Che il Natale sia ormai un rito allo stesso tempo provinciale, e cioè religioso, e globale, cioè “liberista”, è evidente. Dal Babbo Natale della Coca Cola alle processioni, più che in Chiesa, nei grandi magazzini delle Metropoli addobbati con abeti giganti e luci di ogni tipo, il Natale è la festa dei bambini, dei cenoni, degli zuccheri, della fantasia. Non c’è una festa durante l’anno capace di eguagliare la potenza di fuoco, la “potenza d’amore” che il Natale esprime. Le pubblicità commoventi, le notizie di anziani che passano il cenone con due agenti in servizio, le mega donazioni per canili o colonie feline. Il Natale guadagna anche dalla sua vicinanza alla fine dell’anno, altro mito che attrae l’intera società: countdown, discorsi istituzionali, fuochi d’artificio e così via. Per chi ha memoria della neve, il Natale è bianco. Oggi per molti, soprattutto tra le nuove generazioni, il Natale è semplicemente freddo. Dunque in casa ci si impegna con lampadine calde, cibo di ogni genere, lievitati, fritti. E ci si veste bene, talvolta in modo stravagante, ma, Dio!, benissimo.
Poi ci sono i grinch, anzi, i grinchdelcazzo, i guastafeste, i burberi, gli scontrosi, i polemici. Da un po’ di tempo a questa parte, persino gli attivisti… Siamo lontani dagli anni Settanta, quando un intellettuale come Giorgio Girardet scriveva Il vangelo della liberazione (1975) e parlava del Natale così: “Il contesto è chiaro: la ‘pace’ (che è poi sinonimo di vittoria finale, di salvezza, di liberazione totale) è annunciata a quelli che Dio ha scelto e che oggi soffrono nell’oppressione: ai pastori emarginati dalla società, ai parenti degli zeloti crocifissi, a tutti coloro che nel silenzio vegliavano attendendo la liberazione. Con Gesù Dio ha scelto questa gente misera e disprezzata, ‘ha rovesciato i potenti dai troni ma ha esaltato gli umili’ (Luca 1: 52), come aveva preannunciato Maria dopo l’annunciazione. La pace di Natale è una pace che discrimina, che chiama un popolo particolare, lo trae fuori dalla sua disperazione e lo costituisce messaggero della parola di Gesù”. Non crediate, anche questo è capitalismo, in un senso meno banale ma ben più aderente alla realtà: queste ipotesi, di comunismo cristologico o cristianesimo rivoluzionario, che vanno dai teologi della Liberazione a Slavoj Žižek, vivono con gioia le enormi possibilità garantite dal libero mercato delle idee, il più fondamentale tra i mercati liberi.
Tuttavia, le nuove generazioni sono sempre di più in preda al panico: per il clima, per l’inquinamento, per la povertà, nonostante la scienza ci dica che forse dovremmo iniziare a ragionare con cognizione di causa e senza essere catastrofisti, nonostante la povertà stia calando proprio in quei sistemi che non piacciono agli attivisti. Sono così in preda al panico da non potersi godere neanche le feste, neanche il Natale. Così sintetizza, al solito magistralmente, un articolo de Il Post (che è poi un estratto del loro libro A Natale tutti insieme). “Ci sono, al di là dei capricci e borbottii che sono diventati parte a loro volta della tradizione, anche più sostanziose ragioni per criticare il Natale. Più di uno studio ha rivelato come durante le festività aumentino sprechi, stress, malattie, mortalità, inquinamento”. E si cita uno studio. Si inquina, si spreca cibo, insomma, si peggiorano el condizioni del mondo. Per chi crede che queste siano buone ragioni per boicottare il Natale l’idea di fondo è che sotto le feste gli esseri umani mettano in bocca al rospo (il mondo9 dieci sigarette, sperando di vederlo esplodere. Non si accorgono di sostituire una festa cristiana con una polemica panteista.
Continuano: “Ma secondo alcuni economisti andrebbero aboliti i regali stessi. In un saggio dal titolo Scroogenomics: Why You Shouldn’t Buy Presents for the Holidays, uscito negli Stati Uniti nel 2009, Joel Waldfogel della Carlson School of Management dell’università del Minnesota ha espresso una tesi che si può sintetizzare così: ogni volta che riceviamo un regalo, è molto probabile che se avessimo potuto spendere direttamente i soldi che sono serviti per acquistarlo avremmo fatto una scelta diversa. Di conseguenza, visto che non siamo soddisfatti, tendiamo ad attribuire a quel dono un valore inferiore rispetto all’effettivo suo costo e possiamo definire quella spesa sproporzionata rispetto al risultato”. Il presupposto, giudicato buono, è che il regalo sia pari a un servizio offerto da un’anonima azienda gestita da sconosciuti, che il 24 sera o il 25 mattina fallisce nel fornirti il prodotto che credi di meritare e desideri in cambio di una certa quantità di denaro, per altro non nostro. È paradossale: dovrebbe davvero importarci dell’insoddisfazione di chi vorrebbe che una persona spendesse per lei i propri soldi a comando? È questo il senso di scambiarsi dei regali?
Il problema, secondo gli economisti, è “polverizzare inutilmente 25 miliardi di dollari di risparmio privato, in tutto il pianeta, ogni Natale”. Ma, gentilissimi, quelli sono risparmi privati, per definizione non sono affari vostri. Il Post aggiunge: “Nella migliore delle ipotesi il Natale non aiuta l’economia affidabilmente, ma concentra i nostri acquisti alla fine dell’anno con qualche sollievo per alcune economie più in difficoltà, facendoci però comprare cose inutili”. Sia lodato Gesù, la sua nascita provvidenziale, che dà senso a ciò che un senso non ce l’ha, come cantava Vasco. Ai regali inutili, alle spese superflue, a tutto ciò che di meno volgare - in senso etimologico - c’è nella vita. Sia lodata anche l’attesa per il regalo inaspettato che riceverò da un parente di cui mi sono dimenticato, che mi inviterà a essere una persona migliore l’anno successivo, quando penserò a un dono anche per lui. Insomma, respirate, godetevi lo spirito del Natale, non stressatevi ma, cosa ancora più importante, non date la colpa del vostro stress al Natale, perché la colpa, cari grinch, è molto probabilmente la vostra.