Giugno potrebbe essere un mese decisivo per decretare le sorti dell’offerta pubblica di scambio (ops) lanciata da Unicredit su Banco Bpm. Uno dei capitoli più complicati del cosiddetto risiko bancario, che ha visto l’entrata a gamba tesa di Palazzo Chigi attraverso il Golden Power, è divenuto oggetto di ricorso al Tar da parte dell’amministratore delegato di Piazza Gae Aulenti, Andrea Orcel. I giudici amministrativi hanno fissato al prossimo 4 giugno la prima udienza per discutere del ricorso: “Una tempistica compatibile con l’eventuale annullamento della misura, se i giudici amministrativi reputeranno che non rispetti le altre norme di quadro e di settore”, scrive La Repubblica. Ma in caso di ricorso al Consiglio di Stato da parte del soggetto sconfitto in primo grado, i tempi sforerebbero quelli dell’ops. Quanto successo nelle ultime settimane sta scoraggiando i piani di fusione di due fra le più grandi banche italiane, operazione che creerebbe un nuovo primo player italiano per capitalizzazione, ovvero per valore azionario complessivo: “l’offerta potrebbe decadere: ma può sempre essere riproposta”, ha detto ieri Orcel che ha sottolineato come i continui paletti governativi aumentino il costo economico di un’operazione di per sé “valida strategicamente e industrialmente”. Ecco allora che il mese di giugno potrebbe dare alla partita l’indirizzo decisivo: oltre ai tribunali amministrativi, il 19 giugno il caso sarà passato al vaglio dell’Antitrust europeo, che può richiamare gli Stati in caso di sospette violazione della legge sulla concorrenza. E sarà decisivo anche per Banco Bpm, furioso, nelle parole del suo amministratore delegato Giuseppe Castagna, dopo il parere favorevole della Consob sulla richiesta di sospendere l’ops per 30 giorni, posticipandone di fatto il termine al 23 luglio. La banca rivale che ieri, riunito il cda, si è vista respingere il ricorso urgente al Tar del Lazio contro la delibera dell’organo di vigilanza sul settore bancario, lo discuterà il 10 giugno in camera di consiglio.

Ma il verdetto delle corti potrebbe finire in secondo piano qualora il governo in persona dovesse decidere di fare qualche passo indietro sui poteri speciali approvati con il dpcm di aprile. E a pungolare Palazzo Chigi su questa decisione potrebbe essere proprio il timore di ricevere un forte richiamo dall’Unione europea. A trovare una nuova e ammorbidita formulazione potrebbe essere il primo articolo del provvedimento, che chiede a Piazza Gae Aulenti di non ridurre per i primi cinque anni il rapporto tra impieghi e depositi praticati da Bpm e Unicredit in Italia, al fine di “incrementare gli impieghi verso famiglie e Pmi nazionali”. Un punto sul quale Orcel ha più volte chiesto spiegazioni, e sul quale è intervenuto anche dal palco del Consiglio nazionale della Fabi, il principale sindacato del settore bancario: “Unicredit non presta alle piccole e medie imprese, dicono, ma noi prestiamo più degli altri”, aveva risposto l’ad. L'altra, annosa questione relativa alle prescrizioni di governo riguarda l'obbligo per Unicredit di ritirarsi dalla Russia – dove resta una delle poche banche estere ancora operanti – entro gennaio 2026. Ma su questo punto potrebbe arrivare un aiuto fondamentale dagli Emirati Arabi Uniti. Milano-Finanza ha infatti riportato che due fondi emiratini sarebbero interessati all'acquisto della filiale russa. Si tratta di soggetti di private equity "già attivi nel campo dell'acquisto di asset europei bloccati in Russia dopo lo scoppio della guerra e il varo delle sanzioni occidentali", continua MF. Ovviamente, su questa ipotesi pendono almeno due incognite: la prima riguarda il prezzo, dato che secondo alcuni osservatori l'offerta – che potrebbe arrivare già nei prossimi giorni – si aggirerebbe sul 60 per cento del prezzo fatto da Unicredit. Orcel in passato ha più volte puntato i piedi sul capitolo russo proprio per una questione economica, poiché Piazza Gae Aulenti non vorrebbe svendere il business russo cedendo a offerte d'opportunità dettate dalle condizioni geopolitiche. L'altro punto riguarda il posizionamento del governo, che con una possibile vendita di Unicredit russa vedrebbe cadere uno dei paletti più proibitivi imposti a Piazza Gae Aulenti. E siccome in molti hanno giudicato le imposizioni "pretestuose" e non meglio motivate, il rischio di una vendita potrebbe esporre Palazzo Chigi al rischio di dover gettare la maschera sull'ostruzionismo di matrice politica che, sempre secondo i commentatori, sarebbe alla base del Golden Power. A far indietreggiare ulteriormente il governo potrebbe essere infine l'entrata nei gioci della direzione generale alla Concorrenza, che ha la facoltà di fornire un parere vincolante sul Golden Power, in base all’articolo 21, comma 4, del regolamento Ue. La direzione ha infatti il potere di entrare nel merito e stabilire se le leggi nazionali rientrino o meno nell’ambito della sicurezza nazionale e se siano proporzionati. Governo avvisato, dunque.
