Le Iene sono tornate a parlare dell’omicidio di Yara Gambirasio, chiedendosi se ci fossero davvero elementi sufficienti per la condanna di Massimo Bossetti. La difesa dell’uomo, ex muratore di Mapello condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio della tredicenne, davanti alle telecamere della trasmissione di Italia Uno ha ribadito quali sono gli aspetti che continuano a non tornare nella pena a carico del suo assistito. Una serie di elementi che, legati alle anomalie sul Dna e alla mancata concessione di un esame sullo stesso, secondo la squadra difensiva costituirebbero veri e propri buchi in cui va ad insinuarsi la necessità di una revisione del processo, che potenzialmente potrebbe ribaltare la sentenza. A parlare, intervistata dalla iena Antonino Monteleone, Dalila Ranalletta medico legale consulente di Massimo Bossetti, che si è focalizzata sui dubbi riguardanti il ritrovamento del corpo della giovane. Secondo la difesa, il cadavere di Yara, scoperto in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011, a tre mesi esatti dalla scomparsa, sarebbe stato portato sulla scena del ritrovamento in un secondo momento: “Devi leggere bene tutto ciò che hai, non puoi chiudere tutto perché finalmente hai il risultato del Dna. Non si può fare così. Il Dna è una prova fantastica, ma deve andare d’accordo con tutto il resto“. La traccia biologica che, in base a quanto stabilito dalla Procura, avrebbe incastrato definitivamente Massimo Bossetti, collegandolo al profilo di “Ignoto 1” ritenuto essere l’assassino di Yara Gambirasio, fu isolata sugli indumenti della vittima ed è considerata la “prova regina” dell’impianto accusatorio. Un Dna su cui la difesa nel corso del processo avrebbe evidenziato 261 anomalie insolute, e che è rimasto come oggetto di aspra contesa con l’accusa durante tutto l’arco processuale.
In tutti questi anni ai legali, e ai consulenti tecnici di Massimo Bossetti, non è mai stata consentita la visione e l’analisi di quei reperti. Questione che, secondo l’avvocato Claudio Salvagni, costituisce una gravissima violazione del diritto alla difesa del suo assistito. Episodio che, a detta dello stesso legale, non avrebbe precedenti ma che ne va a formare uno particolarmente pericoloso per ogni cittadino. Secondo i difensori di Bossetti, su quel Dna che gli inquirenti hanno assunto come prova schiacciante per la colpevolezza dell’uomo, sarebbe stato imposto a tutti di fare un “atto di fede”, ovvero di credere ciecamente ai risultati ottenuti dalla Procura, senza potervi accedere per condurre analisi in contraddittorio. La Salvagni sottolinea da anni che “il Dna mitocondriale non appartiene a Bossetti”. Un altro punto che per la difesa genera dei dubbi riguarda il luogo del ritrovamento di Yara. Veramente il suo corpo giaceva in quel campo da 3 mesi, senza che nessuna delle persone intervenute su quelle aree nelle ricerche per settimane lo notasse? Tuttavia, secondo i giudici, il cadavere è sempre stato lì. I consulenti di Bossetti sostengono l’opposto: “Quel corpo è stato portato lì dopo un bel po’”. Non pochi testimoni, anche tra chi operò nelle ricerche, hanno raccontato di non aver mai individuato i resti della tredicenne, nemmeno durante le attività condotte con l'elicottero, stessa cosa con i cani molecolari, che hanno sempre puntato altrove, soprattutto verso un cantiere di Mapello. Secondo Salvagni se il corpo di Yara Gambirasio fosse stato realmente tenuto altrove prima che venisse ritrovato cambierebbe tutto, perché Massimo Bossetti non avrebbe avuto posti in cui eventualmente nasconderlo. E, secondo il medico legale Ranalletta, le diverse condizioni in alcune aree del cadavere andrebbero a dimostrare che non è stato nello stesso luogo per così tanto tempo. In particolare, il fenomeno della corificazione, un processo simile alla mummificazione, interesserebbe soltanto un braccio, caratteristica anomala che porterebbe a una ricostruzione diversa da quella fatta dalla Procura.