Che Fabio Fazio non fosse un cuor di leone, lo si sospettava da tempo. Che Maurizio Belpietro fosse astuto, così astuto da fare il giro e farsi sgamare ogni tanto per doppiopesismo reo confesso, anche. Cos’hanno in comune i due? L’odor di figuraccia. E aver svelato loro malgrado una verità amarissima per entrambi. I due soggetti li conosciamo. Nel salottino-bene del primo, il rischio è sempre calcolato, il pericolo non è il mestiere di nessuno, gli ospiti sono scelti per non disturbare, e il veleno della polemica è scientificamente sostituito dall’acquasantiera di quel furbo “fratacchione” (copyright Aldo Grasso) che ha preferito levar le tende dalla Rai per trasferirsi a Discovery, naturalmente ricoperto d’oro. Il giochino di fratel Fazio è sempre stato uno, semplicissimo: creare nel suo studio l’universo in provetta di un mondo fatato, a immagine e somiglianza del ceto medio presuntuosamente semicolto, definibile, più o meno, come sinistra liberal. Un microcosmo liscio e privo di contraddizioni, ricolmo d’indignazione per l’immoralità di un’Italia che, non si sa bene perché, continua imperterrita a non votare in massa per il Partito Democratico. Il secondo, invece, è forse, a destra, il miglior giornalista sulla piazza: documentato, puntuale, ficcante. Antipatico, ma meglio gli antipatici veri ai simpatici finti. Il quotidiano che dirige, La Verità, è fra i pochissimi giornali di carta con il vento in poppa, tanto da aver rilevato già da tempo anche lo storico settimanale Panorama. La sua linea, semplificando un po’, è critica senza essere anti-governativa, spregiudicata ma con l’assenso e il consenso di un certo clericalismo antibergogliano (alla monsignor Viganò, per capirci), e in groppa a tutte le battaglie di nicchia più esacerbate e radicali, area novax e dintorni. Binari sicuri per entrambi, ascolti e lettori garantiti, e vai col business.
Ma il destino si sa com’è: è baro. Prima ancora di cominciare, il nuovo Che Tempo che fa di fra’ Fazio sulla Nove non ti va a inciampare su Patrick Zaki? Proprio lui, l’egiziano già studente dell’ateneo di Bologna liberato dopo anni di detenzione nel suo Paese. Un idolo del target fazista (e, per quanto ci riguarda, degno da sempre di rispetto, anche solo per esser marcito nelle galere di quel riveritissimo despota di Al-Sisi, amico di Israele, per chi non lo sapesse). Doveva essere lui la star della prima puntata questa domenica, con il suo libro “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia”. E invece l’improvvido, che ai martiri nostrani qualcosina sulla libertà di espressione può insegnarla, ha pensato bene di chiamare il premier israeliano “serial killer” e, non pago, aver ribadito la versione perfino al Tg1 delle 20, sostenendo che i massacri in corso a Gaza sono una “conseguenza delle politiche del governo di Israele”. Ce la immaginiamo, la chierica del povero Fazio ricoprirsi di capelli ritti dal terrore: ma come – avrà pensato sudando freddo - io volevo un racconto a lieto fine, che è la mia specialità, e questo va a pestare il tabù dei tabù, l’incriticabile Stato ebraico sola e unica vittima per antonomasia di una guerra che dura da ottant’anni? Un qualunque autore televisivo, anzi, no, una qualunque persona non piegata ai diktat del politicamente corretto lo avrebbe a maggior ragione confermato: è proprio perché la sua tesi ha fatto notizia, che andava ascoltato. Ma le notizie sono il demonio incarnato, per un officiante al rito del quieto vivere: “Ho chiesto la cortesia a Elisabetta Sgarbi [fondatrice di La Nave di Teseo, la casa editrice, ndr] di spostare di una o due settimane la presentazione del libro di Zaki”, ha sibilato il monachello, imitato dai valorosi paladini del libero pensiero del Salone del Libro di Torino.
Belpietro, invece, ha dovuto slogarsi la mascella quadrata a furia di bacchettare i suoi lettori che lo hanno accusato, parole sue, di essersi “arruolato nel partito sionista che ci spinge verso la terza guerra mondiale”. Lo ha fatto in un editoriale da conservare, intitolato “Difendere Israele dallo Stato islamico non è pensiero unico” (La Verità, 11 ottobre). Se un direttore si vede costretto a riprendere indispettito i suoi stessi aficionados, significa che la difficoltà è parecchia. In sostanza, facendo nomi e cognomi degli sventurati dissidenti così da tentar di circoscrivere la rivolta, Bibì (Bibò sarebbe Vittorio Feltri, copyright Massimo Fini) si è difeso recitando a macchinetta la Versione Unica Ammessa, secondo cui gli israeliani sono le sole e uniche vittime di “chi vuole instaurare una teocrazia”, cioè di Hamas, e che lui non starà mai “con i tagliagole e i mozzaorecchi” che “uccidono i bambini per il solo fatto che sono ebrei”. Non se ne parla neanche di “accettare l’islam in redazione” (?) e perciò, insomma, si ritiene offeso da chi ha osato associarlo “a quelli del Covid, della truffa verde, del movimento gay”. Lasciando stare il fatto che gli sgozzatori di Hamas hanno ucciso anche beduini arabi solo perché israeliani (e non perché ebrei), e sorvolando sul dettaglio che Israele è dal 2018 lo “Stato degli ebrei”, cioè un’etnocrazia, e non una democrazia, in cui cristiano-arabi e musulmani sono cittadini di serie B, possiamo dirlo? Povero Belpietro: si è coltivato giorno dopo giorno, anno dopo anno, un pubblico di sospettosi inveterati, volgarmente chiamati complottisti, e ora il boomerang gli torna dritto là dove più duole. Solidarietà. O anche no.
Ma qual è allora il comun denominatore della strana coppia Fazio-Belpietro? Prima risposta, facile: la doppia morale. Fazio è il quaresimalista di tutte le buone cause, e tuttavia, al dunque, appena c’è da parlare di sofferenze figlie di un dio minore, quali sono quelle palestinesi, se la dà a gambe. Con scuse, fra l’altro, grottesche. Belpietro, nello stesso giorno in cui picchiava sulle dita gli infedeli apostati, firmava un altro editoriale, in questo caso da direttore di Panorama, in cui esortava al “realismo necessario” per arrivare alla pace in Ucraina. Leggi: andiamo a patti con il nemico, il cattivissimo, malvagio, criminale Putin. Ma come, i malefici russi non si erano dati pure loro alla barbara ferocia contro gli inermi ucraini? Dove si posiziona il bilancino del Male? A quante stragi di innocenti?
Seconda risposta, più utile: l’ipocrisia politica. A sinistra come a destra, un potente fiume carsico di ostilità alla causa israeliana scorre nascosto dai proclami o autocensure ufficiali. A sinistra come a destra, vi confluiscono non soltanto un anti-americanismo e anti-sionismo storicamente trasversali e la nostalgia per la kefiah del laico Arafat, ma – spiace per la sinistra timorata e per la destra assatanata - anche la memoria di abusi, soprusi, patenti violazioni del diritto internazionale e umanitario, il menefreghismo sfacciato verso le risoluzioni Onu e i ripetuti allarmi di volontari di tutto il globo per le condizioni di quel lager a cielo aperto che è la striscia di Gaza e dei campi profughi in Cisgiordania. Senza dimenticare crimini contro l’umanità com’è oggi la presa per fame, senza acqua luce e gas, di due milioni di palestinesi, alluvionati da bombe che non fanno differenza fra terroristi e civili (così come non le fanno gli assassini sequestratori e i missili di Hamas, agli esordi foraggiato da Israele in funzione anti-Olp, e da sempre, e probabilmente per sempre, il miglior alleato degli estremisti dell’opposta barricata). A sinistra come a destra, il sentimento filo-palestinese è vivo e vegeto, nonostante i silenzi della sordomuta Schlein e la caccia alle streghe contro i presunti complici nostrani di Hamas. Zaki e i lettori orfani di verità, sbugiardando Fazio e Belpietro, ne hanno smascherato l’obbligata parentela di fondo, mostrando come sinistra e destra siano indistinguibili l’una dall’altra in uno di quegli snodi che contano per davvero. E poi dice che fare il tifo per Israele non è pensiero unico. Sì, come no.