I nomi cambiano, le brutte abitudini restano? I miti sì, anche le leggende metropolitane, le equazioni sballate di lettori che si dicono forti, come Luciana Litizzetto, che in un’intervista a La Stampa ammette di leggere moltissimo. Intervista che salta all’occhio per altro, però. Fatta all’indomani della notizia della sua presenza al prossimo Salone del Libro di Torino come curatrice della sezione “Leggerezza”, che l’intervistatore associa – come farebbe la media – con Italo Calvino. E chissà se in effetti la comica non abbia subìto o meno il pungolo mediatico dell’ambiente culturale nell’anno del centenario dalla nascita, un po’ come l’anonimo consumatore compra la Fiesta se vede una pubblicità di una Fiesta, o chiama per un materasso dopo la pubblicità-svendita di un materasso con copriletto, cuscini, numeri verdi in sovraimpressione che sembrano quasi stampati sulla trapunta bianca ma sfocata e conduttori lampadati, convinti e persuasivi. Leggerezza logico-matematica, quella della Litizzetto, che appunto sbaglia equazione: “A volte siamo abituati a pensare che i libri di cinquecento pagine e i film di tre ore siano gli unici a conservare la verità o a raccontarti meglio la vita. Può essere, ma non è scontato. […] Cercherò di lavorare sulla letteratura che non è perturbante o lagnante, che non squarcia in due, ma che aiuta a risollevarsi”.
Ma perché se penso a letteratura perturbante mi vengono subito in mente i brevissimi libri di Thomas Bernhard o Céline, mentre se penso a letteratura che risolleva consiglierei a chiunque Resurrezione di Tolstoj. E perché se penso a libri lagnanti penso ad Annie Ernaux, mentre se penso a libri leggeri, persino divertenti, penso a Il Circolo Pickwick di Dickens? E tanto basta per tornare a fare i conti come Dio comanda, anzi i conti con Dio. Lucianina, luce degli occhi di Fazio, occhi delle luci televisive delle patrie politiche di chi sta dalla parte giusta (ora trasmigrate nell’emisfero di Nove con l’arrivo del Caterpillar Giorgia Meloni), che hai la funzione del televisore pre-social per questo nuovo Salone del libro, perché insistere negli stereotipi? Proprio tu, che in altra sede critichi con lettere e missive pubbliche chi perpetua luoghi comuni e insulta le minoranze. Oggi i libri che squarciano, lunghi o brevi che siano, sono una minoranza vessata. Quelli, oltre che dilanianti, pure lunghi, sono stigmatizzati anche dal mercato editoriale (che non vuole sprecare troppa carta per opere troppo importanti). Non avresti potuto difenderli come difendi le altre minoranze?