Un tweet di cattivo gusto, l’irritazione, gli attacchi, le denunce e qualche sparuta difesa. È questa la sintesi della vicenda che riguarda Tommaso Montesano, giornalista di Libero, finito al centro di una lunga serie di polemiche a causa di un cinguettio di troppo. Il figlio del noto comico free-vax Enrico (sul no-vax si irritano) ha infatti scritto che “Le bare di Bergamo stanno al Covid come il lago della Duchessa sta al sequestro Moro”.
Un paragone storico interpretato come di stampo negazionista, in quanto il lago della Duchessa nel Lazio fu un depistaggio messo in atto dalle Brigate Rosse durante il sequestro del politico Dc.
A poco è servito cancellare il tweet e chiedere scusa su Facebook gridando all’equivoco (“era un semplice parallelismo, espresso in modo icastico ed evidentemente infelice, tra la forza simbolica dei camion di Bergamo, che hanno avuto il merito di aprire gli occhi anche ai più scettici che negavano la gravità della pandemia, e le immagini della ricerca del corpo dell’onorevole Moro nel lago della Duchessa che convinsero l’opinione pubblica ad accettare l’ineluttabilità del destino di Moro”) e scrivendo: “Non ho mai inteso offendere il ricordo delle vittime né i parenti che ancora oggi ne piangono la scomparsa. Se ciò è avvenuto, me ne scuso. Così come mi scuso con i miei colleghi, con il direttore e con l’azienda”.
Libero, infatti, è sceso subito in campo con il direttore Alessandro Sallusti che tramite una nota ha fatto sapere di aver chiesto all’azienda se ci fossero gli estremi per arrivare al licenziamento. D’altra parte nell’ultimo periodo di pandemia il quotidiano ha sempre seguito una linea spiccatamente filovaccinista.
Si è espresso anche il direttore editoriale Vittorio Feltri, che in video ha detto: “Montesano, che è un bravo giornalista e a me personalmente è anche simpatico, dicendo queste cose danneggia moltissimo la linea del giornale che è sempre stata favorevole ai vaccini. È nostro dover correggere il tiro, perché il pensiero di Montesano non fa parte certo della linea di Libero. Tenete conto che in ogni famiglia, anche nella nostra, c’è sempre uno che fa il pirla.
Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha annunciato querela nei confronti del figlio del Pomata, i legali delle vittime della città lombarda lo hanno denunciato, mentre tra i pochi difensori si segnala il sito del vicedirettore del Giornale Nicola Porro (“riteniamo che chiunque abbia il diritto di esprimere la propria opinione. Sempre. Per quanto orrenda essa possa apparire. E anzi la libertà di opinione è tanto più preziosa quanto più assurda, urticante, anti-convenzionale e financo offensiva per il sentire comune essa possa apparire”). Da parte sua Giuseppe Cruciani ha aperto La Zanzara di oggi su Radio 24 sottolineando che “infangare la memoria dei morti è ridicolo e vergognoso, però adesso è il momento di liberare i vivi. Siamo l’unico Paese che non libera i vivi, perché anche i no vax sono vivi”. Abbiamo provato a capire qualcosa di più dal punto di vista delle regole intervistando Maria Annunziata Zegarelli, vicepresidente del Consiglio di disciplina nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
Zegarelli, in casi come questo si può anche arrivare al licenziamento? Quali sono i comportamenti che un giornalista dovrebbe tenere?
Partiamo dal fatto che il Consiglio di disciplina non si occupa, nel merito, di questioni di natura sindacale. Noi ci occupiamo di verificare l’osservanza da parte del trattato unico dei doveri del giornalista. Ciò che però possiamo dire è che tutto quello che facciamo sui social, in quanto giornalisti, non può essere svincolato dalle norme a cui ci si deve attenere fuori dal web. Il principio che si sta affermando sia in dottrina sia in giurisprudenza è questo: ciò che accade nel web non può essere svincolato dal mondo reale. Aggiungo che come giornalisti abbiamo una responsabilità in più: quando comunichiamo sui social dobbiamo sapere le conseguenze che le nostre dichiarazioni hanno. Siamo giornalisti non soltanto quando siamo “in servizio”, lo siamo sempre. Come ho già detto non spetta a me pronunciarmi sul licenziamento di questo collega che ha fatto dichiarazioni pesanti sui morti di Bergamo, ma di sicuro mettere in dubbio la veridicità di quelle scene dolorose a cui tutti abbiamo assistito, le bare trasportate altrove perché non c’era più posto al cimitero cittadino, vuol dire fare cattiva informazione. Siamo tenuti alla correttezza dell’informazione, all’obiettività e alla continenza quando ci esprimiamo.
Nella pandemia si sono visti numerosi di casi di fake news diffusi in rete da siti più o meno affidabili. Il giornalista cosa deve fare in questi casi?
Dobbiamo avere come faro l’articolo 21 della Costituzione Italiana e l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: la libertà di espressione. Un diritto su cui si fondano gli Stati democratici ma che non implica che possiamo dire qualunque cosa, ovvero dare una informazione falsa e non verificata. Specie quando si parla di materie che trattano la salute pubblica. Si sta facendo un gran lavoro contro le fake news. Chi fa informazione ha un dovere in più: quello di pubblicare notizie vere e verificate raccontando i fatti. I gestori delle grandi piattaforme utilizzano algoritmi per cercare fake news e hate speech, ma c’è sempre bisogno di un intervento umano perché i linguaggi sono sempre più veloci. Chi vuole fare informazione deve andare oltre, siamo noi giornalisti a dover controllare, la formazione continua obbligatoria nasce da qui. Dobbiamo essere noi le prime sentinelle, prima ancora dell’algoritmo e del controllo dei gestori delle grandi piattaforme.