Il conflitto tra Israele e Hamas, le immagini brutali degli israeliani ammazzati dai terroristi islamisti e quelle, altrettanto drammatiche, dei bimbi di Gaza morti sotto le bombe di Tel Aviv. Da sempre divisivo, la guerra in corso tra lo stato ebraico e l’organizzazione islamista palestinese sta polarizzando l’opinione pubblica occidentale - molto più del conflitto in Ucraina - in due tifoserie distinte, alimentando una vera e propria “pornografia della guerra”. Ognuno piange e sbandiera i propri morti, senza cercare di comprendere le ragioni dell’altro. Non è un ragionamento ecumenico né buonista, ma una guerra non può essere una partita di calcio che alimenta l’ego di influencer che lucrano sul dolore altrui. La maggior parte di noi ha visto ripetutamente immagini e video di cadaveri, automobili bruciate ed edifici distrutti. Si tratta di un’esposizione involontaria. Ad esempio, mentre scorriamo i post di Twitter, Facebook o Instagram, potremmo imbatterci in un post che trasmette una storia molto cruda e dolorosa sulla sofferenza dei cittadini di Israele e Gaza.
Assuefatti alla guerra
Come spiega The Conversation, un rischio derivante dall'esposizione continua a immagini orribili è una “non sensibilizzazione”. Ciò significa che alcuni spettatori potrebbero abituarsi troppo a tali immagini, vedendole come una nuova normalità e rimanendone indisturbati. La morte brutale di altre migliaia di persone diventa per loro solo una statistica. Perché questo bombardamento continuo di immagini terrificanti, da una parte giornalisticamente comprensibile, ci sta abituando all’orrore della guerra. E non riusciamo più a comprendere che, dietro quelle immagini ci sono persone, storie di vite spezzate, famiglie intere dilaniate dal dolore e da una guerra devastante che - si diceva - con la Fine della Storia, non avremmo più combattuto o vissuto sulla nostre pelle. E invece è qui, tra di noi. Perché, come nota Save The Children, nelle ultime tre settimane a Gaza sono stati uccisi più bambini rispetto al totale dei bambini uccisi nei conflitti in tutto il mondo ogni anno dal 2019. I dati diffusi domenica scorsa dalla Ong, che fanno riferimento alle autorità sanitarie palestinesi, mostrano che almeno 3.324 bambini sono stati uccisi a Gaza dal 7 ottobre, mentre 36 sono morti in Cisgiordania. Sono più dei 2.985 bambini uccisi in 24 paesi nel 2022 e dei 2.515 nel 2021 e 2.674 nel 2020 in 22 paesi. Un’enormità: cerchiamo di comprendere, come si diceva sopra, mentre leggiamo queste statistiche, che non si tratta di freddi numeri.
Nella giungla della propaganda di guerra
La politica - e il giornalismo - devono riprendersi i loro spazi. Con più analisi ponderate e meno sensazionalismo acchiappa clic. Senza occultare nulla o nascondere la tanto ricercata “verità”, ma evitando di inzuppare la cronaca di video “virali” che non aggiungono nulla alla propaganda di guerra in corso, da una parte e dall’altra. Almeno qualcuno non si illuda che le democrazie - come Israele - non facciano propaganda di guerra come la fa, sull’altra sponda, anche Al Jazeera, che rimane un ottimo canale di informazione, ma che va visto e letto nella piena consapevolezza che è un’emittente televisiva di proprietà dell’emirato del Qatar, maggior finanziatore di Hamas, e fornisce dunque una narrazione interessata e di parte. Era accaduto anche nella guerra per procura in Siria, nella quale Al Jazeera faceva da megafono alla propaganda dell’opposizione contro Bashar al-Assad (e che i giornali italiani prendevano tristemente come oro colato).
Il terrorismo dell’indignazione
Dopotutto, se pensiamo alla proliferazione di influencer di varia natura e a questa enorme mole di pornografia di guerra, dobbiamo considerare anche la massima di Friedrich Nietzsche: "Nessuno mente tanto quanto l’indignato”, proprio perché questa gigantesca mole di video e contenuti vari sui social non sono diffusi per generare un sano dibattito ma hanno una funzione di marketing-politico. Nel suo saggio del 2014 La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Domenico Losurdo parlava lucidamente di “terrorismo indignazione” impiegato, dal suo punto di vista, dai maestri della propaganda di guerra per giustificare gli interventi militari “umanitari” dell’occidente in Africa e in Medio Oriente. "Ancora ai giorni nostri il terrorismo dell'indignazione continua a funzionare in modo egregio e funesto, diffondendo sia menzogne pure e semplici sia mezze verità, ed esso spesso provoca più vittime di quelle che pretende di voler proteggere. La rappresentazione menzognera dello scontro in Libia - scriveva il filosofo marxista in un passaggio del libro - quale genocidio consumato ai danni di una massa di civili inermi ha consentito a un mastodontico apparato militare di massacrare decine di migliaia di persone, senza incontrare opposizione nell'opinione pubblica, anzi riscuotendo persino il suo consenso”. Analisi che vale per la Libia, come per tutti gli altri contesti, a maggior ragione in una guerra così “mediatica” come quella tra Israele e Hamas.