British Arways ha scelto di rinnovare le uniformi del suo personale per la prima volta dopo vent’anni e la scelta, dopo un progetto che ha coinvolto, in segreto, anche molti dei dipendenti a cui è stato chiesto di provare gli indumenti in condizioni abbastanza estreme (temperature polari, piogge violente), è ricaduta su una nuova linea non binaria, in linea con altre aziende che hanno scelto di rendere le proprie divise più inclusive.
“Sebbene la compagnia aerea abbia una forte eredità, era fondamentale supportarla nella creazione di una nuova narrativa di cambiamento e trascendenza, pur rimanendo attuale”, sono le parole dell’amministratore delegato Sean Doyle. Oltre 1.500 colleghi hanno provato le divise prima che venissero lanciate lunedì, ma del progetto si era parlato già a partire dall’anno scorso e soprattutto da gennaio del 2023, a indicare quanto questo cambiamento sia rilevante e storico per una delle due compagnie aeree più grandi del Regno Unito.
Difficile, quindi, sottostimare le reazioni di chi, tre la impiegate donne, considera offensivo questo cambiamento.
Alcune donne della compagnia, infatti, avrebbero definito i nuovi vestiti ufficiali “deliberatamente androgini”, cioè asessuati.
La British Airways ha un “Pride Hero”, Bradley Gibbons, che si è mostrato entusiasta in una foto con la nuova uniforme femminile, dopo che l’anno scorso la compagnia ha deciso di permettere agli uomini di indossare indumenti femminili. “Direi che la grande maggioranza dell'equipaggio femminile lo odia” dice un membro dell’equipaggio di cabina. Qualcosa non torna.
Davvero in nome dell’inclusività le donne non hanno più diritto di essere femminili, ma solo femministe?
La situazione di disagio di una parte femminile del cast non rovina il film variopinto di chi accetta tutto, tranne il rosa? Più in generale, anche altre compagnie, tra cui Virgin, stanno optando sempre più spesso per disegni di abiti sempre più gender neutral. Così l’inclusività, invece di essere pluralismo, diventa un grigissimo abito da funzionario di qualche ministero da film distopico.
Questa notizia ci dice molto non solo sulla moda e l’estetica contemporanea (che mira sempre di più a essere intangibile e accorta invece che raffinata e all’altezza di un immaginario), ma sul nostro approccio alle tematiche di genere. Le aziende si stanno trasformando, anche per venire incontro alle richieste della società, in catalizzatori delle istanze progressiste.
Tuttavia, non c’è quasi niente di male nel voler indossare abiti femminili in un contesto che, fin dal momento della tua assunzione, ha rispettato degli standard che ti hanno permesso di sentirti a tuo agio nel tuo ruolo.
È certamente un bene che delle nuove aziende possano offrire un’alternativa al dress code delle compagnie più tradizionali, così come è un bene riflettere su una possibile soluzione che permetta a tutti di lavorare a proprio agio dove si desidera. Ma non è necessariamente un bene desiderare di lavorare in un contesto diverso dalle tue aspettative cerando di trasformarlo fregandotene di chi invece quel modello binario lo ha accettato.
La British Airways ha accettato le pressioni di una parte dei suoi dipendenti, ma lo ha fatto modificando una consuetudine che permetteva ad alcune donne di sentirsi a proprio agio. Donne che avevano accettato quel mondo per il modo in cui quel mondo le faceva sentire, sono costrette ora ad adattarsi a uno stile asessuato, non binario, ma che in fondo strizza l’occhio agli uomini che non si riconoscono nel proprio sesso.
Infatti, mentre le donne che indosseranno pantaloni o tute non faranno altro che scegliere giustamente indumenti più comodi di fatto unisex, chi indosserà la gonna (che non è un kilt) raschierà il fondo del senso comune per sentirsi socialmente più comodo in un mondo obbligato, d’ora in poi, alla scomodità.