Che delusione, Vittorio Sgarbi. Se c’era una cosa, una sola, che di tanto in tanto ci faceva dimenticare - ma sia chiaro: giusto per qualche frazione di secondo - la sua insopportabile incontinenza verbale, il suo respingente esibizionismo, e certe sue ossessioni private (dai giudici di Mani Pulite fino alla prostata che oggidì lo tormenta e lo affligge), era la sua bad attitude da vitaiolo tardo-rinascimentale. Uno stile di vita, il suo, da viveur immerso nel culto del Bello, donnaiolo impenitente e di vedute larghe, larghissime, liberali nel senso più puro del termine. Ma la vita, che è continuo paradosso, può fare della virtù un difetto, della grandezza una bassezza, di un motivo d’orgoglio la causa della rovina. E anche di penose figuracce. Perché è proprio la cupidigia da collezionista di esperienze (e di opere d’arte) che l’ha esposto allo scandalo di questi giorni. Per fare la bella vita, come si sa, ci vogliono i soldi. Tanti soldi. Quanti più possibile.
Solo che non siamo nella Firenze di Lorenzo il Magnifico. Se sei sottosegretario nell’anno 2023, vale anche per te la legge del 2004 che vieta a chi ricopre incarichi pubblici di ricevere “per tutta la durata del governo alcuna forma di retribuzione o vantaggio” e di “esercitare attività professionali in materie connesse con la carica di governo”, mentre invece tu ci hai dato dentro, mettendo a frutto la tua incontestabile competenza, con servizi a pagamento in qualità di critico d’arte e di divulgatore in effetti senza eguali. E anche non fossi esponente dell’esecutivo di Giorgia Meloni e vice del ministro alla cultura Gennaro Sangiuliano (che ha mandato le carte all’antitrust, marcando vigorosamente le distanze), resti comunque un cittadino tenuto a pagare, come gli altri, le tasse. Pertanto, seppur innocente fino a sentenza definitiva, dovrai anche dimostrare agli inquirenti un’altra faccenduola a latere, ovvero di essere a posto con il fisco, verso cui avresti un carico pendente da 715 mila euro, incluso il mistero dell’asta sul dipinto “Il giardino delle Fate” (acquistato dalla compagna Sabrina Colle, sostiene la Procura di Roma, o ricevuto in dono, dice invece Sgarbi). L’ingordigia fa brutti scherzi. Alla casta di satrapi che vivono di politica non faceva né caldo né freddo che l’auto-munifico Sgarbi avesse la tendenza a concentrare nella sua persona cariche su cariche come figurine panini: sottosegretario al ministero e sindaco di Arpino, assessore a Viterbo e prosindaco a Urbino, commissario per le Arti di Codogno, presidente della Fondazione Ferrara arte, del Mart di Trento, del Mag di Riva del Garda e della Gypsotheca del Canova. E possiamo solo immaginare con che contentezza si sia separato dalla poltrona di consigliere regionale in Lombardia, per manifesta e inoppugnabile incompatibilità. Strabordare è la sua way of life, in barba all’umana capacità di assolvere un compito dedicandogli il tempo che occorrerebbe. Ma il Vittorio nazionale non è umano, è sovrumano. Deve ritenersi come minimo un superuomo, dotato del divino potere dell’ubiquità. Un artista di quello sport estremo che è il presenzialismo, con quel tocco magico che solo le star della tv e del web possiedono: dove compare lui, spunta un ruolo, un incarico, un’elezione in qualche Comune avvinto dal suo indubbio fascino di personaggio sopra le righe - e con annessa fattura. Egli è l’Unico: “Sono Sgarbi e lo faccio da più di 40 anni. E non sono sottosegretario perché mi ha indicato un partito, nessun partito mi ha indicato, sono sottosegretario perché sono Sgarbi”, ha proclamato a La Zanzara. Di più: “Sono entrato in quota di me stesso. Non sono mai stato di destra, sono un anarchico. E in questo governo sono un plus”. E pazienza se gli è stata tolta la presidenza di giuria a Miss Italia: la Gloria si eleva al di sopra della carne, anche se è carne di femmina. Per non parlare della vanagloria.
Ma allora, o mirabile, o magnificente, o anarchico araldo dell’italica arte, o tu, immenso Vittorio creator di te stesso, per quale ragione ti riduci alla difesa micragnosa del posto, tirando fuori dal cappello che un tuo ex collaboratore ti avrebbe fatto lo sgambetto con i magistrati? Com’è che un signore di sensibilità così raffinata reagisce appellandoti niente di meno che alla polizia postale? Dove sta quel tratto di sovrana superiorità che un neo-dannunziano par tuo dovrebbe sfoderare, dando una lezione di morale ai presunti moralisti (che in questo caso non sono moralisti, esigono soltanto il rispetto di quella seccatura che è la legge, per uno che dovrebbe rappresentare lo Stato di cui quella legge è l'emanazione)? Suvvia, un sussulto di magnanimità blasé spiazzerebbe chi si è fatto l’idea, non molto nobilitante, di essere tu in realtà troppo attaccato non solo al denaro - e passi - ma anche a un miserevole sottosegretariato qualsiasi. Sotto-segretariato, per dio: cioè, sotto a un Sangiuliano… Insomma, a un certo punto l’accumulo può divorare l’accumulatore, abbassandolo all’infimo livello di chi si abbarbica, avido come un rigattiere. Le dimissioni sarebbero una sberla in faccia a tutti. E il resto, tutta joie de vivre. Liberati con splendida sprezzatura, o divo Sgarbi, del rigor mortis governativo, meloniano, sangiulianesco. Non trattare le istituzioni come casa tua. Ci ha raccontato una volta un grande giornalista, di cui non faremo il nome, che un giorno, ospite nella domus sgarbiana, una sorta di Vittoriale in do minore, si ritrovò a camminare tastando il pavimento per riuscire a posare il piede in mezzo a una tale massa di quadri, statue, libri antichi, moderni, rari e ogni sorta di oggetto da museo che gli uscì naturale chiedere al padrone di casa: “Scusa, Vittorio, ma esattamente, tu, dove caghi?”.