Il Nobel per la letteratura 2023 lo ha vinto Jon Fosse. Drammaturgo e romanziere che, secondo la compagine svedese che ogni anno seleziona gli scrittori più meritevoli del più importante premio letterario al mondo, ha saputo dare voce “all’indicibile”. Scrittori che parlano il silenzio, più grandi di quelli che lo eludono, lontani anni luce da quelli che neanche lo conoscono, sono sempre più rari. Traduttore, anche, tradotto in cinquanta lingue, ma non si può dire sia poi uno scrittore mainstream. In Italia, per esempio, pochi lo hanno citato finora, anche se certamente non si perderà l’occasione di farlo adesso. Uno scrittore che, in altre parole, va avvistato, poi braccato, nella speranza di catturarne, sì e no, la traccia, la scia, la polvere di stelle. E in Italia lo ha fatto Elisabetta Sgarbi con la sua creatura, La Nave di Teseo, che lo riporterà in libreria il 10 ottobre con il secondo volume della Settologia, Io è un altro (dopo l’incredibile L’altro nome e Mattino e sera, sempre per La Nave di Teseo).
Che Jon Fosse abbia saputo parlare dell’indicibile è in parte una formula troppo retorica per chi ha saputo dire a sufficienza, tanto da scegliere di cambiare genere a "missione compiuta", anche il dicibile. Come raccontato nell’intervista a cura di Paolo Fausto Filograna per Lo spazio letterario, Fosse si è dato alla “prosa lenta” del romanzo, concepito al di là dei movimenti che egli stesso decise di rendersi disponibili da un certo momento in poi. Ora, Fosse, che ha smesso di viaggiare per vedere spettacoli e – di conseguenza pare – ha smesso di scrivere opere teatrali, è il pittore seduto nella casa isolata in un fiordo norvegese delle sue opere. È, in altre parole, un fantasma.
E anche il suo ruolo nel panorama letterario attuale sembra essere quello di spettro, di presenza assenza. Presenza, perché chiunque ami la letteratura non può che avere a cuore la sua opera; assenza, perché la sua statura sembra di altri tempi, almeno novecentesca, se non precedente. E non solo perché sarebbe facile associare un Nobel a un drammaturgo a tempi precedenti al cinema in cui il teatro aveva ancora un certo ruolo riconosciuto nella società istruita. Ma principalmente perché, a dispetto di altri autori, ha saputo prendere in considerazione ciò che di più antico resta nel mondo moderno: lo spirito della preghiera. Per lui, ancora nell’intervista a Filograna, scrivere è pregare, ma, potremmo anche dire, che leggere i suoi libri, per noi, è pregare. Per la linea trasparente della fede che già percorreva i suoi libri prima della conversione (fino a Mattino e sera), per un ritmo incandescente, che deve essere divorato da una lettura paziente. I suoi libri, senza punti, sono un’esperienza di lettura antropologicamente e cognitivamente differente dalla media contemporanea. Sono come ascoltarsi un intero album seduti in sala, nell’epoca delle notifiche continue, della musica nelle sale d’attesa e dello streaming.
Settologia è un unicum letterario che non ha precedenti e difficilmente avrà eredi all'altezza. Tre libri, sette movimenti, un'unica sinfonia a mo' di flusso di coscienza, in cui si narra il silenzio con la potenza delle cose che fanno rumore. Nel solco di questa contraddizione, a partire dal primo libro, L'altro nome (Settologia I-II), Fosse ci dona un'opera teatrale in una prosa elastica, psichica, che fa della letteratura uno strumento di espansione della conoscenza, prima di tutto di sé stessi:
"... Dio non può forse fare ciò che vuole? se è onnipotente, non è lui a volere che sia così, che qualcuno venga battezzato e altri no? questa sciocchezza di credere che sia necessario il battesimo per essere salvati, no, è troppo grossa, penso e mi accorgo che il pensiero mi diverte, pensare all’idiozia di alcuni cristiani secondo cui è necessario il battesimo per ottenere la salvezza, qualunque essa sia, questo pensiero è così stupido, talmente stupido che non riesce neppure a riderci sopra, perché non c’è niente da ridere davanti a una follia tanto palese, neppure davanti a quella di chi si definisce cristiano, alla stupidaggine che alberga in molti di loro, non tutti certo, penso e ritengo che chi la pensa in quel modo non deve avere una grande considerazione di Dio e penso a Gesù, a quanto amava i bambini e diceva che i bambini sono del regno di Dio, che vi appartengono, ed è un pensiero bello e vero, penso, quindi perché mai avrebbero bisogno del battesimo? loro che appartengono già al regno dei Cieli? penso e penso che il battesimo, quello dei bambini, sia una cosa buona e giusta, ma che esiste solo a beneficio degli esseri umani, non di Dio, può essere importante per questi ultimi, o soprattutto per la Chiesa, sì, soprattutto per la Chiesa, ma per Dio non lo è, perché loro, i bambini, fanno già parte del regno di Dio e bisogna diventare come loro, come i bambini piccoli, per entrare nel regno dei Cieli, come sta scritto, penso e penso che no, adesso devo smetterla perché sto ragionando anch’io da folle e sono qui che medito sulla pazzia altrui quando anche i miei pensieri non hanno senso, non hanno un nesso, perché è ovvio che non serve essere battezzati con l’acqua per essere battezzati, uno lo può essere anche dentro di sé, per mezzo dello spirito che alberga in lui, per mezzo dello stesso spirito che uno è e ha, lo spirito che ha ricevuto alla nascita in quanto uomo...” Continua. Come una costante ruminatio, pura e semplice dedizione, quasi monacale. In questo caso di un pittore, seduto davanti a un telaio, nel suo studio. Di questo parla Settologia. Di un uomo che osserva l'inosservabile, ciò che sta dentro, dunque invisibile, e ciò che è lontano, cioè non più visibile. O, come in Mattino e sera, ciò che è agli estremi, nascita e morte.
Jon Fosse, in Italia, resterà sempre anche una vittoria della casa editrice di Elisabetta Sgarbi, che da tempo intercetta la grandezza della letteratura finita nella periferia del mercato editoriale, quella sommersa, che dovrebbe – e può – convivere con un catalogo anche più commerciale, poiché oggi, se lo scrittore non ha più la sua aura, può e deve poter essere presente come confine luminoso tra ciò che normalmente consumiamo e ciò che è inconsumabile, la parola altra, quella di un lingua selvaggia e misteriosa che, dopo i grandi, appartiene anche a Fosse. Quasi gli sia stata suggerita da Dio.