Più che La Versione di Giorgia è il metodo di Giorgia. Perché attraverso il libro La versione di Giorgia (scritto da Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale ed edito da Rizzoli) è chiaro una volta di più come ha intenzione di lavorare Giorgia Meloni: poco spazio alla vanità, nessuna ambizione di potere a lungo termine e un solo rapporto privilegiato: quello con i cittadini. È un manuale di comunicazione politica: il conflitto degli ultimi anni infatti è stato quello tra popolo ed élite e Meloni lo sa. Per questo vuole essere l’elemento che emerge dal basso che raggiunge le elite per provare a difendere gli interessi del popolo. Si dimentichi il politico divo. Meloni ha accolto a Palazzo Chigi, un giornalista, Sallusti, per tracciare un bilancio dei primi mesi del suo governo e per spiegare senza fronzoli gli obiettivi da qui ai prossimi quattro anni. Già la genesi di questa intervista è peculiare. È un tardo pomeriggio di un giorno della settimana che porta a Natale quando Sallusti passa a Palazzo Chigi per scambiarsi gli auguri con il presidente del Consiglio. Giorgia Meloni ha la febbre “come milioni di italiani” e soffre un po’ “in quel palazzo molto più cupo di quanto ci si immagini, che una volta era la residenza della famiglia Chigi”. Che non si tratti di un libro-intervista ingessato è chiaro sin dal prologo del libro. Meloni offre a Sallusti un tè caldo, si sfila le scarpe e si accovaccia sul divano a tre piazze del salottino del suo studio privato. Si discute poi delle pareti di Palazzo Chigi e del significato di quel luogo dove si sono susseguiti numerosi capi di governo. Ma Meloni sa che essere in quel palazzo non significa niente: “A Palazzo Chigi”, dice Meloni, “si respira meno sollenità di Palazzo Montecitorio, Palazzo Madama e il Quirinale. E a pensarci bene ha un senso. Qui sono sempre stati tutti di passaggio. (...) In pratica è come se queste stesse mura volessero dirti ‘ricordati che conti poco e durerai ancora meno’”. E a chi legge tutto ciò infonde un senso di potere che è il sale della democrazia: se io so che tu politico sei precario e dipendi da me cittadino, non mancherò di giudicare il tuo operato e di recarmi alle urne per decidere se tu potrai continuare a fare quel lavoro.
Poi, Alessandro Sallusti si lascia scappare una battuta: “Peccato che un presidente del Consiglio in carica non possa pensare di scrivere un libro per raccontare i suoi progetti”. Giorgia Meloni risponde: “E perché non puoi farlo?”. Preso in contropiede Sallusti la butta lì “Non lo so esattamente, ma ci sarà un motivo se nessuno l’ha mai fatto”. Ma Meloni sa cosa piace del suo modo di fare e ribatte: “Dovresti sapere che fare quello che hanno fatto tutti gli altri non è esattamente la mia specialità”. Da qui in poi gli incontri tra Sallusti e Meloni, raccontati nel libro, sono sempre all’insegna di un clima familiare. Si stabiliscono subito le regole: ci si dia del tu e si eviti la finzione. Meloni ricorda un po’ a tutti che quello che ha fatto non è all’ordine del giorno. “Tu”, chiede a Sallusti, “avresti scommesso che un giorno saresti venuto a parlare con me, una quarantaseienne donna di destra venuta da un quartiere popolare (...), in questo ufficio al primo piano di Palazzo Chigi?”. In quell’ufficio, continua Meloni, hanno lavorato persone come Aldo Moro, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Giovanni Spadolini, Bettino Craxi, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, Silvio Berlusconi e Mario Draghi. Qualcuno avrebbe mai pensato che “potessi sedere io alla scrivania di quest’ufficio?”. Meloni, dopo quasi un anno dal suo discorso programmatico in Parlamento, non vuole smettere di essere l’underdog della politica. Vuole essere quella donna cresciuta in un quartiere popolare che attraverso il duro lavoro ha raggiunto una scrivania che è stata di “mostri sacri” della politica. Secondo il presidente del Consiglio, la sua è una storia “che rompe i tabù della nazione bloccata, della vita delle persone decisa a tavolino, dei troppi traguardi che pensiamo ci siano preclusi, delle occasioni che siamo certi non avremo mai”. A governare quindi è come se ci fossero tutti gli elettori che hanno deciso di votarla. Giorgia Meloni non è il deus ex machina di berlusconiana memoria che scende dal cielo per risolvere i problemi degli italiani. No, è l’opposto. Meloni si racconta come una donna che ha superato ostacoli e difficoltà per arrivare lì a servire il Paese e che vive il suo tempo a Palazzo Chigi “come un tempo sospeso”. Al presidente del Consiglio infatti non “piace vivere blindata”: le manca, si legge nel libro, guidare l’auto mentre alza il volume e ascolta le sue canzoni preferite, le manca uscire a qualsiasi ora per andare a correre da sola, le manca la libertà di sedere in un bar a bere un caffè e leggere il giornale senza che qualcuno la riconosca e la guardi. Meloni soffre per la normalità che le viene strappata. Per lei il suo ruolo quindi non è un privilegio ma è un servizio al Paese. Meloni infatti non se la prende con la sinistra perché la critica ma per quello “che dicono dell’Italia”. Procedendo con la lettura si individua sempre più chiaramente la strategia comunicativa di Meloni: la “patria” sopra ogni cosa, mostrarsi “vincibile” e “dire sempre la verità”.
Tra i temi più caldi trattati nel libro-intervista ci sono l’immigrazione e il rapporto con l’Europa. “Possiamo continuare ad accapigliarci quanto vogliamo”, dice Meloni, “ma se non capiamo che l'unico modo per fermare le morti è fermare la tratta, le persone continueranno a morire». Mostra fermezza: “andare avanti così con i flussi che si moltiplicano è, quello sì, un modo di mettere a repentaglio la vita dei migranti, perché piaccia o no ci sarà sempre qualcosa che può andare storto, una segnalazione che non arriva, naufraghi che non riesci a raggiungere. L'unico modo è fermare la tratta, combattere l'immigrazione illegale e gestire i flussi di quella legale, in sicurezza. Così da poter anche garantire a chi arriva la vita dignitosa che sperava di avere”. E proprio sull’immigrazione, Giorgia Meloni il 15 settembre ha pubblicato un video su Facebook che conferma quanto scritto sulla sua strategia comunicativa. Il presidente del consiglio scavalca la mediazione giornalistica parlando direttamente con i suoi cittadini, raccontando cosa vuole fare il suo governo per tentare di risolvere un problema. “Annuncio che ho scritto alla presidente della Commissione Ue Von der Leyen per chiedere di venire con me a Lampedusa per rendersi personalmente conto della gravità della situazione che affrontiamo e per accelerare immediatamente la concretizzazione dell'accordo con la Tunisia trasferendo le risorse concordate”. Si informano i cittadini e di conseguenza lo viene a sapere anche la stampa. E proprio su Von Der Leyen e l’Unione Europea Sallusti pone alcune domande a Meloni. Il presidente del Consiglio vorebbe dall’Europarlamento più decisione: “Il governo europeo è una costante mediazione tra le indicazioni dei singoli governi e gli equilibri politici che si impongono al Parlamento europeo”, dice Meloni, e “fa perno su una alleanza tra popolari, socialisti e liberali di centrosinistra”. Un tipo di intesa che “potrebbe ricordare l’esperienza non proprio felicissima dei governi delle larghissime intese”. Una situazione che quindi finisce con il produrre “politiche poco coraggiose, prive di visione”, che portano a creare un vuoto che è riempito dalla burocrazia, i famigerati euroburocrati”. Anche sull’Europa Meloni si mostra quindi ragionevole e disposta a mediare. Fratelli d’Italia è una forza che vuole essere sì il più “popolare” possibile ma senza quella spinta antieuropea che in molti pensavano e speravano avrebbe avuto. E questo è uno dei lati di Meloni che emerge dal libro: “Non devi mai avere paura di perdere consenso se sei convinto che stai facendo la cosa giusta per la comunità che amministri”, si legge. E quando Sallusti le chiede qual è il suo obiettivo, Meloni è chiara: “Il mio obiettivo è che quando morirò, fosse tra cinque, venti o quarant’anni, come per il sindaco Wamura (politico giapponese a cui si deve la costruzione del muro che risparmiò il villaggio di Fudai dallo tsunami che colpì il Giappone nel 2011, ndr), qualcuno che non ho conosciuto venga a portare un fiore sulla mia tomba, per ringraziarmi di ciò che sono riuscita a fare per l'Italia. Perché le vere rivoluzioni le capisci solo con il tempo.”