Cosa fanno le iene? Si cibano della carcassa di animali morti. E cosa fanno Le Iene, quelle di Italia 1? Si avventano su ciò che non è loro proprio, il giornalismo, e lo trasformano in grandguignol, burletta, cazzeggio, circo. Ignorandone perfino le regole più elementari come la corretta citazione delle fonti. Per esempio, nella puntata del 15 novembre, un servizio dedicato alle “regioni più piccanti d’Italia” (classifica stilata dalla pornostar Malena, nota opinionista del settore) ha tratto spunto da un articolo che è stato mostrato sotto la testata di Dagospia, quando invece il pezzo originale, in cui si ricostruiva la vicenda riguardo il libro della suddetta, era stato pubblicato su MOW, a firma di Niccolò Fantini. Inezie? Mica tanto. Negli Stati Uniti il sito XBIZ, che annovera milioni di lettori, ha fatto il suo dovere, citando MOW com’era naturale che fosse. Il lavoro del giornalista sta tutto nell’autorialità, equivalente alla professionalità di chi appone la firma. Se la firma scompare, o viene scambiata per un’altra, il rispetto per quel lavoro viene meno. E con esso il rispetto per il giornalismo in quanto tale.
Ma, come si diceva, di questo mestiere nella trasmissione di Davide Parenti c’è traccia, a voler esser buoni, solo indirettamente. Perché se qualche buon colpo lo hanno messo a segno, in 26 anni di programmazione, è anche vero che i modi non sono mai stati caratterizzati da quella che dovrebbe essere informazione (e non infotainment, detto anche infottenimento), per la quale una volta esisteva la gavetta in redazione, e da tempo esistono anche scuole e master universitari. Dice: oh bella, ecco la solita tirata corporativa degli iscritti all’Ordine dei giornalisti che fanno gli snob. Ora, a parte il fatto che se un Ordine c’è, anacronistico o disutile che sia, bisognerà pur tener conto della sua funzione, e cioè la salvaguardia minima di deontologia e codici professionali, non è questione, qui, di tesserino o meno, o non solo di questo. C’è il fatto che, a partire dalle violazioni minimali e salendo di girone in girone a quelle più gravi, spettacoli come Le Iene fanno danni. E danni seri.
L’ultimo in ordine cronologico ha riguardato il caso dell’uomo di Forlimpopoli suicidatosi dopo essere stato letteralmente inseguito dal microfono molesto della “iena” Matteo Viviani (sulla vicenda abbiamo scritto qui e qui). Come sottolineava Daniele Luttazzi nella sua rubrica sul Fatto Quotidiano (16/11), la difesa di Davide Parenti su Primaonline rende in maniera impietosa, confermandolo, il livello editoriale dello show. “Non hanno alcun diritto”, scrive Luttazzi, “di manipolare le notizie e di sottoporre persone a gogna mediatica: sono socialmente pericolosi e devono smetterla”. Nel caso del suicida, il bilanciamento tra informare su fatti rilevanti e il diritto alla privacy di chi, di dei fatti, è responsabile o presunto tale, non significa sostituirsi ai giudici e ai carabinieri. Chiedere scusa? Sia mai. Del resto, arrivati a questo punto dovrebbero ammettere che l’intero “metodo Iene”, a cominciare dalla barbarie dei pedinamenti con frasi, o mezze frasi, estorte per strada, risponda alla “morale del punto in più di share” (cit. Aldo Grasso, che qualcosa di tv e giornalismo ci capisce). Far la morale è sempre un brutto esercizio per coprire le proprie vergogne. Non ci interessa farla. Ci interessa che quella roba lì camuffata da informazione sia considerata per quel che è. E magari - Luttazzi lo dice bene, pressocchè unico - che la piantino. Punto e basta.