“Quando si tradisce il maschio è passionale, la donna è zoccol*”. Potrebbe essere questo il manifesto della comicità di Checco Zalone, che nel suo nuovo spettacolo “Amore+Iva” (ieri sera nella trasposizione televisiva su Canale 5) così come in tutta la sua carriera, mette lo spettatore davanti allo specchio della realtà. Il dettaglio clamoroso è che non fa ridere più di altri, eppure piace di più, attira di più. Questo perché è l'unico che ha applicato quella vecchia regola della commedia italiana: dare l’idea a tutti che si stia ridendo dell’altro. Qualcosa che è anche alla base del cinema di Alberto Sordi, che usava i suoi personaggi per parlare malissimo del pubblico. È successo così che di colpo Luca Medici è stato l’unico a lavorare (e bene) sulla presa in giro, dura, durissima della gente.
Ci sono i potenti, ovviamente, come il feroce Putin che spiega a modo suo il motivo della guerra in Ucraina, le dimensioni ridotte del pene: “Le guerre sono nate per dimostrare chi c'è l'ha più grosso”. E ci sono i famosi: un’ora prima, in uno dei pezzi migliori dello spettacolo, ha fatto Riccardo Muti: “detesto i superlativi, chiamatemi genio: va benissimo”; il zaloniano direttore d’orchestra che si trova un po’ spaesato in un’atmosfera teatrale così pop, lui che è abituato a vedere donne in visone. Altro pezzo forte, il Vasco Rossi salutista, “ex drugs and rock’n’ roll”. In vestaglia, quasi dimesso, perché ormai ha altri valori, tipo quello dell’emoglobina a cui badare: “ti ricordi che belle canzoni scrivevi quando ti drogavi?”. Ma stringi stringi i veri ridicoli siamo sempre noi: i provinciali, i razzisti, quelli con la mentalità più ristretta.
Del resto il politicamente scorretto funziona quando strappa, oltre che qualche risata, anche qualche velo. Quando viene utilizzato per rompere uno schema e dare una sbirciatina a quello che c’è fuori dal pianerottolo, e magari scoprire che là fuori ci sei anche tu. “Bisognerà spiegare questo titolo, perché spesso ci sono dentisti in sala. Allora, cos’è l’Iva, cari dentisti. Imparate questa parola: fattura”. Parla di te. Immagina poi l'orfano fascista “sono un bambino, sono cristiano, voglio una famiglia tradizionale!”, e chiede a una famiglia “a posto, quella in cui il marito lavora e la sera va a zocc*le, mentre la moglie sta a casa”. Solo alla fine si convince a incontrare una coppia gay in crisi, perché a uno piace vivere nella villa di Los Angeles e l’altro preferisce Saint-Moritz; uno sceglie l’aereo, l’altro lo yacht. “Vero Dolce?”, “sì Gabbana”. Quando gli promettono l’ultimo modello di cellulare, il bambino non ha più dubbi: meglio ricco e arcobaleno che povero e tradizionale.
Cambia il contesto ma fa riflettere ancora nello sketch in cui c’è Gilda di Bari che vuole adottare una donna ucraina, peccato che siano andate a ruba e sono rimaste solo le siriane. Finalmente ne salta fuori una che fa al caso suo: “Ma non si può chiamare Maria, in Italia Maria non fa profugo, fa Amici, C'è posta per te...”. Finché non viene il momento di sbarazzarsene, perché anche la solidarietà ha una data di scadenza. Pensiamo agli snob scandalizzati al pensiero che gli italiani abbiano fatto la fila per vedere questo spettacolo su e giù per l'Italia (un anno di sold out) e poi di nuovo in televisione (e ha vinto anche la serata), o quei moralisti - intellettuali che si indignano per i temi trattati: dal razzismo all'immigrazione, passando per il sessismo e la transfobia: Zalone prende per il cu*o tutti loro. E a noi dà l’occasione di vederci forse smascherati: ci dice che siamo proprio quelli lì, debolezze incluse, e che forse possiamo provare a fare un po’ meno schifo di così.