Il Bangladesh ormai da settimane è devastato dalle proteste antigovernative. Secondo un conteggio dell’agenzia di stampa Afp il bilancio complessivo delle vittime sarebbe di almeno 300 persone. Intanto Sheik Hasina, premier del Paese, ha lasciato il Bangladesh per recarsi in India, luogo “più sicuro”, ed è stata costretta a dimettersi. In questo clima di profonde incertezze e proteste, le fabbriche di abbigliamento in Bangladesh sono state chiuse a tempo indeterminato. Un problema che riguarda non solo lavoratori di queste fabbriche, ma anche i brand del fast fashion.
Secondo la Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association (BGMEA), l’industria dell’abbigliamento “readymade” (quindi pronto all’uso) rappresenta l’83% delle esportazioni totali del Paese. Nel 2023, stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Bangladesh è stato il terzo esportatore di abbigliamento al mondo con un valore di 38,4 miliardi di dollari. Numeri che certamente cambieranno a causa delle proteste che sta vivendo il Paese. Tutto questo avrà molto probabilmente ripercussioni anche per il mercato del fast fashion e per brand come H&M e Zara, che si riforniscono proprio in Bangladesh. H&M, catena svedese di abbigliamento ormai presente in tutto il mondo, si rifornisce per i suoi capi da circa mille fabbriche in Bangladesh (secondo il rapporto della BBC). L’azienda ha dichiarato di essere “preoccupata” per quanto sta accadendo nel Paese ed è già stata costretta a ridurre alcune delle sua campagne primavera/estate a causa dei ritardi nelle spedizioni. Zara, marchio del gruppo spagnolo Inditex, ha 12 cluster produttivi in cui si è concentrato il 98% della sua produzione nel 2022. Tra questi, c’è anche il Bangladesh. L’azienda al momento, secondo quanto riportato da Fashion Network, si sarebbe rifiutata di commentare l’impatto dei disordini politici sulle sue attività.
Già in passato i marchi del fast fashion che si riforniscono in Bangladesh hanno dovuto affrontare delle crisi, per motivi diversi da quelli che hanno scatenato le rivolte di queste settimane nel Paese. Nel 2023 hanno dovuto fare i conti con quella che è stata chiamata “la rivolta delle tessitrici” (perché la maggioranza delle lavoratrici del settore erano donne), una protesta nata a seguito della decisione del governo di non riconoscere gli aumenti di salario richiesti, il successivo saccheggio di oltre 70 fabbriche e la morte di diversi lavoratori uccisi a seguito degli scontri.