Marco Mancini è un ex dirigente dei servizi segreti italiani, famoso per il suo ruolo nel Sismi e poi nell’Aise. Nato nel 1961, ha partecipato a diverse operazioni finite in apertura su tutti i telegiornali. È stato lui a riportare a casa dall'Iraq la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, nel 2005. È stato coinvolto nel caso Abu Omar, rapito a Milano dalla Cia con l’appoggio di agenti italiani: per questo motivo è stato anche arrestato e poi assolto. Nel 2021 fece discutere il suo incontro in autogrill con Matteo Renzi, tirato fuori da Report e finito in mezzo a polemiche di ogni genere, con tanto di segreto di Stato. Uno 007 di quelli pesanti, che ha raccontato la sua carriera al podcast Gintoneria di Antonio Giorgino. Come recluta un agente segreto le sue fonti? Semplice, tra le badanti ucraine. Come spiega Mancini: “In Italia nel 2022 era stato constatato che ci fossero 150mila badanti ucraine. Per sapere cosa stava succedendo a Kiev o nel Donbass occorreva avvicinare una badante per dirle: senta, lei quanto guadagna al mese? 1200 euro di cui 1000 in nero? Bene, lei ha un fratello, un parente, un cognato, uno zio militare che lavora a Kiev o nel Donbass? Se lei guarda le risposte di queste badanti, si accorge che molti dei loro parenti sono reclute ucraine o filorusse. Quindi gli si dice: senta, io vorrei andare nel Donbass, mi farebbe conoscere suo figlio?”. Fin troppo facile, a dirla così.
Mancini era saltato su tutte le pagine a causa di un incontro all'Autogrill di Fiano Romano con Matteo Renzi, nel 2020, filmato da una professoressa, buttato fuori da Report e coperto da segreto di Stato. Cosa si erano detti? Lo spiega lo 007: “Quell’incontro non doveva avvenire lì, dovevamo vederci al Senato. Io il 23 dicembre di solito faccio gli auguri di Natale, avevo già pensato che non ci potessimo vedere, bastava un saluto telefonico. Il mio caposcorta invece mi dice: direttore, deve andare a Fiano Romano. Era il periodo del Covid, quindi metto la mascherina e vado. Non c'era nessuno, aspetto un'ora, mi infastidisco. Fosse stato mio fratello, ma invece era Matteo Renzi. Gli ho mandato un messaggio e mi ha risposto che stava arrivando. Così dico al mio caposcorta: non è che abbiamo sbagliato posto? Lui mi risponde di no, poi Renzi arriva, chiede scusa, parliamo per 13 minuti. Questo, a dicembre. Poi, a maggio, apprendo dalla televisione che ci sarà questa trasmissione (Report, ndr), tutti i giornali parlano di questo incontro e infine mi contestano questa sovraesposizione mediatica. Da quel momento mi hanno mandato a casa. Sono stato fatto fuori”.

Ma perché è stato messo il segreto di Stato su quell'incontro in Autogrill? “Questo non lo so, qualcuno dovrà rendere conto di alcune domande importanti, e la dottoressa Belloni che ha apposto il segreto dovrà essere richiamata. Qualcuno dovrà rispondere a delle domande. In quel contesto ho notato che c'era una persona col viso mezzo mascherato, una persona che ha fatto parte del Sismi. È tutto legittimo, ed è lui che ha chiamato i giornalisti di quella trasmissione”. Una carriera interrotta quasi per caso, dunque, e iniziata in maniera altrettanto destinale. “Da giovane volevo congedarmi ma Don Isidoro, il mio prof di religione, mi disse che aveva un amico da presentarmi”. L'amico era il capo dei servizi segreti, incontrato dopo una corsa quasi miracolosa in Vaticano, che arruola Mancini dopo un colloquio lungo due ore. Il momento più difficile in carriera? Quando, in seguito alla morte di Nicola Calipari in Iraq, viene chiamato da Berlusconi per riportare a casa Giuliana Sgrena: “Al ritorno, però, vengo fotografato mentre scendo dalla scaletta dell'aereo, e la mia identità viene rivelata dopo quasi due mesi da un settimanale: sapete chi era l'uomo che ha riportato a casa la Sgrena? Marco Mancini, responsabile controspionaggio italiano. Io dico, ma c'era bisogno di mettere nome e cognome? Che valore aggiungi alla notizia? Così metti solo a repentaglio la sicurezza familiare”.

