Premessa. Non si tratta di decidere da che parte stare, se da quella degli israeliani o dei palestinesi. In una situazione così complessa occorre, piuttosto, sospendere il giudizio, trovare argomenti razionali che possano avvicinarci a una risoluzione del conflitto. La stessa complessità, però, porta con sé delle ambiguità che si riflettono sulla narrazione della guerra. Ciò influisce sulla qualità dell’informazione e il ricorso a fatti veritieri. Capire la fondatezza o meno di una notizia è un lavoro complicato, che richiede competenza e maneggevolezza degli strumenti del mestiere del giornalista. Rula Jebreal, da sempre a supporto della causa palestinese, è stata accusata su X dall’associazione Comitato Ventotene di diffondere video tradotti male e foto che non avrebbero nulla a che vedere con il conflitto tra Israele e Palestina. Dopo le critiche della iena Antonino Monteleone (di cui noi di MOW abbiamo già parlato), Jebreal si è trovata di nuovo al centro di una discussione sulla guerra in corso in Medio Oriente. Di nuovo, non vogliamo giudicare la maggiore correttezza morale di una delle due posizioni rispetto all’altra. Ci limitiamo qui a notare che, per l’ennesima volta, le argomentazioni a favore dei due schieramenti (perché di questo si parla, di due fronti divisi dalla terra di nessuno) si sono mescolate a informazioni parziali e su cui discutere diventa, purtroppo, trascurabile. A proposito del video; quello postato il 6 novembre da Jebreal ritrae alcuni bambini israeliani che, nella traduzione fatta dalla giornalista, starebbero dicendo “dobbiamo uccidere gli arabi/palestinesi o saranno i nostri schiavi”. Gli insegnanti presenti, inoltre, starebbero incitando gli stessi bambini a dire certe cose. L’associazione ha commentato il tweet affermando che i bambini starebbero dicendo una diversa: “Cosa provate quando un bambino arabo è vicino a voi?”, chiedono gli insegnanti. “Che vuole uccidermi”, rispondono i bambini. Se anche, come sottolineato da più parti, il Comitato avesse ragione, parole del genere pronunciate da bambini in età elementare sarebbero ugualmente preoccupanti. Come prosegue il dibattito su questo tema tra la giornalista e l’associazione? “Davanti ai massacri, alle stragi di bambini, all’incitamento al genocidio, la vostra risposta è diffamare e denigrare chi denuncia tutti i crimini di guerra… questo la dice lunga sulla vostra disfatta morale. Vergogna”, commenta Jebreal. “È veramente triste vedere giornalisti che diffondono deliberatamente bugie propagandistiche purché portino acqua al proprio mulino”, insiste il Comitato. Immediatamente dopo la valutazione di un’informazione, la discussione scivola sul piano morale: “Sei nemico o amico dei palestinesi/israeliani?”.
Quella del video non è l’unica osservazione che il Comitato Ventotene ha mosso nei confronti di Rula Jebreal: la donna sarebbe colpevole di aver diffuso alcune foto della schiena di un ragazzino palestinese malamente ustionata. Il problema è che quella foto sarebbe stata scattata in un'altra situazione, per la precisione nel 2020, durante i bombardamenti dell’Azerbaijan sul popolo armeno: “Per caso sapete dopo quante bufale si vince il set di pentole?”, ironizza ancora il Comitato. La giornalista non esita a replicare: “La vostra ossessione nel denigrare chi denuncia i crimini di guerra…la dice lunga sulla vostra disfatta morale”, scrive in maniera analoga a quella del video. Come un disco rotto, la contrapposizione di due idee si trasforma nell’accusa personale, nella demolizione del personaggio prima che delle sue tesi. “Non avete mai denunciato i massacri dei 4mila bimbi a Gaza, e ignorate pure l’Onu+Amnesty, che denunciano la carneficina, e Israele che usa il cibo come arma di guerra”, attacca ancora Jebreal. Ma l’associazione risponde con degli screenshot in cui denunciano proprio la non legittimità dell’arresto degli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. La chiosa del Comitato? “Bella figura di mer*a”. Al centro di un simile scambio poteva esserci la necessità di rivedere le fonti, fornire strumenti utili alla valutazione di una notizia. Invece si è trasformata nella solita sceneggiata in cui si grida “assassino!” a chi ci sta di fronte. Cercando di ottenere il consenso del pubblico grazie a immagini e racconti strazianti. La guerra è così: straziante. Ma almeno noi, che dal caldo delle nostre case con l’acqua corrente e la luce in funzione, dovremmo fare un passo in più. Il momento del pianto e della disperazione, per chi questo conflitto lo vive da lontano, non deve essere l’esito del confronto, ma solo il punto di partenza. Poi c’è il pensiero, oltre la sensazione, e l’elaborazione del trauma: segue la soluzione, una proposta, una via d’uscita. Altrimenti si fa teatro, una gara a chi è più bravo a far piangere, o a smontare e ridicolizzare l’interlocutore.
Infine, proprio per non cadere nel tranello di una parzialità inutile, vogliamo ricordare la posizione del democratico Bernie Sanders: “Israele ha il diritto di difendersi con la forza da Hamas, ma i palestinesi innocenti hanno diritto alla vita e alla sicurezza”. Com’è noto, Rula Jebreal ha spesso assunto una postura simile a quella del dem americano, di cui condivide molti valori e battaglie. A questo punto, però, ci troviamo di fronte a un paradosso: quella di Sanders è una posizione praticamente sovrapponibile a quella del Comitato Ventotene. “Hamas va messo in condizione di non poter più nuocere alla sicurezza di Israele, ma questo non giustifica punizioni collettive”, leggiamo sul profilo “X” dell’associazione. A che pro, dunque, scatenare una rissa da bar, una scazzottata verbale inutile. Parlare di guerra in questi termini è deleterio: a venire dimenticati, infatti, sono proprio gli israeliani e i palestinesi. Siamo troppo impegnati a lavarci le coscienze, a mostrarci più buoni degli altri per pensare davvero a una collaborazione che possa evolvere in una soluzione possibile di questa guerra. C’è chi imbraccia il fucile e chi scava, il carnefice e il cadavere, la mano e il pugno: il dibattito su quello che sta accadendo dimostra che vogliamo solo riconoscerci in una di queste figure. Giocando a fare i buoni contro i cattivi.