. Già oggi ne stiamo vedendo gli effetti, basta dare un occhio ai casi di cronaca nazionale…