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La storia del ladro in Stazione Centrale finito in coma per un telefono: ma il ragazzo che lo ha messo K.O. non difendeva solo un oggetto

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

24 novembre 2025

La storia del ladro in Stazione Centrale finito in coma per un telefono: ma il ragazzo che lo ha messo K.O. non difendeva solo un oggetto
Un ragazzo insegue un ladro che gli ha appena rubato il telefono in Stazione Centrale a Milano. Lo raggiunge e inizia una rissa, interviene una terza persona e il ladro finisce a terra e va in arresto cardiaco. Ora il ragazzo (la vittima) è stato denunciato per lesioni gravi, ma chi crede che abbia solo difendo il telefono sbaglia

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

È veramente difficile vedere il video di un ragazzo a terra mentre due persone gli fanno un massaggio cardiaco e non provare disagio, nausea, anche terrore. Chi ha visto il video di Charlie Kirk che perde sangue dal collo dovrebbe avere familiarità con questa sensazione (certo, ci sono persone che nel caso di Kirk hanno gioito e che quasi certamente in questo caso griderebbero allo scandalo se non al razzismo, ma lasciamo da parte il cinismo di alcuni). Lazzaramo ha pubblicato il video, credo sia stato il primo, e poco dopo altri video del genere sono stati diffusi sui social. Alcuni giornali, tra cui Fanpage e Milano Today ne hanno parlato, con tutte le cautele del caso (tra cui quella che ha trasformato un ladro in un “presunto ladro”). Il Corriere titola così: “Milano, 19enne insegue ladro davanti alla stazione Centrale e lo picchia a calci e pugni: la vittima è in pericolo di vita”. In realtà, è brutto a dirsi, ma la vittima non è in pericolo di vita. La vittima era il ragazzo.  

La storia in breve è questa: alle 20:40 circa di domenica sera un uomo, forse del Gambia e senza documenti, ha rubato il telefono di un ucraino diciannovenne al McDonald’s di Piazza Duca D’Aosta; il ragazzo rincorre il ladro e inizia la collutazione per riprendersi il cellulare. Interviene una terza persona con un casco bianco, forse un amico dell’ucraino, e stendono il ladro. Il cuore si ferma, non respira più. In due provano ad animarlo, finché non arriva l’ambulanza che lo porta in codice rosso al Fatebenefratelli, dove ora è ricoverato con prognosi riservata. 

Umanamente la prima cosa che viene da dire è: tutto questo per un telefono? Ma no, non è solo un telefono. È qualcosa di più. Si può viaggiare con la mente, e immaginare che quel ragazzo ucraino, di 19 anni, con quel telefono si tenesse in contatto con la sua famiglia. Ma non è necessario. È più facile immaginare di essere nella stessa situazione, con i nostri stipendi, il nostro stile di vita, la nostra difficoltà. Con un telefono che magari costa mille euro, che vi serve per lavoro e che non potete permettervi di rompere. Figurarsi lasciare che lo rubino. Non serve neanche molto sforzo per realizzare che spendere i soldi per ricomprare il telefono potrebbe voler dire avere difficoltà a fare la spesa o pagare l’affitto. E no, il telefono non è un bene di seconda necessità (e nessuno può dirvi cosa sia più importante possedere). 

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Quindi, umanamente, la seconda cosa che viene da dire è: davvero quel ragazzo ha steso un ladro solo per un telefono? No che non lo ha fatto. Ridurre a un puro oggetto ciò che gli hanno rubato è un’ipersemplificazione degna dei più apatici tra i mostri. Se vi sembra che sia mostruoso non provare compassione per un uomo steso a terra, avete ragione. Ma avreste più ragione se vi convinceste che quel ragazzo ucraino avesse tutto il diritto di difendere ciò che era suo e gli era stato rubato. Perché una vita (del ladro) non vale mille euro (di iPhone), ma la mia vita? La mia vita non vale tanto quella del ladro? L’ansia di dover comprare un telefono, l’ansia di non poter pagare un affitto, l’ansia di non poter comunicare la mia famiglia? 

Certo, vi suonerà irrispettoso, se non vergognoso. È difficile farci l’orecchio, perché ci siamo convinti che non esistano motivi legittimi per mettere k.o. qualcuno, per fermargli il cuore. Ma se voi vi trovaste a dover difendere qualcosa che agli occhi degli altri è un prodotto tra i tanti e per voi è frutto di lavoro, di sacrifici, è un regalo attesto e così via? Davvero gli altri possono imporvi il valore che quel semplice telefono dovrebbe avere? O quella chitarra, o quell’anello? Qual è il quadro più ampio? Dobbiamo lavorare come lo zoom di un telefono: la prima immagine è quella di uomo a terra, non abbiamo altri dettagli. Due brave persone gli fanno il massaggio cardiaco. La seconda immagine è quella più larga, appena appena più larga, è notte e sei alla Stazione centrale di Milano. Ci sono un po’ di persone intorno, c’è appena stata una rissa. La terza immagine è “un’immagine nel tempo”: poco prima di quella scena ce n’è stata un’altra, con il ragazzo che rincorre un ladro che gli ha rubato il telefono. 

E poi c’è tutto quello che ho scritto: il valore soggettivo di ciò che ci appartiene, la storia che ogni oggetto si porta dietro. Il nostro oggetto o semplicemente noi stessi, perché magari per quell’ucraino  il telefono non aveva alcun valore, ma si è sentito fregato, ha subito un aggressione e ha provato a difendersi. Quell’uomo è a terra, magari per errore, speriamo possa farcela. Ma quel ragazzo, che ora è stato denunciato per lesioni gravi, cosa avrebbe dovuto fare? Qual è il “piano” previsto in questi casi? Come si stabilisce quali movimenti sono gesti e quali no? Non credo ci siano risposte giuste. 

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