Cosa serve per far cadere il governo? Le principali città d'Italia sono bloccate e gli scontri durano da giorni. Siamo al secondo enorme sciopero nazionale, in strada ci sono tutti, non solo militanti, ma pensionati, dipendenti pubblici, privati, genitori con i loro figli. Qualcuno accetta la violenza dello scontro, qualcuno resta nei cortei principali, pacifici, enormi, che coinvolgono dieci, venti, cinquanta, centomila persone. Cosa serve alla sinistra per capire che forse è arrivato il momento di chiedere la sfiducia, anche se poi mancano i numeri in Parlamento? Il mondo sta dando delle informazioni, la classe politica non ascolta. Qui non è neanche più questione di capire da che parte stare, se con Israele o con i palestinesi, perché a prescindere dalle proprie opinioni, quello che sta accadendo in Italia è epocale e non è possibile che chi è al potere, se siamo una democrazia, sia impermeabile allo tsunami di cittadini in giro per l’Italia.
La democrazia non è solo questione di numeri e maggioranze, di sondaggi che premiamo Fratelli d’Italia. La diplomazia del cazzeggio e la politica della paraculaggine che caratterizzano questo governo, garantiscono stabilità e appagano le pance di una grande fetta di italiani, i conformisti. Ma la democrazia è un insieme di forze che, se confluiscono, hanno il potere di destituire chi governa. Non solo il potere, ma il diritto. Certo, le piazze non si riempiranno mai della “maggioranza degli italiani”, perché le piazze le riempiono in pochi. Ma quei pochi sono il nucleo fondamentale della società civile, coloro cioè che hanno deciso di metterci la faccia, di resistere alle violenze, agli arresti, alle identificazioni.

Nel frattempo le navi con gli aiuti umanitari, anche quelle piene di persone normali, comuni, come noi, sono state bloccate dall’esercito israeliano, che ha persino usato degli idranti, in piena notte, contro le persone a bordo. Poi ha trasferito l’equipaggio in un carcere famoso per le torture dei palestinesi. Lì arriva un ministro israeliano che accusa tutti di essere terroristi e amici dei terroristi. Anche cittadini italiani. Giorgia Meloni, da parte sua, annuncia che dovranno pagarsi da soli il rimpatrio, anche se forse non ricorda i soldi spesi per Chico Forti, condannato all’ergastolo per omicidio negli Stati Uniti, o quelli spesi per portare in Libia il torturatore Almasri, rimandato nel suo Paese con un volo di Stato, nonostante il mandato di arresto della Corte penale internazionale.
In Italia questo gioco si è rotto, in strada da giorni si alternano il silenzio totale, quello dell’attesa, e il rumore delle folle. E degli elicotteri, certo, che riprendono tutti. E dei lacrimogeni. Ci sono cartelloni eloquenti. Uno di questi è a Bologna: “Il governo è importante fino a un certo punto. Ora tocca agli italiani”. E gli italiani si stanno muovendo, il governo non solo resta indietro, ma è totalmente indifferente, ripiegato nella trappola propagandistica che lui stesso ha costruito e che ora è smascherata: pochissima copertura neutrale in Rai delle proteste, foto di Giorgia Meloni sorridente per salutare tutti i “nonni d’Italia”. I discorsi sono tutti di rimprovero, ma l’infallibilità dell’esecutivo non è che un dogma statalista, privo di aderenza con la realtà e, soprattutto, completamente scollato dalla volontà popolare. Ancora una volta, la democrazia non è solo numeri, maggioranze silenziose, ordinate, pulite. La democrazia è un processo che si distrugge e rigenera costantemente, che si trasforma grazie a ciò che succede tra chi è coinvolto nel dibattito pubblico, nella mobilitazione, nell’azione. Democrazia non è votare una volta ogni tanto, ma votare ogni giorno vivendo. Ora le piazze stanno votando, stanno vivendo, contro l’immobilismo parlamentare, destra e sinistra, nessun escluso. Allora ci chiediamo: cos’altro serve per destituire il governo?
