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La turbolenza tra UniCredit (Orcel) e Banco Bpm fa tremare il Governo Meloni? Il ministro Giorgetti minaccia dimissioni sul Golden Power per la scalata, le resistenze di Forza Italia e le critiche di Renzi: “È scandaloso, statalista”

  • di Matteo Suanno Matteo Suanno

29 maggio 2025

La turbolenza tra UniCredit (Orcel) e Banco Bpm fa tremare il Governo Meloni? Il ministro Giorgetti minaccia dimissioni sul Golden Power per la scalata, le resistenze di Forza Italia e le critiche di Renzi: “È scandaloso, statalista”
Giancarlo Giorgetti e Antonio Tajani sono vicini alla rottura "a causa" di Andrea Orcel? Il Golden Power imposto dal Governo Meloni sulla scalata di UniCredit a Banco Bpm è il seme della discordia interno alla maggioranza. Fratelli d’Italia e soprattutto Lega sembrano irremovibili sulle prescrizioni, ma Forza Italia insiste per rivederle. Intanto, l’ad di Piazza Gae Aulenti assesta un altro colpo comprando il 9 per cento della greca Alpha Bank. Ma quanto è politico il risiko bancario? D’altronde, si è espresso anche Matteo Renzi…

di Matteo Suanno Matteo Suanno

Siete ancora convinti che il risiko bancario non sia una questione politica? Forse è ora di ricredervi. Ieri il ministro dell’Economia e della Finanze (Mef) Giancarlo Giorgetti ha ventilato l’ipotesi di “dare le dimissioni” qualora il governo decidesse di rivedere le posizioni sul Golden Power imposto all’offerta pubblica di scambio (ops) di Unicredit su Banco Bpm. Per il ministro, si tira dritto: “Se ci fosse un minimo di disallineamento – fra Palazzo Chigi e il Mef ndr – non trovereste l’annuncio delle dimissioni, ma trovereste le dimissioni, perché le dimissioni non si annunciano ma si fanno. È chiaro?”, ha tuonato Giorgetti, che nega ogni tensione interna alla maggioranza. Il Golden Power approvato ad aprile ha messo i bastoni tra le ruote all’amministratore delegato di Piazza Gae Aulenti Andrea Orcel, per il quale i vincoli di Palazzo Chigi rischiano di rendere l’acquisizione “un’operazione antieconomica”, cioè troppo costosa, e di pregiudicarne quindi l’esito. Per questo ha chiesto e ottenuto dalla Consob una sospensione dell’ops di 30 giorni che, nelle speranze di Orcel, dovrebbe consentire nuove trattative con il governo a cui la banca spera di arrivare forte dei pronunciamenti dei giudici del Tar o dell’Antitrust europeo. Le possibili divergenze con Bruxelles in merito legittimità del Golden Power – che si usa in caso di minaccia alla sicurezza nazionale e, solitamente, nelle acquisizioni tra banche di paesi diversi – sono la pistola che Orcel spera di impugnare sotto i tavoli delle trattative al Mef. Intanto, l’uomo delle partite aperte – Bpm, Commerzbank e Generali – ha acquisito il 9,7 per cento della greca Alpha Services and Holdings, capogruppo di Alpha Bank. Si tratta di un raddoppio per Gae Aulenti, che nel 2023 aveva già rilevato il 9,6 per cento della holding. La Lega è stata finora intransigente su Bpm, una linea che parrebbe essere condivisa con Fratelli d’Italia. È la terza anima dell’esecutivo, quella che parla attraverso il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, quella che scalcia per riaprire i giochi: “Dietro c’è il principio di decidere quale banca e quale banchiere sono graditi all’esecutivo e chi no”, scrive oggi Il Fatto Quotidiano. Insomma, lo scaz*o di governo sembra essere talmente palese da portare Giorgetti a minacciare il passo indietro, ma perché?

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Il braccio di ferro tra Giorgia Meloni e Andrea Orcel

Per Banco Bpm, la banca oggetto degli appetiti di Unicredit, è storicamente vicina al Carroccio. Tanto che lo scenario più gradito e anzi, sollecitato dalla Lega la vedrebbe fondersi con Monte dei Paschi di Siena (Mps), di cui il Mef è primo azionista, per creare un grande polo nazionale del credito. La visione di Piazza Gae Aulenti, invece, è quella di accaparrarsi Banco Bpm e creare così un grande player che metterebbe insieme due tra le più grandi banche nazionali. È qui che entra in gioco Forza Italia (Fi), perché Tajani ha espresso più volte la volontà di rivedere le imposizioni su Piazza Gae Aulenti. Tra queste c’è l’obbligo di abbandonare la presenza che Unicredit conserva in Russia – fra le poche banche occidentali rimaste dopo le sanzioni a Mosca – entro gennaio 2026. Orcel è stato molto critico sul merito e i tempi della prescrizione, dal momento che le pressioni del governo inserite in un contesto internazionale in cui tutti isolano la Russia potrebbe costringere Unicredit a “svendere” un asset importante. Negli ultimi giorni, infatti, è stato comunicato l’interessamento di fondi emiratini di private equity che sarebbero intenzionati ad acquistare offrendo il 60 per cento del valore che Piazza Gae Aulenti stipa per la filiale russa. Fi insiste sul fatto che i nove mesi concessi a Orcel per completare l’uscita dal paese siano “effettivi”, e invita a fare attenzione all’impatto che questa avrebbe sulle imprese attive su quel territorio. Una relazione firmata dall’ambasciatrice italiana a Mosca Cecilia Piccioni inviata alla Farnesina qualche giorno prima del Consiglio dei ministri che decise sul dpcm sui poteri speciali, poi ripresa da Repubblica, è stata pessimista su questo: “Ove la presenza di Unicredit nel Paese venisse meno gravi sarebbero le conseguenze per l’operatività del Sistema Italia nelle sue dimensioni pubblica e privata in primis e degli operatori di Paesi terzi che si avvalgono di questo istituto di credito”. Secondo il quotidiano le aziende attive in Russia sono circa 250. Inoltre, la ritirata porrebbe anche ostacoli di natura diplomatica e “incrinerebbe la credibilità dell’azione delle istituzioni italiane”.

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Che la partita fosse in larga parte politica lo conferma anche Matteo Renzi che, intervistato da Milano Finanza, ha definito “scandaloso” l’uso del Golden Power da parte di Palazzo Chigi. “Il governo Meloni entra prepotentemente in una vicenda che dovrebbe essere risolta da libero mercato, non dal dirigismo statalista del governo”, ha detto il leader di Italia Viva, che ha criticato anche Fi per essersi opposta al provvedimento solo dopo la firma del dpcm lo scorso aprile. “Il governo dovrebbe uscire del tutto dal capitale di Mps”, ha poi aggiunto Renzi, interrogato sui presunti piani del governo di creare un polo nazionale incentrato attorno al banco senese. Dietro l’altra grande partita, che vede appunto Mps al centro di un’ops per acquisire Mediobanca e, di conseguenza, il 13 per cento di Generali che Piazzetta Cuccia ha in pancia, c’è uno dei principali azionisti di Mps, Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore romano vicino al governo, che ha le mani in pasta un po’ ovunque nel risiko. Caltagirone è l’uomo che ha provato a strappare il board di Generali via dal controllo di Mediobanca, con Orcel che ha sostenuto la sua lista, poi uscita sconfitta. La riconferma dell’ad Philippe Donnet, sostenuto da Mediobanca, ha cassato l’ipotesi di una sinergia tra Generali e Natixis, colosso assicurativo francese, al centro delle ambizioni di Caltagirone: “Donnet è un bravo assicuratore, ma gli manca una visione strategica per l’espansione o le acquisizioni. Si sta demolendo una struttura costruita in quasi due secoli per gestire il risparmio in cambio di una fragile partnership”, ha detto Caltagirone a Bloomberg. L’operazione è stata approvata dai sindacati francesi e sarà presto valutata da quelli italiani, ma sul nulla osta penderà nuovamente la spada del golden Power del governo, soprattutto della Lega, che non vorrebbe lasciar penetrare capitali francesi.

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