Oggigiorno i pensieri controcorrente e fuori dal coro sono diventati un vero e proprio fastidio per i seguaci del politicamente corretto. Diventa quasi un atto eroico avere un’opinione difforme dal sentire comune. Molte critiche sono state fatte per le dichiarazioni di Pierfrancesco Favino, “stanco di accettare che attori stranieri interpretino italiani”. L’attore esprime la sua frustrazione e condivide la sua battaglia, invitando tutti a svolgere il proprio ruolo e a “cooperare”. Per fortuna che l’ha detto Favino, perché se l’avesse detto un qualsiasi simpatizzante del centrodestra – anche uno fra i più moderati – sarebbe stato “cancellato” come l’attuale cultura mediatica domanda.
Ma cosa mai Favino avrà detto di male? Gli italiani però, si sa, non amano mai vedere i propri connazionali ergersi a paladini dei valori patriottici: non piace, per molti è volgare e si viene accusati di voler solamente pubblicizzare sé stessi. Io invece ammiro moltissimo chi si espone, anche solo per il proprio interesse, per un mero innato fatto di umana competizione.
Questa diatriba mi ha suscitato vari interrogativi: perché ad esempio il cinema italiano è così in crisi e poco strutturato? Perché dobbiamo noi sognare Hollywood, quando invece è la stessa Hollywood che da sempre si ispira alla cultura europea e – in special modo – alla Dolce Vita di felliniana memoria?
Noi italiani dovremmo considerare che alcune piccole cose alle quali noi non badiamo, nonostante siano già da lustri consolidate in altri Paesi, sarebbero altresì fondamentali per farci meglio conoscere nel mondo, rompendo lo stereotipo dell’italiano spaghetti mafia e mandolino che ovunque ci affligge. Nello specifico, perché è rarissimo che i nostri film siano sottotitolati in inglese? Siamo nel 2023 e fra i nostri film visibili sulle piattaforme streaming è quasi impossibile trovare film italiani con sottotitoli in altre lingue.
Mio marito Adam è americano e ama Checco Zalone e Aldo Giovanni e Giacomo. Lui non parla italiano, ma un po’ percepisce. In più io, per amor suo, gli traduco in tempo reale il film e gli spiego, ad esempio, l’importanza del concetto italiano del “posto fisso”, così ardentemente agognato nel sud Italia come dipinto da Checco Zalone nel film “Quo vado?”. Quante risate! E quanto mio marito ha imparato dell’Italia negli anni grazie a questi film e alle mie traduzioni, specialmente le differenze fra nord e sud a lui sconosciute in quanto in America hanno lo stereotipo dell’italoamericano di virtuose origini siciliane o campane, ma nessuno conosce anche le virtù dei piemontesi, lombardi, veneti e trentini. Inoltre, anche per tutti gli immigrati dall’Africa che parlano inglese e francese sarebbe più semplice imparare dai nostri film come sono fatti gli italiani.
Di fronte a queste gravi mancanze, le major italiane del cinema si mascherano dietro ad un ulteriore elevato costo per i sottotitoli in inglese… balle! Mettere due sottotitoli è un lavoro di traduzione e di computer, nemmeno minimamente paragonabile come costo a quello della produzione del film stesso!
Dico di più: per promuovere la cultura italiana nel mondo, il governo italiano dovrebbe obbligare i nostri produttori ad includere sottotitoli in lingua straniera, affinché la settima arte italiana, anche nelle sue produzioni più popolari e meno faraoniche, venga apprezzata nel mondo perché, in un mondo globalizzato, anche noi italiani dovremmo far conoscere al mondo la nostra cultura, i nostri modi di dire, le nostre tradizioni.
Invece vengono sempre da noi ad usare la nostra terra per girare grandi film americani e parlano di noi come se ci conoscessero! Vengono in Italia ad una delle mostre del cinema più prestigiose d’Europa, nella città più bella del mondo, ed ho notato – essendo stata ospite – una certa eccessiva subalternità da parte nostra nei loro confronti (per non parlare delle “evoluzioni” di Kanye West in acqua-taxi con la sua fiamma). E vengono solo a prendere per loro stessi, senza aggiungere nulla a noi.
Tutto ciò è colpa della nostra eterna sudditanza ed esterofilia, nonché mancanza di consapevolezza di ciò che siamo e di ciò che abbiamo.
Tempo fa, un mio amico britannico disse che l’Italia è “The Land of the Gods”, la Terra degli Dei. E quindi, caro Favino, il destino dell’Italia è nelle nostre mani e sta a noi valorizzarla come merita.