“Avete fatto voi questo orrore, maestro?” - disse un ambasciatore di Adolf Hitler a Pablo Picasso, dopo aver visto la Guernica. “No, è opera vostra” - rispose il pittore. Abbiamo visto di tutto, nel campo del fashion advertising, compreso un Johnny Depp, nella pubblicità del profumo, che va a zappare in maniera del tutto svogliata nel deserto, che se l'avesse visto fare l'orto così il mio vicino di ottant'anni gli avrebbe raddrizzato la schiena con una badilata. Abbiamo visto di tutto, ma era sempre tutto così, intavolato in un canone estetico mortifero, mortificante. Il problema del fashion advertising è proprio il suo concetto estetico generale. Non è certo una novità, l'appeal cadaverico dei modelli e delle modelle, che vengono quasi sempre ritratti con espressioni vacue, lo sguardo fisso in un vuoto assoluto, un make-up da metadone appena posato, in pose da caffè e siringa a colazione. Il motivo, credo sia per fare assomigliare il più possibile i modelli e le modelle a dei manichini, in maniera da enfatizzare il colpo d'occhio sul vestito. Abbiamo visto di tutto, ma una contro-campagna #boycottzara, con migliaia di commenti del tipo “shame on you! Free Palestine!” sotto i post di un brand come Zara, ancora non l'avevamo visto. La pubblicità ritraeva la solita modella truccata come un poltergeist, in mezzo a quello che nelle idee dei pubblicitari doveva essere un atelier d'arte, ovviamente in decomposizione, come impone il canone estetico del fashion advertising. Il problema, questa volta, è stato che la modella-manichino era in mezzo ad altri manichini, e che gli altri manichini erano avvolti in lenzuoli bianchi. Nulla di strano, finché a qualche anima pia non è balzato all'occhio che tutto il contesto poteva essere ricondotto al dramma della guerra in Palestina. Il problema della moda è la sua stessa natura: hai l'obbligo di seguirla. Se non lo fai, sei fuori. Il problema della moda le si è rivoltato contro, e ora hanno tutti i forconi e le fiamme in mano, e vogliono la testa del mostro Zara. Ora, o dovremmo ammettere che il marchio ha voluto trollare tutti, facendo davvero una campagna fatta apposta per tirarsi dietro una shitstorm, oppure dovremmo ammettere che attaccarsi a tutto non fa altro che renderci dei semplici bigotti, nostalgici e manchevoli di una vita perdutamente democristiana che abbiamo soltanto sfiorato, ma rispetto alla quale siamo in posizione di desiderio.
Il moralismo è il manichino della morale, e anche volendo sognare un mondo come nelle pubblicità di moda, in cui tutti sarebbero buttati su divani distrutti, con le facce da eroinomani, e dove tutti si alzerebbero di scatto ma sempre senza entusiasmo, per andare a zappare in New Mexico, o a un party in piscina sul tetto di una basilica, mentre nuvole di unicorni ci cagano in testa palline di setosa e glitterata diarrea, anche volendo tutto questo, io non riesco, non ce la faccio, a trovare un nesso logico e intenzionale tra la pubblicità e la guerra. Se non questo, che voler trasformare anche una pubblicità in guerra, è la prima intenzione di guerra. Come diceva il famoso aforisma di Clausewitz, la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi; ma forse aveva ancora più ragione Michel Foucault, uno dei più grandi filosofi del Novecento, a ribaltare l'aforisma: la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Perché la politica si fonda davvero su quanto aveva teorizzato Carl Schmitt, ovvero sulla distinzione tra amico e nemico, quindi sull'onnipresenza della guerra. E questo è in qualche modo problematico, visto che Schmitt fu anche un teorico della dittatura. Ma è più facile farla, la guerra, è più facile seguire l'onda del fanatismo, da qualunque parte essa arrivi, piuttosto che fermarsi a guardare davvero le cose che abbiamo di fronte, per analizzarle. Così ci si ritrova a fare la guerra contro una delle solite orribile campagne di fashion advertising, trasformando anche la tragedia della guerra in una sorta di manichino, e non vedremo mai Johnny Depp zappare in un kibbutz mentre un drone israeliano gli tira dei missili, né dei modelli zombie vagare per un party dove la gente è stata ammazzata davvero, perché la realtà della guerra, l'idea di guerra, il meccanismo che rinfocola la possibilità della guerra, quello non viene mai boicottato davvero. Per cui, se fossi il Social Media Manager di Zara, avrei risposto come Picasso: siete stati voi, a fare questo orrore.