A nessuno frega un cazzo. Questo è il dato fattuale. Da una settimana circa di parla di Daniele, il ventiquattrenne di Forlimpopoli morto suicida per la vergogna dopo aver realizzato di essere stato vittima, per un anno intero, di una truffa sentimentale. Truffa sentimentale agita da un uomo di 64 anni che abitava in un paese vicino e che, per tutto quel tempo, lo aveva circuito via social facendogli credere di essere una bellissima coetanea di nome Irene. Daniele, pur non avendola mai vista, era arrivato a considerarla la sua fidanzata. La storia è stata raccontata da Le Iene e, secondo alcuni, proprio questo servizio avrebbe portato l'aguzzino del giovane a togliersi, a sua volta, la vita tramite overdose di farmaci. La realtà è, come sempre, che nel giro di pochi giorni nessuno parlerà più di questa (doppia) tragedia. Per quanto, al momento, tutti, dalla tv al web, si stiano sperticando per ragionare, trovare una motivazione, delle responsabilità effettive che possano dare una motivazione all'inspiegabile. Purtroppo, l'inspiegabile per definizione non si spiega. Allora, forse, sarebbe il caso di prendere la drammatica vicenda di Daniele e Roberto come spunto per poter parlare ai vivi, a quelli che restano. E ai vivi, a quelli che restano, per prima cosa, urge oggi più di ieri far sapere una brutale ma allo stesso tempo liberatoria realtà: a nessuno frega un cazzo.
Ci sono così tante cose da dire riguardo alla disperazione che emerge dai fatti di Forlimpopoli e tantissime, forse perfino troppe, ne sono state dette. È partita la tradizionale gara a chi è più empatico, più acuto, a chi ha capito che cosa sia successo veramente e ce lo vuole dire tramite post, articoli, reel acchiappa-like. Il solito teatrino mesto ed egoriferito, soprattutto davanti a una tragedia che non ha spiegazioni. Come mai la storia di Daniele ci ha colpiti così tanto? Perché grida vendetta il fatto che i genitori del ragazzo, appellandosi alla giustizia italiana, abbiano visto l'aguzzino del giovane venir sanzionato con una semplice multa da 800 euro e spicci per il solo reato di sostituzione d'identità. Esiste anche un dato oggettivo forse troppo schietto ma reale: lui, Daniele era un bel ragazzo. Lo sappiamo dalle foto che Le Iene ci hanno mostrato nel famigerato servizio. E viene naturale chiedersi: com'è possibile che uno "così" sia finito a trovarsi una ragazza virtuale neanche fosse l'ultimo dei nati con un design sfortunatissimo?
Daniele si è impiccato nel settembre del 2021 in seguito a un anno di fitta corrispondenza, più di 8000 messaggi, con Irene-Roberto. Cosa c'è stato prima del 2021? Il 2020: la pandemia, i lockdown, le zone rosse. Con quante persone ci siamo, tutti, ritrovati a parlare sui social, magari rivelando anche fatti privatissimi, semplicemente per non scapocciare imprigionati come eravamo dentro le nostre solite quattro mura? Daniele è incappato in Irene in tempi di guerra, non di pace. Sotto circostanze che avrebbero (e hanno) spinto prossoché chiunque a fidarsi di illustri sconosciuti online. Non è l'unico, è uno dei tantissimi. E chi lo nega, sa di mentire. Qui, però, siamo ancora alla pura speculazione, ai ragionamenti col senno di poi che riempiono le pagine dei giornali con dibattiti e riflessioni sulla questione della settimana. Senza che tutto quell'inchiostro sposti alcunché. Andiamo, dunque, a parlare coi vivi. Che, per chi non c'è più, nulla può essere fatto. Figuriamoci, scritto.
Daniele è morto suicida di vergogna a 24 anni. A un anno di distanza Roberto è morto suicida di vergogna (o senso di colpa, o chissà cos'altro) a 64. È andata così. Cosa possiamo fare, oggi? Ben lungi dalla trita retorica dell'invito a praticare gentilezza ed empatia col prossimo, nessuno è davvero tenuto a farlo, mica siamo nati samaritani, qui si scrive per i Daniele e i Roberto eventualmente all'ascolto: non si muore di vergogna. Perché, davvero, a nessuno frega un cazzo.
Cominciare a entrare nell'ordine di idee che a nessuno freghi un cazzo può essere terrificante: dei casini, delle paure, delle sciagure più imbarazzanti che attanagliano l'animo di tutti, non importa a nessuno. Semplicemente perché chiunque di noi ha le proprie a cui badare. Bastano e avanzano, lo sappiamo bene. Si può prestare ascolto, certo, ma non farsene carico davvero. E anche i consigli, le frasi fatte, qualunque cosa possa uscire dalla bocca di un amico, un conoscente, perfino un genitore, non sarà la soluzione al problema. Perché la soluzione al problema prima di tutto c'è, esiste. Ed è un fatto privato.
Prendere le distanze è complesso ma bisogna arrivare a una scelta: non sei la cosa peggiore che hai fatto, il casino più grosso che hai combinato, quella figura di merda per cui ti ridono tutti dietro. Le persone al paesello avrebbero preso in giro Daniele per essere caduto nella trappola online di un 65enne che lui pensava essere una supergnocca? Sì, di sicuro. Ma questo sarebbe bastato a definire Daniele come persona? Un giorno, magari, se se ne fosse dato la possibilità, avrebbe trovato una fidanzata reale, una che avrebbe fatto dire a "tutti": "Eh, hai visto? Menomale che era scemo". Oppure no. In ogni caso, non si può morire di ansia sociale.
Ansia sociale imposta da chi, poi, da che cosa? Da persone che ci vivono intorno che noi stessi non conosciamo, che avranno pure loro le proprie gatte da pelare, di cui in ogni caso si chiacchiera in piazza o via whatsapp. C'è il cornuto, l'estroversa, quello che non si lava, la cessa. Non è edificante che sia così, ma così è. E allora possiamo arrenderci alle definizioni affibbiate da terzi, soccombere alle chiacchiere di chi ha buon tempo, oppure, con molta fatica, guardarci allo specchio e realizzare che no: non sono il cornuto, non sono l'estroversa, non sono quello che non si lava, non sono la cessa. Non sono il ragazzo che per un anno ha creduto di avere una fidanzata pur non avendola mai vista. Lo sono stato, certo, ma sai quante altre cose posso essere? Non si può accettare, anche solo per una questione di dignità personale, di lasciare che le parole al vento degli altri definiscano perentoriamente chi siamo. È, nei fatti, uno spreco enorme.
Se Daniele, e pure Roberto, oramai non ci possono più ascoltare, ci rivolgiamo ai vivi: tutti siamo strambi, non sempre orgogliosi di noi stessi, alcune cose ce le potevamo sicuramente evitare. Altre, pure. Ma non per questo è legittimo, sensato o perfino utile morire di vergogna. Perché chi siamo non l'abbiamo dimsotrato ieri, lo dimostriamo oggi, in ogni momento. A noi stessi, davanti allo specchio. E bisogna anche, dopotutto, accettare di sapersi perdonare. Non si può, invece, morire di vergogna perché, davvero, a nessuno frega un cazzo. Finché respiriamo siamo liberi di riscrivere tutto da capo, di costruire una storia completamente diversa, in cui stare comodi, scocciature a parte. Dopo, no. E a nessuno, gara a chi la spara più grossa sulla nostra pellaccia a parte, continuerà a fregare un cazzo. A sto punto, respira. Magari non andrà tutto bene. Ma meglio sì.