Un paese di poco più di 170 milioni di abitanti, il Bangladesh, è stato ufficialmente tagliato fuori dal mondo e nessuno ne parla e vi spieghiamo anche perché. Lo facciamo attraverso un film del 2017: Downsizing di Alexander Payne. Si tratta di un film che mostra un mondo quasi utopico, nel quale uno scienziato norvegese trova la soluzione al problema dell'impatto dell'uomo sul mondo e dell'inquinamento. Qual è questa soluzione? Il ridimensionamento degli esseri umani. Ovvero: il farsi rimpicciolire e diventare di 12 millimetri. Facendo ciò si salverebbe il mondo e il nostro consumo diventerebbe nettamente inferiore. Si stima inoltre che una busta della spazzatura possa essere il prodotto di tutta una vita di un mini uomo, e questo porterebbe a un miglioramento dello stato del surriscaldamento globale. Lo scienziato norvegese, la moglie e 36 volontari provano il metodo e vedono che funziona, e che non ci sono complicanze fisiche. Da lì scelgono di comunicarlo al mondo, che come sempre si divide in due fazioni: chi ne è entusiasta e chi ne è scettico e arrabbiato per qualche oscuro motivo. Più persone iniziano a proporsi per farsi rimpicciolire. Poi il film cambia narrativa, ci propone un protagonista che vuole farsi rimpicciolire non per la scienza ma per i soldi. Perché si stima che, chi in versione maxi arrivava al pelo a fine mese, in versione mini potrebbe vivere nel lusso. Altri iniziano ad avere la stessa idea, creando così lo stesso problema di prima: arrivati mini, uno stato irreversibile, si rendono conto che c'è sempre qualcuno più ricco di loro, e che è comunque necessario lavorare. Il nostro protagonista si ritrova quindi affranto, triste a fare il centralinista tutto il giorno, con la moglie che lo ha lasciato, perché ha deciso di rimanere maxi. Il senso del progetto dello scienziato norvegese quindi crolla, la gente anche da mini ripropone gli stessi meccanismi nocivi, sostanzialmente perché a nessuno interessa niente del pianeta o degli altri, ma solo di fare qualcosa che convenga a loro, che possa fruttare un beneficio nelle loro tasche. Il film ha poi una morale, come tutti i film che non hanno coraggio di finire in modo cinico.
Ma perché vi abbiamo raccontato questa storia e cosa c'entra un centralinista mini con noi e il Bangladesh? Sostanzialmente niente e tutto. Ancora una volta avremmo potuto usare la comunicazione, un mezzo potentissimo che può ribaltare le sorti di un popolo, in maniera efficace, ma questo non ci torna utile, quindi evitiamo di parlarne. E di prassi è sempre così. Basti pensare alla catena “all eyes on Rafah”, che le prime 48 ore ha spopolato attirando chiunque, da tutto il mondo, dai ragazzini alle star internazionali che l'hanno postata sui social, ma che quando ha smesso di essere virale - smettendo di portare benefici a chi la postava - è sparita dai radar. Come se non stessero morendo bambini, come se Israele non stesse combattendo una guerra nella Striscia di Gaza. Ma il telegiornale non ce l'ha mai raccontata così, quindi... Insomma, per questo ennesimo motivo non ci parlano del Bangladesh: perché non serve a niente mettere luce su questa storia. La situazione nel Paese è però critica. Circa due settimane fa, parte una manifestazione studentesca contro il nuovo sistema di assegnazione di impieghi pubblici, disumano e del tutto non meritocratico. La manifestazione diventa una vera e propria protesta e a loro si uniscono un po’ tutti, non solo studenti, persone indignate di qualsiasi età. La violenza purtroppo spesso va di pari passo alle proteste e infatti perdono la vita circa un centinaio di persone. Per sopprimere il dissenso che si era creato il governo fa un gesto ancora più grave: ordina la chiusura di tutte le scuole e università, impone un coprifuoco controllato dall’esercito e toglie la connessione a internet e ai servizi telefonici di tutto il Paese. Motivo per il quale per chi è in Bangladesh è impossibile comunicare con l'esterno e siamo noi a avere il potere della voce.
La comunicazione si basa anche su una certa empatia e sappiamo bene che più un posto è lontano e più un posto ha origini e culture diverse da noi, meno ci importa, perché meno riusciamo a creare una connessione tale da trasmetterci empatia sufficiente da preoccuparci e indignarci. Questo lo abbiamo notato bene quando è scoppiata la guerra in Ucraina, la situazione ha toccato più e più persone. Meno di una settimana ci trovavamo ad Ancona, in piazza Roma, e abbiamo preso parte a una manifestazione per dar voce agli studenti del Bangladesh. C'erano pochi italiani, non per malizia ma per disinformazione. Il punto della situazione è che dall’Italia non possiamo fare tanto di pratico, se non parlarne. E non possiamo continuare a mandare a fanculo i lavori di scienziati norvegesi che cercano di salvare il mondo, solo perché noi vogliamo più soldi. Anche perché, vi sveliamo un segreto, coi soldi ci fate poco se il mondo si dirige verso il collasso.