“In Europa sta passando una narrazione giustificazionista, ma quando si vedono con i propri occhi i risultati di quell’atto terroristico, si parla con i familiari delle vittime o degli ostaggi, si capisce quanto noi in occidente stiamo portando avanti una narrazione sbagliata su questa guerra”. Parola di Francesco Giubilei, giornalista, editore e presidente di Nazione Futura, da qualche giorno in Israele. Così racconta la guerra contro Hamas direttamente dal fronte più caldo.
Francesco, sei stato dentro il Kibbutz di Kfar Aza e lì hai respirato l’orrore di ciò che è accaduto il 7 ottobre scorso a seguito dell’attacco terroristico di Hamas. Puoi raccontarci cosa hai provato?
Sì, sono stato al kibbutz di Kfar Aza, che è stato uno dei più colpiti da Hamas, il 7 ottobre, e che si trova a meno da 5 chilometri da Gaza. Lo abbiamo visitato con il Ministro degli Affari della Diaspora e della Lotta all’Antisemitismo, Amichai Chikli. Abbiamo visto che cos’è accaduto concretamente il 7 ottobre. Tutto è rimasto cristallizzato a quel giorno, tranne ovviamente i corpi degli israeliani uccisi, che sono stati portati via. Rimangono le macchie di sangue sul pavimento e sui divani. Quando ho pubblicato un video parlando di questo, alcuni hanno fatto dell’ironia perché ho scritto che si sentiva l’odore del sangue, ma è davvero così. Sono piccole stanze ed abitazioni, in cui è rimasto il sangue delle vittime, ed entrando in queste case c’è un odore che colpisce. Tutte le porte sono crivellate dai colpi, è tutto sottosopra, lì sono morte più di 50 persone, tra cui vari bambini, e ci sono ancora 7 feriti, su 700 persone. Oggi il Kibbutz è evacuato, è una zona completamente militarizzata ma ci sono automobili abbandonate con i vetri rotti, case bruciate, cancelli divelti. C’è un silenzio surreale, rotto solamente dall’artiglieria israeliana, perché ora è una zona di fronte. La sensazione è quella di animali che hanno compiuto un vero e propri eccidio nei confronti di civili inermi, dove sono stati uccisi donne, bambini e anziani. Ci hanno raccontato che hanno messo un bimbo in un forno, vivo, oltre a ragazze stuprate per ore. È qualcosa che colpisce, perché vedi concretamente ciò che Hamas ha fatto.
Dal punto di vista operativo, in che fase siamo della guerra? Secondo quanto dichiarato dalle IDF, le forze armate israeliane hanno circondato Gaza City e hanno raggiunto la costa, dividendo di fatto la Striscia tra Gaza Nord e Gaza Sud. Siamo a un punto di svolta?
Da un punto di vista operativo, c’è la volontà di sconfiggere Hamas. Parlando con tante persone, analisti, politici di primo piano, tutti affermano che Israele ha un’unica soluzione, che è quella di vincere questa guerra. Vedendo i kibbutz o anche a Sderot, una città di 30 mila persone dove c’è stata la battaglia con le forze di polizia alla stazione, pensare che delle persone possano tornare a vivere in quei posti, ad oggi è impensabile se non si riesce a sconfiggere Hamas ed eliminare tutti i terroristi. La priorità è questa. Siamo nel momento in cui l’esercito israeliano entrerà a Gaza City, liberando gli ostaggi e uccidendo i terroristi di Hamas.
Qual è la reazione dell’opinione pubblica locale rispetto alla risposta militare del governo Netanyahu? È polarizzata come in Italia?
L’opinione pubblica è convinta che vi siano delle responsabilità per ciò che è accaduto il 7 ottobre. È altrettanto evidente che queste responsabilità vadano indagate, e bisogna capire chi ha sbagliato, nel governo o nell’esercito. C’è stata una falla, e questo è indubbio. Non è questo il momento, però. Ora c’è la guerra e Israele deve vincere e sconfiggere Hamas. C’è unità generale nel dire che in un momento di guerra bisogna essere uniti. Anche molte persone che votavano contro Netanyahu ed erano scese in piazza per manifestare contro la riforma della giustizia, ora dicono che non è il momento delle divisioni politiche. Poi è chiaro che ci sono i familiari degli ostaggi che chiedono al governo un cambio di strategia per cercare prima di liberare gli ostaggi. Ma la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, se non quasi la totalità, esige una risposta forte. E su questo c’è molta unione, a prescindere dalle idee politiche.
A tuo parere, non c’è un problema operativo - e politico - di cosa fare di Gaza una volta sradicata un’organizzazione come Hamas, che ha un braccio politico oltre che militare?
Mi rifaccio alla proposta di Zvi Hauser, che abbiamo intervistato, e che è stato per anni uno dei membri più influenti del governo, oltre che portavoce del governo. Lui propone una soluzione basata su quattro punti: il primo è demilitarizzare l’area (Gaza), con una risoluzione internazionale; secondo punto, i terroristi di Hamas che sopravviveranno devono lasciare la Striscia di Gaza come accaduto in Libano nel 1982 e terzo punto, portare via i missili da Gaza. Ultimo punto, stabilire zone militari e difensive per evitare che si ripetano attacchi come quello del 7 ottobre.
Che cosa ti ha spinto a seguire questa guerra sul campo?
Mi ha spinto la volontà di vedere con i miei occhi gli atti terroristici di Hamas e capire meglio la situazione, perché credo che quando si parli di politica estera sia necessario vedere le cose in prima persona, per capire. Da varie settimane, in Europa, e in occidente, c’è una narrazione su questa guerra che tende a mettere sullo stesso piano i terroristi di Hamas con Israele. E questa è una cosa sbagliata, perché quello di Hamas è un atto terroristico a tutti i livelli, che ha avviato una reazione militare che, in una zona abitata come Gaza, è chiaramente complessa. Quando si parla dei morti civili palestinesi, non si dice inoltre che i civili sono in primis vittime di Hamas. Perché quest’ultima usa i civili come degli scudi umani nei confronti di Israele, che ha chiesto per diversi giorni che i civili si dirigessero verso sud. Hamas mette le proprie basi all’interno degli ospedali e utilizza le ambulanze per il trasporto dei propri miliziani. In Europa sta passando una narrazione giustificazionista ma quando si vedono con i propri occhi i risultati di quell’atto terroristico, si parla con i familiari delle vittime o degli ostaggi, si capisce quanto noi in occidente stiamo portando avanti una narrazione sbagliata su questa guerra.
Guterres si è detto “inorridito” dall’attacco al convoglio di ambulanze da parte di Israele. Il governo di Tel Aviv ha risposto spiegando che i terroristi di Hamas usano le ambulanze per nascondersi. Che idea ti sei fatto su questa vicenda?
Guterres ha proposto una risoluzione nella quale non condanna gli atti di Hamas, rispetto alla quale l’Italia si è astenuta, come hanno fatto anche altre nazioni. Se adotti una risoluzione nella quale chiedi un cessate il fuoco senza partire dalla condanna del 7 ottobre, è una posizione oggettivamente ambigua, com’è quella che sta tenendo in questa fase l’Onu e Guterres. Va detto poi che c’è c’è tanta propaganda da parte di Hamas, come nel caso dell’ospedale che venne colpito a Gaza, inizialmente si disse che era colpa di Israele, quando in realtà furono probabilmente gli stessi missili di Hamas. Che poi i terroristi usino gli ospedali o luoghi dove ci sono i civli, per nascondersi o per le loro basi operative, non lo scopriamo di certo oggi, e lo abbiamo già visto in altre guerre e in altri contesti. Il farsi scudo con i civili dimostra il fatto che il popolo palestinese è vittima di Hamas. Questo lo dicono tanti israeliani, e a proposito di ospedali, abbiamo intervistato un medico italiano, il professor Rosso, un cardiologo del reparto di cardiologia del Tel Aviv Medical Center, che ci ha raccontato come i palestinesi siano curati come ogni altro paziente o come tanti arabi israeliani siano diventati medici o primari. Ci ha spiegato come, dalla Striscia di Gaza, mandassero i pazienti più gravi e loro li curavano, allo stesso modo nel quale curavano gli ebrei. Oltre al fatto che ci sono ancora delle famiglie palestinesi in cura presso il Tel Aviv Medical Center. Lui è uno di quelli che è sceso in piazza contro Netanyahu e la sua riforma della giustizia ma vedendo le posizioni della sinistra italiana e di una parte dell’occidente, è schifato perché sono idee pregiudiziali nei confronti di Israele.
Qual è la reazione degli israeliani rispetto a ciò che si dice in Europa su questa guerra? C’è la paura di un ritorno dell’antisemitismo?
Tutte le persone con le quali abbiamo parlato, di ogni classe sociale, di ogni orientamento politico, in contesti del tutto diversi tra loro, ci hanno detto che questa non è una guerra tra Israele e Hamas, ma tra l’occidente e il terrorismo islamico e che ora è toccato a loro, ma i prossimi potremmo essere noi. Gli israeliani, ancora una volta, a prescindere dall’orientamento politico, vedono le posizioni portate avanti - prevalentemente dalla sinistra europea - come posizioni antosioniste e anche antisemite. Tant’è che c’è un ritorno dell’antisemitismo, come accade in Francia, o in Belgio, e lo stiamo vedendo anche nelle piazze che inneggiano alla jihad. La chiave di lettura che danno gli israeliani è che c’è una guerra di civiltà, tra l’occidente da un lato e dall’altro il terrorismo islamico.