La Corea del Sud è riuscita a ritagliarsi un'immagine eccellente agli occhi dell'opinione pubblica globale, ricalcando per certi versi l'exploit internazionale avuto dal Giappone a cavallo tra gli anni '80 e i primi anni del Duemila. Il soft power, il famigerato potere dolce coniato dal professor Joseph Nye, ovvero l'abilità di un potere politico di persuadere, convincere e attrarre gli altri tramite risorse intangibili, quali "cultura, valori e istituzioni della politica", ha avuto un peso imprescindibile nel percorso di sviluppo dell'ex Tigre asiatica. Le prove di quanto affermato sono tanto evidenti quanto tangibili nella nostra quotidianità. Grazie all'impatto dei grandi conglomerati sudcoreani, i cosiddetti Chaebol, i prodotti made in Korea hanno conquistato ampie fette del mercato occidentale. L'elenco è piuttosto lungo: si va dagli smartphone Samsung ai condizionatori Lg, passando dalle auto Hyundai e Kia, per non parlare poi dei prodotti immateriali come le serie televisive su Netflix, i film vincitori di prestigiosi premi e gli artisti del Korean Pop, ormai idoli di fama planetaria. Il reddito pro capite sudcoreano, a parità di potere di acquisto, ha raggiunto quasi i 33mila dollari, mentre la Corea del Sud in senso lato è la quarta economia più grande d'Asia e l'11esima nel mondo. Quello appena raccontato è un traguardo impressionante, visto e considerando che, terminata la guerra di Corea (1950-1953), il Paese aveva un reddito pro capite inferiore ai 100 dollari, un po' come oggi alcuni degli Stati più poveri dell'Africa. Negli anni '50, Seoul poteva contare su un'economia agricola sottosviluppata e dipendente quasi esclusivamente dagli aiuti esteri. La leadership militare che emerse nei primi anni '60 - la stessa che avrebbe guidato la nazione per un quarto di secolo con piglio autocratico e repressivo - riuscì in qualche modo a risollevare un'economia distrutta, realizzando quello che divenne noto come il "miracolo sul fiume Han", dal nome del fiume che taglia in due Seoul. Nei tre decenni successivi, il sistema economico del Sud crebbe ad un tasso medio annuo di quasi il 9% e il reddito pro capite aumentò di oltre cento volte.
L'altra faccia del miracolo coreano
Sulla carta, e nei fatti, la Corea del Sud è una repubblica semipresidenziale caratterizzata da un sistema democratico rappresentativo e multipartitico. Il suo sistema politico e l'insieme di leggi che ne regolano il funzionamento sono tuttavia distanti dalle concezioni occidentali del canone democratico. Gli esempi non mancano. Nel 2017, la polizia sudcoreana è piombata nella casa di tale Lee Jin-young, a Seoul, arrestandolo e mettendolo in isolamento. Lee, attivista di lunga data già incarcerato negli anni '80 per aver promosso la democrazia, era finito nuovamente in prigione per aver gestito Labor Books, una biblioteca online ricca di informazioni sulla Corea del Nord. L'accusa, in quel caso, coincideva con l'aver diffuso letteratura che avrebbe portato benefici al nemico. Un anno più tardi, Lee è stato dichiarato non colpevole delle accuse ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale. Una legge che, tuttavia, ha più volte messo a dura prova le libertà personali dei cittadini, almeno secondo l'ottica democratica occidentale. Certo, in tutto questo bisogna sottolineare che le sfide che deve affrontare Seoul in materia di diritti umani sono una conseguenza dello stato di guerra decennale con la Corea del Nord di Kim. Ciò nonostante, i vari governi che si sono succeduti nel corso degli anni hanno fatto affidamento su severe leggi per limitare la libertà di espressione, in particolare quando si tratta di dibattito sul Nord. Per la cronaca, la più nefasta coincide con la Legge sulla Sicurezza Nazionale (Nsl), una reliquia risalente al periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Come ha scritto il Times, la formulazione vaga della Nsl la lascia aperta ad abusi da parte della polizia e di altre autorità, con le autorità che la usano da decenni per prendere di mira dissidenti e oppositori. Nel 2012, Park Jung-geun, all'epoca 24enne, fu condannato a 10 mesi di prigione dopo aver ritwittato alcuni post di un account nordcoreano. Poco importa che la sua intenzione fosse quella di prendere in giro la propaganda nordcoreana; per le autorità sudcoreane il suo fu un elogio di Pyongyang.
Ombre economiche e sociali
Sia chiaro: la Corea del Sud non è un Paese nel quale il dibattito pubblico è silenziato e le persone vengono arrestate a caso. È però, per i canoni che siamo abituati a misurare in Europa, una democrazia molto sui generis, in primis per il richiamato fatto di trovarsi in una sorta di guerra permanente (e congelata) contro i missili di Kim Jong Un. In ogni caso, le ombre che gravitano sul miracolo coreano sono anche di natura economica e sociale, oltre che politiche. Già, perché la vita quotidiana, per molti sudcoreani, è molto più dura dell’immagine patinata proiettata dalla cultura popolare in film e serie tv. Le Monde Diplomatique ha richiamato uno studio del 2021, per il quale un abitante su tre di Seoul non faceva sesso da più di un anno. Il motivo? Può essere utile guardare altri dati. In media, infatti, i coreani lavorano 1.910 ore all'anno, uno dei tassi più alti dell'Ocse, dove la media è di 1.716. Esiste persino una parola per indicare la morte per superlavoro: gwarosa. Un superlavoro al quale sembrerebbe strizzare l'occhio l'attuale presidente conservatore Yoon Seok-yeol, che vuole estendere la settimana lavorativa a 69 ore, dalle attuali 52. Peccato che la maggior parte delle aziende del Paese offra ai dipendenti, il più delle volte, un pacchetto fisso di straordinari, indipendentemente dal numero di ore extra da loro impiegate. Detto altrimenti, un aumento dell’orario di lavoro non si traduce in un aumento significativo dei salari. I sudcoreani potrebbero quindi protestare, organizzarsi e scendere in piazza? Certamente, ma rispettando alcune regole. In occasione di manifestazioni ed eventi del genere, la polizia è solita misurare i decibel prodotti dalle dimostrazioni, che non devono superare i 95dB (un volume equivalente a quello di un asciugacapelli). Infrangere questo limite può costare fino a sei mesi di galera. Anche gli scioperi possono costare carissimi, soprattutto se dovesse emergere l'accusa di “ostacolare gli affari”, punibile con la reclusione. Attenzione: in Corea del Sud è comunque possibile scioperare solo contro il proprio datore di lavoro (gli accordi di subappalto sono un vero e proprio scudo protettivo per le grandi aziende). Per quanto riguarda la pensione, da queste parti l'età pensionabile ufficiale coincide con i 60 anni (anche se la pensione statale viene pagata a partire dai 65). Come se non bastasse, una pensione completa ammonta a circa il 30% dell’ultimo stipendio. Significa che molti pensionati sono costretti a lavorare oltre l’età pensionabile legale in lavori precari e malpagati, onde evitare la povertà. Non è un caso che gli over 65 costituiscano la metà dei poveri del Paese, e che la Corea del Sud abbia un tasso enorme di suicidi tra gli ultraottantenni, pari a 61,3 su 100.000. Ogni miracolo ha le sue zone d'ombra.