Gli scioperi hanno qualcosa di deprimente, forse perché mettono in scena e danno voce a quel massimalismo che si traduce sempre in intolleranza ed estremismo. Così che in molti, magari contro i massacri a Gaza ma ugualmente contro i cori da tamarri politici (“Intifada pure qua”, “Noi non siamo antisionisti…” o “Palestina will be free”), non sanno se partecipare o meno a questi cortei. Sta di fatto, però, che questa mobilitazione è compatta, vasta, diffusa, tocca le principali città d’Italia, blocca stazioni (come a Napoli) e piazze (come a Bologna) e richiede qualche sforzo di comprensione in più o, almeno, una sospensione del giudizio, comodo, di chi non fa (e magari, come in questo caso, scrive). Excusatio non petita eccetera eccetera, passiamo a un altro aspetto fondamentale. Mentre le piazze si riempiono e tagliano i ponti sia con il sionismo che con il governo italiano, Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni si mantengono alti nei sondaggi e restano la maggior forza politica italiana, senza l’ombra di minacce all’orizzonte. Secondo i più recenti sondaggi Ipsos, pubblicati il 28 agosto 2025, FdI resta al 28,0 % (- 0, 2 rispetto al mese precedente), mentre il Pd naviga sul 21,1%.

La domanda allora è: com’è possibile che questa mobilitazione, chiaramente antimeloniana, non impatti minimamente sui consensi che da mesi sono confermati da sondaggi e statistiche nazionali? Miglia di persone scendono in piazza e hanno la forza di rifiutare la violenza israeliana contro i palestinesi, ma la Meloni pare uscirne indenne, e anzi attraversa con golosa noncuranza politica le dirette televisive di programmi perversamente a-politici, come Domenica In di Mara Venier. Ci sarebbero calcoli da fare, incrociando anche i vari insieme in cui si raccolgono le persone coinvolte in una democrazia. Uno su tutti, il numero di giovani che possono manifestare ma non possono ancora votare, e poi il numero di persone che vogliono manifestare ma non vogliono votare (e non votano). C’è anche da segnalare che l’indice di gradimento per il governo e per Giorgia Meloni sono in realtà diminuiti leggermente nel corso dell’ultimo anno, così come resta importante la percentuale (oltre il 60%) di chi ritiene che l’Italia stia andando “nella direzione sbagliata”. Questi dati, tuttavia, non riguardano strettamente questioni come la guerra, che pare agitino invece le persone scese per lo sciopero del 22 settembre. I problemi riscontrati nei sondaggi riguardano tendenzialmente lavoro, sanità e tasse.

Quanto impatto abbiano sul termometro politico del Paese manifestazioni e proteste del genere è quindi una cosa difficile da stabilire. Molto più facile, invece, capire quale sia stato il merito di Giorgia Meloni, un merito, va da sé, per nulla virtuoso. La capacità funambolica della premier si è dimostrata ancor auna volta schiacciante, al punto che, a volersi sforzare, si potrebbe dire che ciò che vince in Italia è, come sempre, l’ambiguità. La chiarezza d’intenti, nel bene e nel male, dei pro-Pal, viene soffocata completamente dalla totale poca trasparenza di Giorgia Meloni, che sulla questione israelopalestinese non ha mai espresso una vera e propria posizione. Ha firmato qualche documento internazionale per far finire la guerra e ha condannato qualche attacco di Netanyahu, pur garantendogli protezione dalla Corte Penale Internazionale. Se ci si chiede quale siano le posizioni di Merz, Macron o Starmer, non sarà difficile chiarirsi le idee anche solo leggendo qualche tweet. Meloni, invece, né se ne lava le mani, né prende posizione. È in un limbo che le permette di sopravvivere, politicamente ma non moralmente: l’ipocrisia. Non vigliaccheria pilatesca, né risolutezza. Pura e semplice ipocrisia, e cioè il talento di depotenziare completamente una battaglia politica grazie a una manifesta mancanza di interesse.

A Giorgia Meloni pare non fregare minimamente di Gaza, del genocidio, della pulizia etnica. E non per alleanza ideologica con Netanyahu, ma perché inquadrare la questione mediorientale significa accettare di scendere dal palco che si è costruita intorno, quello delle interviste telefonate, dei proclami, delle lettere inviate ai giornali, e della diplomazia del cazzeggio, che l’ha resa amica di tutti, da Trump a von der Leyen. Ecco il segreto del suo successo politico. Superficialità agita come programma di governo, in modo tale da superare indenne il presente. Ci sono gli statisti, che guardano al futuro, i demagoghi, che guardano al presente, i nostalgici, che guardano al passato. E i paraculi, che non guardano a niente. Per ora è chiaro che Giorgia Meloni non si stia posizionando nella prima categoria.
